LA GUERRA CULTURALE DEL “GENERE”: SIAMO MASCHI O FEMMINE?

E’ un interrogativo che viene posto in un interessante pamphlet di Dale O’Leary, un medico, membro della Catholic Medical Association -, che ha partecipato come attivista pro-life e pro-family alle conferenze ONU del Cairo (1994) e di Pechino (1995). Il titolo del libro: “Maschi o femmine? La guerra del genere”, (Rubbettino, 2006).

Certamente il testo è datato, ma attualissimo, visto le accese discussioni in merito al sesso di alcuni atleti/e alle Olimpiadi di Parigi. Il libro a suo tempo ha contribuito ad accendere i riflettori sugli inquietanti scenari proposti dall’ideologia del Genere o Gender. È sempre più frequente trovare la parola “genere” nei documenti di regioni, provincie, comuni e anche sui quotidiani. Come mai questa parola viene utilizzata così spesso? Perché il termine “sesso” è stato pressoché ovunque sostituito con il termine “genere”? Hanno il medesimo significato questi due termini? La O’Leary fa la storia del termine “genere” (gender), insieme a molti altri termini, sia stato inserito nei documenti ufficiali dell’ONU a partire dagli anni ’90.

La scrittrice americana ripercorre le tappe storico-culturali che hanno portato le ex-femministe sessantottine al potere in politica e alla guida dei principali organismi internazionali, come ONU e le altre agenzie collegate. L’ONU, nell’era della globalizzazione, è divenuto infatti un formidabile strumento di diffusione di idee e di cultura a livello planetario; i documenti che escono dai suoi uffici e le Piattaforme d’Azione che vengono elaborate nel corso delle conferenze mondiali, sebbene non vincolanti, hanno una certa autorità morale e dovrebbero rappresentare il “consenso” mondiale. Una di queste piattaforme è l’Agenda del Genere, che nasconde a tutti gli effetti un vero e proprio progetto politico da portare avanti con tutti i mezzi possibili: si tratta di “decostruire” l’identità sessuale svincolandola dal dato genetico e biologico. Così l’essere umano non è più “maschio”, non è più “femmina”, ma si può ricostruire a piacimento. E’ una reinterpretazione della sessualità che affonda le sue radici nel presupposto ideologico che “maschile” e “femminile” siano ruoli socialmente costruiti. Le differenze sessuali diventano quindi una decisione soggettiva della cultura, che esorta l’individuo a “scegliersi” la propria sessualità o, secondo un’altra versione, a “scoprire” la propria occulta sessualità.

Per fare questa scelta o scoperta, però, l’individuo dev’essere liberato da ogni condizionamento; pertanto si pretende che le leggi aboliscano ogni forma di tabù e di repressione, vietando ogni forma di condanna morale e discriminazione sessuale, come quelle tradizionalmente imposte dalla famiglia o dall’ambiente.
Ebbene, la salita al potere delle attiviste femministe sessantottine ha determinato un cambiamento delle politiche globali volte al riconoscimento dell’uguaglianza e delle pari opportunità, che passa però da una interpretazione neo-marxista della storia del mondo e della società, perché, nel pensiero femminista, “per ottenere la liberazione delle donne, è necessario cambiare l’intera struttura sociale”. E qui siamo all’importanza del testo di O’Leary perché fa vedere come il femminismo radicale (lei lo chiama così) si coniuga, con qualche revisione, con le tesi di Marx ed Engels, in particolare a quest’ultimo, con il suo libro, “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”. “Se volevo capire il femminismo avrei dovuto leggere il libro di Engels”. Ma anche quello di Shulamith Firestone, “La dialettica dei sessi”. In questi testi la O’Leary ha potuto vedere come la dialettica di Marx sia diventata la dialettica del sesso.

