di Andrea FILLORAMO
Rimarrà sempre in noi la memoria dell’anno 2020 e di quei brutti giorni in cui è esplosa inaspettata e crudele la pandemia, che ha cambiato totalmente la nostra vita.
Dinnanzi a quel fiume in piena altamente distruttivo ci sono stati dei cattolici che hanno considerato il Covid-19, come un castigo di Dio per i nostri peccati e come una forza diabolica del male che occorre soltanto esorcizzare.
Hanno rifiutato, così, per tali motivi, il vaccino con il quale abbiamo cercato di arrestarne il corso e ci siamo riusciti.
Da quanti hanno abbracciato questa assurda teoria il mondo è considerato come un campo di battaglia, in cui le forze del bene entrano in forte conflitto con quelle del male, di cui il coronavirus sarebbe stato e ancora è un inquietante demone.
Per combatterlo – a loro parere –c’è l’arma della preghiera ma, davanti al “ silenzio di Dio”, cercano vari suppletivi e superstizioni con cui pensano di allontanare la malattia e la morte, che sono popolari per definizione, ma potrebbero non avere solo una componente culturale. Diversi studi suggeriscono la predisposizione a particolari «difetti del comportamento» Esistono anche fenomeni psicologici che possono concorrere alla loro formazione e al feticismo che spesso si ricollega ad essi. Feticistico, per esempio, mi appare il culto delle reliquie dei santi
con le quali essi cercano di venire a contatto. Non è nuova, del resto, questa prassi nella storia in generale e in quella dell’Occidente cristiano in particolare, sulla quale vale la pena soffermarci. A partire dal Medioevo, infatti, si è creata la convinzione che la semplice vicinanza a un frammento del corpo di un Santo, a un oggetto qualsiasi che è entrato in contatto con un Santo, quindi a una reliquia, garantisce un rapporto diretto con il soprannaturale e assicura una speciale protezione dal peccato, dalle malattie, dalla stessa morte.
Per fare la storia del culto delle reliquie nella Chiesa occorrerebbero diversi tomi. Ci prolunghiamo, quindi – e non può essere diversamente – dando uno sguardo d’assieme.
Dalla fine del primo millennio le chiese si sono andate riempiendo di reliquie. Il possesso di una reliquia importante dava prestigio a una chiesa, favoriva le elemosine e i lasciti, attirava masse di pellegrini che chiedevano la guarigione delle malattie.
Oltre a essere una insostituibile risorsa spirituale, le reliquie rappresentavano anche un ottimo investimento materiale: la fede s’intrecciava strettamente con l’economia, la dimensione spirituale con quella materiale.
Ben presto, peraltro, la richiesta di reliquie divenne superiore all’offerta, e si scatenò una vera e propria caccia alle reliquie. Anzitutto si moltiplicarono le “scoperte”: molti vescovi, in buona o in mala fede, dichiaravano di essere stati illuminati da una rivelazione soprannaturale, che li aveva condotti a scoprire corpi di martiri andati dispersi.
Per ottenere una reliquia non ci si arretrava nemmeno davanti al furto. Il fenomeno provocò anche la nascita di una fiorente attività commerciale. Seguendo le regole del mercato, le reliquie affluivano dalle città che ne erano maggiormente provviste a quelle che ne erano prive.
Le reliquie prelevate nei cimiteri romani venivano spedite ovunque ci fosse una clientela disposta a pagare in contanti le ingenti somme richieste.
Ma a Roma c’era anche tutto un viavai di vescovi e di abati francesi e tedeschi che venivano a comprare o a trafugare reliquie per conto delle loro chiese: una clientela avida e ansiosa, che era facile preda dei falsari e dei truffatori, che spacciavano come reliquie preziose frammenti prelevati dalle tombe della gente comune.
Quando i crociati conquistarono la Terrasanta, si aprì una stagione d’oro nel commercio delle reliquie.
Quella regione era infatti una vera e propria miniera di oggetti sacri, pronta a placare l’inesauribile fame di reliquie dell’Europa cristiana. si trattava per giunta delle reliquie più preziose, provenienti dalla storia dell’Antico Testamento e dall’esistenza terrena di Gesù Cristo.
Giungeva in Europa anche un autentico campionario di souvenir della Terrasanta: frammenti di pietre del Santo Sepolcro, sassi raccolti nell’orto del Getsemani o sul Monte degli Ulivi, palme dell’oasi di Gerico, ampolline contenenti acqua del Giordano, frammenti della mangiatoia della grotta di Betlemme, e un’infinità di altri ricordi.
