La settimana scorsa mentre la stampa si occupava della cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro, una reliquia, la camicia insanguinata di un martire dei nostri giorni, Rosario Livatino, ucciso dalla Mafia ad Agrigento il 21 settembre 1990 e riconosciuto come martire dalla Chiesa, è stata accolta per una settimana nei luoghi più importanti delle istituzioni del Paese, al Senato, alla Guardia di finanza, alla Confindustria, al Consiglio Superiore della Magistratura.
In particolare, mercoledì 18 gennaio, la reliquia è stata omaggiata a Palazzo Madama dalle massime autorità dello Stato. Un convegno promosso dal Centro studi Rosario Livatino nella splendida sala della Biblioteca del Senato, in piazza della Minerva, ha visto l’intervento scritto del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, quello in presenza del Presidente del Senato (la seconda carica dello Stato), Ignazio La Russa, le massime autorità giudiziarie e i messaggi di numerosi ministri.
Sul tavolo dei relatori, uno a fianco dell’altro, tre uomini che provenivano dalla storia di Alleanza Cattolica, Alfredo Mantovano, Mauro Ronco, Domenico Airoma, nel giorno del terzo anniversario della morte del fondatore Giovanni Cantoni. “Un caso? Non direi il caso, ma la Provvidenza, – scrive Marco Invernizzi – che ci ha regalato un tempo di consolazione, per usare le parole degli esercizi di s. Ignazio”.
Continua Invernizzi, “Oggi viviamo un tempo miracoloso, perché il sacrificio della vita di un martire permette a tanti uomini delle istituzioni di inchinarsi di fronte al Mistero. La Grazia di Cristo così è entrata nelle stanze del potere e per un attimo ha permesso a tanti di riflettere sulle cose ultime, sulla verità, sul martirio per la giustizia” (Marco Invernizzi, Una camicia insanguinata nelle stanze delle istituzioni, 23.1.23, alleanzacattolica.org)
Sull’evento unico della peregrinatio della reliquia del beato martire Rosario Livatino e sulla cattura del latitante Messina Denaro, è stato intervistato da Lanuovabq.it il procuratore della Repubblica di Avellino e vicepresidente del “Centro Studi Livatino”, Domenico Airoma.
“Proprio nella settimana in cui, dopo l’arresto del boss di Cosa nostra, i carabinieri hanno proceduto a setacciare i numerosi covi del mafioso, è come se le operazioni dell’arresto di Messina Denaro fossero state inserite – per un misterioso piano divino – sotto la protezione del martire della mafia”. (Andrea Zambrano, Intervista al giudice Airoma. Messina Denaro, arresto sotto la protezione di Livatino, 24.1.23, lanuovabq.it)
Naturalmente la coincidenza non è sfuggita al procuratore Airoma, che riflette sull’esposizione della reliquia nei palazzi del potere e sul suo significato alto, ma insolito. “Il sacro ha rimesso piede nelle istituzioni, non si tratta di teocrazia né della sovrapposizione di piani, ma del ridare una dimensione verticale alle istituzioni. Questo evento ci aiuta a comprendere che sia il credente che il non credente devono impegnarsi per il bene comune che non può non avere una dimensione verticale”. Zambrano fa rilevare che lunedì è stato arrestato Messina Denaro e in quel momento la reliquia era alla Camera, poi al Senato e infine al Ministero dell’Interno. Si tratta di coincidenze? Per Airoma piuttosto si tratta semmai di “dioincidenze”, “io lo vedo come un segno della Provvidenza, d’altra parte tutta la storia di Livatino, ha i tratti del provvidenziale. E anche il fatto che, dopo essere stato beatificato venga fatto conoscere nei palazzi del potere è davvero provvidenziale, per lui, che viene da un paesino della provincia siciliana, Canicattì, da una famiglia che, se vogliamo, incarna proprio quei valori tradizionali e religiosi che un certo sociologismo d’accatto identifica come una delle cause del fenomeno mafioso”.