Il proclama fatto da Marx ed Engels secondo la quale tutta la storia è una storia di lotta di classe è ben noto. Quello che è meno noto è che la prima lotta di classe avviene dentro la famiglia. Pertanto, tutto questo significa che non solo bisogna abolire la “proprietà privata ma anche la distruzione della famiglia patriarcale: tutte le donne dovevano essere forzate a lavorare fuori casa; la collettivizzazione dei lavori domestici; il divorzio facile; la liberazione sessuale e l’accettazione dei figli illegittimi; e, infine, la distruzione della religione perché la religione tutela la famiglia”. Tuttavia, è la Firestone che “dimostra come il marxismo si possa trasformare in femminismo radicale”. Così per eliminare le classi economiche è necessario la rivolta delle sottoclassi (il proletariato), allo stesso modo per eliminare le classi sessuali, è necessario la rivolta della sottoclasse (le donne) e la presa di controllo della riproduzione bisogna ridare alle donne il possesso del proprio corpo e il controllo sulla fertilità umana, incluse le nuove tecnologie e le istituzioni sociali della gravidanza e della crescita dei figli”. Così se la meta finale della “rivoluzione socialista non era solo l’eliminazione dei privilegi di classe ma la stessa distinzione in classi, così il fine ultimo della rivoluzione femminista deve essere, a differenza del primo movimento femminista, non solo l’eliminazione dei privilegi maschili ma la stessa distinzione dei sessi”.

Ecco la radice del femminismo radicale: eliminazione della distinzione sessuale e il controllo della riproduzione.
Pertanto, “il primo obiettivo della rivoluzione – secondo la Firestone – dovrebbe essere quello di liberare le donne dal peso di far nascere i figli”. Quindi scrive O’Leary, la Firestone “è pronta a eliminare ciò che è ‘naturale’, se questo impedisce la rivoluzione”. Dobbiamo cominciare a superare la Natura. Le femministe radicali secondo la O’Leary seguono anche Antonio Gramsci, che riteneva che la rivoluzione in Italia era fallita perchè la gente seguiva la fede religiosa. La causa femminista è la nuova rivoluzione; “coloro che credono che il marxismo sia morto con la caduta del Muro di Berlino, possono trovare strano il fatto che le femministe radicali di genere prestino fede a Marx”. Dunque le femministe radicali hanno creato un ideale utopico e distruttivo, una idea totalitaria, che è più importante della realtà. Le femministe sono state capaci di creare una ideologia che spiega tutto, scrive la O’Leary.

Il piano d’azione, seguendo la Firestone, sarà quello di abolire il sistema delle classi legate al sesso e gli uomini sono i primi oppressori. Certo scrive O’Leary, “le femministe non potevano prendere la classe opprimente e spararle addosso o mandarla in Siberia, così come hanno fatto i loro fratelli bolscevichi, anche se, leggendo la letteratura femminista radicale, si ricava l’impressione che lo farebbero volentieri”. Dunque, un mondo senza uomini è impraticabile, allora si è trovato un sistema diverso per rimuovere l’oppressione della classe degli “uomini” sulle “donne”. L’uomo visto come un “padrone” contro il quale scatenare questa nuova guerra, e al quale togliere ogni mezzo di rivendicazione di potere: un uomo non più padre, non più marito, ma solo compagno, partner, da cambiare a piacimento a seconda delle occasioni e dei gusti del momento.
Sradicare la mentalità che vede in un binario sessuale predefinito le opportunità di accedere a posizioni di potere, di ruoli e competenze deve passare – in questa visione ideologica del mondo e della relazioni umane – da una ridefinizione del “genere”, per cui tutto deve essere smontato (anche l’identità sessuale) per poi essere ricostruito, perché tutto deve diventare possibile alle donne. Si è risolto il problema inventando un nuovo significato di genere. Le differenze tra uomini e donne sono differenze di genere, artificiali, dunque si possono trasformare.
Le donne devono poter arrivare ovunque, devono poter fare tutto ciò che più piace, devono poter accedere a qualsiasi posizione, e se questo significa cambiare i connotati alle strutture sociali non importa. Si tratta a tutti gli effetti di una nuova lotta di classe, questa volta per dominare i “processi riproduttivi”.
L’idea militante femminista è infatti la distruzione della famiglia, luogo di oppressione delle donne; la maternità vista come schiavitù, l’aborto e la contraccezione come mezzi necessari per raggiungere il fine, visto come liberazione dalla schiavitù e dominio sul proprio corpo e sulla sessualità, che deve essere liberata da qualsiasi vincolo. Chiudo con una citazione finale della scrittrice americana, “Queste figlie di Marx possono aver rifiutato il loro padre ideologico, ma ne hanno ereditato l’anima totalitaria. La liberazione che promuovono non è una libertà personale, ma uno Stato con un solo partito dove alcune donne decidono cosa sia il meglio per tutte. Il sistema sovietico controllava le strutture economiche e politiche; le femministe vogliono controllare i rapporti intimi e la famiglia”.

DOMENICO BONVEGNA
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