Si trattava di patacche per turisti, ma i pellegrini che le acquistavano erano convinti che anche il più piccolo e semplice oggetto proveniente dai Luoghi Santi fosse un talismano d’ineguagliabile valore, un’arma efficace contro il demonio e contro i mali dell’esistenza, contro le malattie, di cui spesso era l’unico farmaco.
Scrive il teologo e biblista Alberto Maggi: “Poter conservare anche solo un dito del santo, la costola di un altro, il piede di una santa, o i denti di un beato, assicurava prestigio e fama alla chiesa, al santuario o al monastero, attirando torme di pii necrofili, pronti a sbaciucchiare, strusciare la macabra, ma santa reliquia. E, soprattutto, era un modo per assicurarsi una fonte sicura di entrate con le offerte e le donazioni. Per questo, spesso nascevano delle contese tra chiese e monasteri, rivendicando ognuna di queste di avere l’autentica testa o il braccio del santo, e, non di rado, gli ecclesiastici sono ricorsi al furto delle reliquie”.
Dove è stato possibile, si è, invece, cercato di fermare la morte del santo, bloccandone il normale processo di decomposizione del corpo, imbalsamandone il cadavere, imbellettarlo per esibirlo poi quale straordinaria inoppugnabile prova della sua santità, come se le virtù dell’individuo coincidessero con la sua mummificazione.
E gli ingenui fedeli, creduloni, pensavano e tutt’ora ancora pensano di vedere il corpo intatto del loro santo e, estasiati, lo ammirano e nessuno che si premuri a dire che quel che viene mostrato è spesso una ricostruzione in silicone, opera oggi di esperti del mestiere (al volto di Padre Pio, per esempio, ha lavorato recentemente l’azienda inglese Gems Studio, la stessa che fornisce le statue per il Museo delle cere di Madame Tussauds a Londra).
Concludo, infine, con la speranza di non essere ritenuto blasfemo, riferendo con enorme titubanza, imbarazzo e notevole esitazione di una reliquia che per secoli è stata un talismano di grandissima importanza, un oggetto di culto da parte di milioni di fedeli,
Si tratta del Santo prepuzio, una reliquia costituita dai presunti resti del prepuzio di Gesù, cioè della pelle recisagli durante il rito della circoncisione al quale anche Gesù come tutti i bambini maschi ebrei è stato sottoposto; ad esso sono stati attribuiti eventi miracolosi molte guarigioni e in vari momenti della storia, a volte anche contemporaneamente, varie città in Europa ne hanno dichiarato il possesso.
Originariamente si riteneva che la reliquia fosse stata consegnata a papa Leone III il 25 dicembre 800 da Carlo Magno in occasione della sua incoronazione.
L’imperatore l’avrebbe ricevuta da un angelo mentre pregava presso il Santo Sepolcro. Secondo un’altra versione il prepuzio sarebbe un dono di Irene di Bisanzio, ricevuto da Carlo Magno in occasione delle nozze. Leone III lo collocò nel Sancta Sanctorum della Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, assieme ad altre reliquie.
Prepuzio famoso e miracoloso poiché durante una messa il vescovo di Cambrai vide uscire tre gocce di sangue che macchiarono i lini dell’altare.
In onore di questo pezzetto di pelle e della tovaglia fu edificata addirittura una cappella e si indissero processioni; il prepuzio fu oggetto di culto e meta di pellegrinaggi.
Si deve arrivare al 1900 quando la Chiesa vietò a chiunque di scrivere o parlare del Santo prepuzio, pena la scomunica (Decreto n. 37 del 3 febbraio 1900). Nel 1954, dopo un lungo dibattito, Pio XII trasformò la punizione in vitandi ( da evitare”). Il Concilio Vaticano II alla fine degli anni 60, infine, ha eliminato la festa dal calendario.
Insomma il prepuzio di Gesù è diventato un tabù, qualcosa di cui ai cattolici è stato vietato di parlare: e lo è diventato, proprio nel momento storico all’apparenza meno adatto al rispetto dei tabù.
Ritengo che la Chiesa Cattolica, i vescovi debbano combattere in tante Chiese, Parrocchie e Santuari, la superstizione e il feticismo che ancora sono molto diffusi, che non hanno nulla da condividere con la fede. Una cosa, infatti, è in una certa misura la devozione e il vivere in modo sano la religiosità e un’altra molto diversa è fraintendere, deformare la dimensione religiosa.