Per il procuratore il martirio del giudice Livatino è attuale: “Si sottolinea poco il fatto che Livatino ebbe il coraggio di scrivere cose controcorrente contro il protagonismo giudiziario, ma anche contro l’eutanasia e la manipolazione genetica, temi attuali che oggi possono essere letti profeticamente. Ha saputo anticipare queste istanze perché aveva ben chiara la dignità dell’uomo. Questo va messo in risalto per evitare di ridurre la sua figura ad un semplice santino della magistratura antimafia”.
Inoltre per Domenico Airoma il giudice Livatino è santo perché ha vissuto la giustizia come vocazione e dedizione anzitutto a Dio, il suo essere martire è l’esito coerente di un sacrificio che ha vissuto nel quotidiano. L’intervistatore de Lanuovabq.it fa riferimento all’orazione finale di Airoma presso la Basilica S. Maria degli Angeli il 21 gennaio scorso a Roma dove Airoma ha detto che «è possibile sconfiggere la tracotanza mafiosa se torniamo alle radici etiche e spirituali del nostro popolo. Airoma a questo proposito è rimasto sorpreso per la partecipazione di numerose persone delle istituzioni, che probabilmente lontane dalla fede, ma che vedendo quella camicia insanguinata, si sono commossi. E’ come se avessero riacquistato quell’incanto di fronte al sacro che abbiamo perso.
Le domande del giornalista incalzano, da siciliano, mi interessa quella che riguarda le connivenze che hanno permesso la copertura per 30 anni di latitanza di Matteo Messina Denaro. Il giudice ragazzino conosceva questo brodo culturale? Per Airoma la conosceva eccome. Anzi l’ha subita. “Non riusciremmo a spiegarci questa lunga latitanza se non avessimo presente il consenso sociale di cui purtroppo gode Cosa nostra, come anche la ‘Ndrangheta. Non si tratta di fare dietrologie particolari, ma è evidente che la latitanza è stata possibile perché vi è stato costruito attorno un consenso”.
Secondo Airoma il consenso alle criminalità mafiose arriva perché c’è “un vuoto lasciato dai corpi intermedi, come la famiglia, ma anche la Chiesa e questo va detto con nettezza”. E Livatino era consapevole di questo consenso e di questo vuoto da riempire. A questo proposito Airoma ricorda ai lettori del giornale online che il giudice abitava “in un edificio in cui a piano di sopra viveva il capo della stidda locale e dovette far fronte a questa condizione di isolamento in cui magistrati e forze di polizia vivevano all’epoca, con una buona dose di diffidenza. Quante volte la stele che ricorda il suo sacrificio è stata imbrattata e danneggiata?”
Per quanto riguarda la Chiesa, il martirio del giudice Livatino toglie la Chiesa al mafioso. “San Giovanni Paolo II pronuncia la famosa invettiva contro i mafiosi proprio dopo aver incontrato i suoi genitori, da quel momento la Chiesa cambia registro nell’affrontare la questione mafiosa”.
Infatti, conclude Airoma: “La Chiesa passa da una fase di silenzio di fronte al fenomeno mafioso a una fase in cui adottò lo schema interpretativo del sociologismo marxista, che dà una spiegazione economicistica della mafia, come figlia dell’emarginazione. Poi, finalmente, arriva San Giovanni Paolo II che va alle radici della questione mafiosa che sono morali, la perdita del senso del peccato e del senso del giusto. Livatino è il seme di questo cambiamento attraverso cui passa la grazia di Dio che opera. Davvero come diceva Falcone, la Mafia è un fenomeno umano e va affrontato con le categorie di peccato e di giustizia proprie della morale cristiana. Livatino aiuta a capire che c’è un antimafia che non è quella dei professionisti dell’antimafia, per dirla con Sciascia, vuole la conversione del mafioso e questo è stato possibile anche per il suo killer. E offre ai più giovani, come sto vedendo sempre più spesso andando a parlare nelle scuole, una domanda di senso da dare alla propria vita”.
a cura di Domenico Bonvegna