La guerra civile è un conflitto armato all’interno di uno stesso Paese. L’obiettivo è di annullare il nemico e di diventare unico pretendente al riconoscimento statuale.
Le guerre civili possono scoppiare per motivi diversi: ideologici, religiosi, economici, sociali e nazionalistici.
Nel nostro Paese non abbiamo una guerra civile nel senso stretto della parola, cioè dello scontro armato, ma una contrapposizione sociale e politica, spesso utilizzata per fini elettorali, che in questi ultimi anni ha raggiunto livelli eccessivi, non accettabili.
Alla base c’è una motivazione economica: la crescita non c’è, il futuro è incerto e le prospettive di miglioramento scarse. Prima si stava meglio, si sente dire.
In questo quadro è facile individuare le categorie sulle quali far cadere le responsabilità: la casta dei privilegiati, le élite che si arricchiscono, l’establishment che detiene il potere, gli immigrati che ci tolgono il lavoro, ecc.
Si istiga risentimento, ed ecco i “vaffa”, si rimuovono i presunti responsabili, ed ecco la “rottamazione”, si prospettano soluzioni miracolistiche, ed ecco la flat tax, si rincorre la nostalgia, ed ecco la rivendicazione identitaria.
In questo quadro di incertezze, la richiesta di protezione arriva di conseguenza. E’ uno stato psicologico che richiede sicurezza. Insomma, si cerca un guscio all’interno del quale chiudersi, il che ci contrappone agli altri: noi e loro.
Così, il risentimento si trasforma in rancore e poi in cattiveria.
Da vari esponenti politici abbiamo sentito affermazioni da guerra civile, ognuno alla ricerca del consenso elettorale, vendendo illusioni. Non abbiamo capito, però, a cosa sia servito, visto che gli acerrimi nemici hanno finito per mettersi d’accordo.
Primo Mastrantoni, segretario Aduc