Il caso del calciatore Luis Suarez che, per farlo restare in Italia, sembra sia stato promosso da alcuni docenti di lingua italiana di Perugia pur se il calciatore parla quasi per niente la lingua italiana, apre una voragine. Sul nostro Paese, sugli italiani, sulla burocrazia e sui diritti degli immigrati. Vedremo se questi professori hanno fatto o meno il loro dovere. Intanto, del caso se ne occupano anche le cronache dei media in tutto il mondo e, oltre agli spaghetti e alla moda, ecco un nuovo tassello per la notorietà e credibilità del nostro Paese. Due pesi e due misure Non tutti si chiamano Suarez e, soprattutto, non tutti tirano calci ad un pallone che produce miliardi. Oltre al nostro calciatore ci sono tanti altri. Silenziosi e silenziati. Non “degni” di nessuna cronaca o attenzione, invisibili che vivono i loro drammi, personali e familiari. Non stiamo parlando solo di quelli che arrivano in qualche modo sul territorio italiano ma anche di coloro che già ci sono, sono residenti e legali, lavorano, pagano le tasse, ma per i quali i diritti sembra che siano di serie B. Tutte persone che non chiedono favori, ma solo diritti. Raccontiamo un caso fiorentino Piccolo imprenditore, allo stato cittadino del Bangladeh ma in attesa da più di due anni di cittadinanza italiana. A gennaio, sua moglie e le due figlie (1 e 5 anni) sono andate a far visita ai parenti a Dacca per far conoscere le bambine. Sarebbero dovute tornare il 21 marzo, ma a causa delle restrizioni per pandemia coronavirus su mobilità e ingressi non hanno potuto. La loro partenza è stata rinviata, acquistando nuovi biglietti, allo scorso 11 agosto, ma anche in questa occasione non è stato consentito loro di imbarcarsi. Allo stato dei fatti non si sa quando potranno tornare. La signora, 32 anni, presso la Asl di Firenze segue una terapia educazionale diabetica che in Bangladesh non è possibile farle somministrare. La bimba di 5 anni avrebbe già dovuto essere ad una scuola di Firenze a cui è iscritta. Su questa vicenda il nostro imprenditore ha scritto anche una lettera alla Ministra dell’Interno chiedendo un interessamento. Ma è evidente che, non dando calci ad un pallone, ma contribuendo “solo” all’economia italiana (lavoro, servizi e tasse), è solo un invisibile. Da quando si è conclamata la pandemia da coronavirus, sono migliaia gli italiani nel mondo che sono tornati (ed alcuni ancora non lo sono) grazie all’interessamento dello Stato. Ci domandiamo che differenza faccia il nostro imprenditore rispetto ad un altro italiano… oltre al fatto di non giocare professionalmente a pallone. Vincenzo Donvito, presidente Aduc