E' il risultato dell'accordo, di questa notte, tra Invitalia (cioè lo Stato) e la multinazionale dell'acciaio ArcelorMittal, che resterà comunque nell'Ilva con il 40% di azionariato. La ArcelorMittal si era impegnata, con contratto vincolante, a investire 4,2 miliardi nella acciaieria a ciclo continuo più grande d'Europa. Soldi esclusivamente della multinazionale, ora, invece, con l'entrata dello Stato, si impegneranno anche soldi pubblici, quelli del cittadino contribuente. Per questo nuovo aggravio, dobbiamo ringraziare il M5S che ha condotto una campagna per la chiusura dello stabilimento tarantino, dimenticando che l'Italia è un paese le cui esportazioni sono per il 52% metalmeccaniche e l'82% della produzione definita ad alta e medio/alta tecnologia è di origine metalmeccanica, vale a dire che c'è bisogno di acciaio. Nell'accordo Stato/ArcelorMittal si prevede un piano di risanamento ambientale, già inserito nel programma della ArcelorMittal che aveva impegnato per la bonifica 1,2 miliardi di euro. Soldi della società non del contribuente. Nel nuovo piano dell'Ilva di Stato, si prevede l'attivazione di un forno elettrico al posto di quello che utilizza il carbone. Bene, ma dove si prende l'energia meno inquinante per produrre quella elettrica? Dal metano? Cioè dai condotti metaniferi del Tap (Trans Adriatic Pipeline) che il M5S voleva chiudere? Non si lamentino i cittadini della carenza di scuole e ospedali, perché i soldi destinati ad essi vengono bruciati nell'altoforno della acciaieria di Stato tarantina. Primo Mastrantoni, segretario Aduc