La crisi dell’economia mondiale…
Spira aria di tempesta per milioni di cittadini, di decine di paesi e sul futuro dell’Europa. La guerra in corso in Ucraina, l’insieme di speculazioni economiche e finanziarie che, a partire dalla fase pandemica, stanno colpendo duramente l’economia globale, il Covid con le sue variabili, hanno messo e mettono a dura prova alcune delle economie più solide del mondo come quella cinese; le crisi politiche che ciclicamente investono i maggiori paesi europei e le stesse Istituzioni dell’Unione con il recente scandalo Qatargate, stanno compromettendo, nella parte occidentale del mondo, il sistema di produzione e di distribuzione di beni primari come quelli agricoli ed energetici, facendo correre l’inflazione i cui effetti sono pagati in prevalenza dal mondo del lavoro.
Le previsioni economiche del FMI
Gli effetti sono già evidenti. Nel corso dell’estate del 2022, infatti, il Fondo Monetario Internazionale aveva rivisto al ribasso le prospettive di crescita dell’economia mondiale con Stati che, nel corso di poche settimane, erano costretti a rivedere le proprie scorte, capacità di produzione e depositi, e con cittadini che hanno dovuto rivedere la propria possibilità di spesa e di investimenti. Sul piano analitico, il FMI ha peraltro previsto il crollo di 2 punti percentuali del Pil mondiale per il prossimo 2023. Si tratta di una percentuale nettamente superiore rispetto a quella del 2008 determinata dalla crisi dei subprime e dal crollo della nota banca d’affari Lehman Brothers. Per comprendere ciò che questo significa, è opportuno tradurre il dato del FMI espresso in percentuali in una cifra immediatamente chiara anche per i non addetti ai lavori. Due punti di Pil mondiale in meno, significa infatti una contrazione di circa 1.700 miliardi di dollari nell’arco del solo 2023, pari all’intero Prodotto interno lordo di un paese membro del G8 come il Canada.
Questo scenario sembra contraddire alcuni indicatori economici positivi registrati nella fase immediatamente successiva alla fase più dura della pandemia. In realtà, il rilancio economico registrato in quel periodo era riconducibile ad alcune variabili che avevano agito da traino per l’economia mondiale, italiana compresa: la produzione e la distribuzione dei vaccini di nuova generazione, l’innovazione digitale avviata in gran parte dell’imprenditoria occidentale e in particolare in quella dell’area mediterranea, il telelavoro, vincoli di dipendenza oraria meno stringenti rispetto a quelli tradizionali che hanno contribuito ad aumentare la produttività, lo slancio psicologico derivante dal ritorno alla normalità per milioni di persone che ha significato una accelerazione dei consumi e degli investimenti.
I segnali latenti della crisi dell’economia mondiale
Eppure, i segnali di una crisi economica erano presenti da tempo, basta ricordare le ripetute difficoltà di approvvigionamento di materie prime fondamentali per il sistema avanzato di produzione e di trasformazione, che in breve tempo ha interessato anche altri settori come quello fondamentale dei microprocessori. Anche la chiusura di porti e il rallentamento dei collegamenti aerei hanno impattato in particolare sul flusso di merci a livello mondiale. Insomma, a fronte di un aumento della produttività e dell’improvvisa domanda di consumo di alcuni beni, era evidente una crisi incombente che è rimasta sullo sfondo del dibattito internazionale. Non va dimenticato che, nel 2021, le nuove ondate pandemiche dovute alle diverse varianti di Covid, hanno colpito vari paesi con un impatto crescente ma in tempi diversi. Le conseguenze di questa crisi sanitaria sono sembrate inizialmente limitate e gestibili. In realtà, ad ogni nuova ondata una parte dell’economia mondiale entrava in sofferenza, determinando un effetto domino sotterraneo, tipico della società globale contemporanea, che investiva tutte le economie mondiali.
La crisi non ha colpito tutti in egual modo
Non tutti però sono stati colpiti dalla crisi. Alcune tra le maggiori multinazionali dei trasporti, ad esempio, hanno strategicamente trasformato il rallentamento dell’economia mondiale in un’occasione per realizzare profitti inaspettati mediante la contrazione della loro offerta di servizi con un improvviso aumento delle relative tariffe. Il Freightos Baltic Index, ad esempio, che indica il costo medio del trasporto di un container, passò da 1.400 dollari nel gennaio del 2020 (si consideri che il 20 settembre del 2020 si era alla parità perfetta tra dollaro ed euro) a 11.000 dollari nel settembre del 2021. Significa che in appena 21 mesi si è registrato un rialzo di oltre il 780%. Il trascorrere del tempo non ha migliorato la situazione ed infatti a metà settembre del 2022 si era ancora a 4.700 dollari, ossia ben al di sopra del valore raggiunto nella fase pre Covid. La conseguenza si è abbattuta direttamente sui prezzi dei beni trasportati, con aumenti che hanno inciso sulla capacità di spesa e approvvigionamento per milioni di persone, italiani compresi. Ragionamento analogo può essere fatto per i prezzi delle materie prime che a dicembre del 2021, ad esempio, secondo il Fondo Monetario Internazionale, superavano del 56% quelli del dicembre 2019.
