IL “PROCESSO” AL PROFESSORE DELLA STATALE DI MILANO

Il quotidiano Libero ha pubblicato una lettera di un professore dell’Università Statale, Marco Bassani, ora ex Ordinario di Storia delle Dottrine Politiche, dove annunciava le sue dimissioni dall’Università. (“Il professore lascia l’Università: “Processano le vignette, le aule sono una ‘madrasa’ Pd”, libero 3.3.24) La notizia in sé, potrebbe non interessare, ma leggendo le motivazioni, c’è molto da preoccuparsi per chi ancora ha a cuore la libertà di parola. Ne ha dato notizia anche Il Giornale e il quotidiano online atlanticoquotidiano.it. La lettera che ha indirizzato ai suoi studenti, obbliga a sviluppare alcune considerazione.

Nel dimettersi dall’ateneo milanese Bassani ha ricordato l’assurdo processo intentatogli da un’accademia legata a filo doppio al Pd e alla cultura progressista. Egli fu infatti nel 2020 accusato di «sessismo» per avere condiviso una vignetta che ironizzava sulle vicende personali dell’attuale vice-presidentessa degli Stati Uniti, Kamala Harris, di cui fu ricordato che all’età di 29 anni era stata l’amante del sindaco di San Francisco, che di anni ne aveva 60. I fatti sono ben noti a quanti hanno dimestichezza con la politica statunitense. Per giunta, Bassani non è soltanto uno studioso della cultura americana: egli è pure cittadino statunitense e quelle vicende riguardano il suo Paese.

Per punirlo al professore hanno tolto un mese di stipendio, inoltre, finisce per essere vittima della gogna mediatica per aver condiviso un post su Fb . “Come lui stesso ricorda, Bassani detiene il titolo di primo professore ad essere stato condannato nel Dopoguerra per aver condiviso, nemmeno manifestato un’opinione, dopo un “processino” sommario. Per una vignetta”.

Il professore si è dimesso non tanto per l’episodio in sé, “ma per la solidarietà “risibile” che ha ricevuto: colleghi che hanno cominciato a trattarlo come un appestato, o che gli esprimevano “solidarietà” con preghiera però di non metterli in imbarazzo pubblicamente”.Qualche settimana fa un altro increscioso episodio è successo all’Università Bocconi, uno studente attivista del Pd ha denunciato tre compagni di studi che avevano criticato la scelta dell’università di adottare bagni gender free (per maschi e femmine). Gli studenti sono stati sospesi per sei mesi, in ossequio ai dogmi del politicamente corretto.

Carlo Lottieri su Il Giornale ricorda che ormai dagli Usa importiamo il peggio, infatti, in una classifica delle università dove la libertà di parola è meno rispettata, l’ultimo posto c’è proprio Harvard, ossia forse la più prestigiosa università di tutto il mondo.

Il professore Bassani conclude la sua lettera con un atto di accusa, che vale la pena citare: “È davvero triste constatare che all’ombra della pubblica istruzione ha prosperato un sistema che più che sviluppare pensiero critico a tutti i livelli ha reso le aule universitarie una “madrasa” del Pd. Viviamo un incubo prodotto dalla statizzazione dell’intero comparto dell’istruzione: il fatto di avere reso scienza e cultura merci distribuite e prodotte da impiegati pagati (poco) per mezzo della fiscalità generale ha reso gli intellettuali veri e propri funzionari pubblici. Con tanta libertà condizionata quanto i padroni del discorso sono disposti a concedere. L’allocazione delle risorse pubbliche decide il corso degli studi, la fama, le carriere individuali e ovviamente crea un enorme conformismo al ribasso. E le recenti censure alle autorevolissime (Prodi, Rubbia, Zichichi) voci critiche sulla tesi del riscaldamento globale di origine antropica ci fanno comprendere che anche nel campo delle “scienze esatte”, ammesso che ve ne siano, non si può stare tranquilli. Il tutto accade senza alcun tipo di coercizione palese, grazie semplicemente alla vittoria straripante di una polizia del pensiero, che colpisce pochi, spaventa molti ed è, almeno in apparenza, avversata da tutti. I professori sono di fatto “la guardia del corpo intellettuale degli Hohenzollern”, ma mentre nella Berlino dell’Ottocento ciò era vanto e merito, oggi questa esaltazione del potere ha luogo senza troppe chiassate. Si tratta solo di un piccolo prezzo che un manipolo di pusillanimi è disposto a pagare per sopravvivere con misere paghe pubbliche”. Federico Punzi si augura che il j’accuse del professore non passi inosservato.

Parole che dovrebbero indurre una profonda riflessione dei ministri Bernini e Valditara e dell’intera maggioranza di governo. Se non altro, perché il mondo universitario è una delle roccaforti di quella egemonia culturale progressista che almeno a parole la destra sta cercando di scardinare”. (Federico Punzi, Anche in Italia l’attacco al free speech passa per le università, 4.3.24, atlanticoquotidiano.it)

A proposito di egemonia culturale segnalo un interessante articolato e ben documentato studio del giornalista Marco Valle su Destra.it, (Inutile cianciare di egemonie se manca una “fabbrica della cultura”, 10.1.24)

In pratica anche in Italia si cominciano a intravedere nelle nostre università i prodromi di un fenomeno che già da tempo sta dilagando nei più prestigiosi atenei americani e inglesi, dove l’ideologia woke e la cancel culture hanno ormai preso il sopravvento dando vita ad autentiche aberrazioni. Anche se,“nei campus americani – scrive Punzi –  la situazione è senz’altro più critica: ammissioni ai corsi su base razziale, continua criminalizzazione degli studenti bianchi per il “privilegio bianco”, indici di parole o frasi proibite, commissioni incaricate di controllare che nei corsi e nei dibattiti non venga usato un linguaggio offensivo delle “minoranze”.

Tuttavia non sempre i tribunali americani danno ragione alle università, anche la politica si sta svegliando “L’attacco al free speech nei campus universitari è da anni in cima all’agenda dei Repubblicani. Al Congresso e nei singoli Stati sono in cantiere progetti di legge per togliere i finanziamenti agli atenei che non tutelano il free speech” (libertà di parola). Negli Usa i rettori delle più prestigiose università sono stati chiamati a rendere conto davanti al Congresso delle loro politiche di ammissione, delle restrizioni alla libertà d’espressione e alla libertà di insegnamento e, in ultimo, delle manifestazioni di antisemitismo tollerate se non incoraggiate dopo il 7 Ottobre, in questo caso derogando dalle stringenti regole interne in materia di hate speech. Ecco dopo il caso del prof Bassani e degli studenti della Bocconi non sarebbe il caso che anche il centrodestra si svegli e magari convochi quanto meno in Parlamento i rettori delle principali università italiane per capire cosa sta accadendo, quali sono le politiche interne adottate, quanti e quali i casi di sanzioni, e come eventualmente intervenire a tutela della libertà d’espressione – per esempio condizionando ad essa l’erogazione di fondi pubblici.

DOMENICO BONVEGNA

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