La reazione degli Stati Uniti nello scenario di un’economia mondiale in difficoltà
Ma come hanno reagito i governi dei paesi più potenti al mondo in quella specifica fase di crisi e nel contempo di speculazione? Gli Stati Uniti, in quelle circostanze, hanno difeso esclusivamente i propri cittadini, abdicando al ruolo di potenza economica mondiale. La domanda interna del mercato statunitense, infatti, in quella specifica fase è aumentata grazie a politiche governative che puntavano direttamente a sostenerla e che non hanno avuto precedenti nella storia economica di quel paese, determinando come conseguenza un riorientamento dei flussi commerciali mondiali di beni delle grandi multinazionali in via prevalente in favore del mercato interno statunitense, bypassando le medesime domande proveniente da altri paesi, Europa compresa. I leader mondiali non erano affatto all’oscuro di questa situazione ma immaginavano, con grave sottovalutazione del quadro generale, che essa fosse temporanea e che, nel breve giro di qualche mese, tutto sarebbe tornato ai livelli conosciuti della fase pre Covid.
La posizione della Cina
L’altra superpotenza economica mondiale, ossia la Cina, ha commesso anch’essa errori strategici fondamentali. La sua politica “Covid zero” è risultata fallimentare con l’evolversi del virus e in particolare della variante Omicron. La Cina, infatti, è passata dall’obiettivo “Covid zero” a misure sempre più restrittive per la sua popolazione in termini di attività sociali e lavorative per ampie regioni del suo territorio che hanno contribuito a rallentare l’economia cinese e quindi quella mondiale. Come gli Stati Uniti, anche la Cina ha pensato innanzitutto a risolvere i suoi problemi sanitari, economici ed occupazionali interni, senza volgere l’attenzione a ciò che stava accadendo nel resto del mondo, e a livello macroeconomico.
Il conflitto russo-ucraino e le ricadute sull’economia mondiale
Anche l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia del febbraio 2022 ha comportato un’esplosione dei prezzi alla distribuzione e al consumo, in particolare delle materie prime e di quelle energetiche. L’indice dei prezzi delle materie prime energetiche calcolato dal Fmi, infatti, è aumentato del 43% nel corso del primo semestre del 2022. Ad oggi, invece, esso risulta superiore rispetto alla fase pre-Covid del 162%.
Ovviamente si tratta di indici che riguardano l’economia generale che andrebbero ricalibrati sui singoli paesi. In Italia, si registra una perdita del potere di acquisto che rischia di associarsi, per l’effetto diretto sui salari delle famiglie più fragili, a crescenti tensioni sociali. I recenti scioperi sindacali e diffuse tensioni sociali sono un indice chiaro di una fibrillazione diffusa che rischia di manifestarsi a partire dai primi mesi del 2023.
La crisi attuale potrebbe colpire l’economia mondiale
Il quadro generale peggiora ulteriormente se si pensa che due tra le più importanti istituzioni deputate a contrastare inflazione e speculazioni come la Banca Centrale Europea e la Fed, ossia la Riserva Federale degli Stati Uniti, stanno intervenendo con politiche monetarie restrittive le cui conseguenze saranno scontate, come ampiamente dimostrato dalla storia economica del secondo Novecento in Occidente, soprattutto dalle fasce più deboli della popolazione. Lo stesso presidente della Fed, Jerome Powell, in un recente incontro mondiale tra i banchieri centrali di tutto il mondo, ha esplicitamente dichiarato che la crisi economica causerà gravi difficoltà a famiglie e imprese perché la gestione della crisi è affidata a politiche restrittive per ciò che riguarda il rinnovo dei contratti di lavoro, nel pieno rispetto della dottrina neoliberista, con lo scopo di calmierare il circolo vizioso “prezzi-salari”. Insomma, siamo seduti sul ciglio di un vulcano e sembriamo non rendercene conto. A differenza della crisi dei subprime della fine del decennio scorso, che aveva colpito le economie avanzate e risparmiato quelle in via di sviluppo, consentendo ad esempio a quella cinese di accelerare in modo repentino a livello mondiale, quella attuale potrebbe colpire l’economia globale innescando scenari che potrebbero diventare, insieme ai conflitti in corso e alle crisi politiche che si rincorrono, davvero assai pericolose.
Marco Omizzolo – Sociologo, ricercatore dell’Eurispes