Sono indimenticabili le strade italiane quando alcuni anni fa la squadra italiana di calcio vinse i mondiali. Guardai il tutto come uno studioso di antropologia culturale. E’ evidente che non sono un “tifoso” del calcio, neanche nelle occasioni per eccellenza, quando sembra che il fatto stesso di essere italiano ti dovrebbe portare a essere parte.
No, non mi sentivo e non mi sento parte. Mi sta stretto il ruolo di cittadino, figuriamoci quello di tifoso della squadra sul cui territorio ho deciso di abitare. Lo stesso vale per la Fiorentina, visto dove abito. Eppure il calcio è un bello sport; e quelle rare volte che riesco a vederlo senza pensare cosa c’e’ dietro (truffe e trucchi inclusi, anche nelle piccole squadre di serie Z), mi piace.
Fatta questa premessa, per la finale della coppa del mondo, nonostante sia un estimatore della cultura e della lingua francese, ho sperato vincesse la Croazia. Questi ultimi mi sono sempre stati simpatici, fin da quando erano nel giogo della Jugoslavia di Tito e con parte di loro mi comprendevo a volo vista la comune lingua italiana in gran parte dell’Istria. E poi, ho alcuni amici profughi da quelle terre, ed ho vissuto la loro storia in un certo modo di rivalsa umana.
Poi stamane ho visto l’immagine del presidente Macron che sultava alla vittoria della squadra del suo Paese come fosse un ultrà inglese, in posizione tutt’altro che plastica rispetto al suo compìto comportamento ed interloquire che lo ha contraddistinto nel contesto francese ed internazionale. E me ne sono convinto di più.
Ma ho pensato: i campionati del mondo di calcio sono qualcosa che va oltre il calcio. Ed è vero. Penso alla Russia, diventata terra di accoglienza per i più potenzialmente “indisciplinati” turisti che potevano capitarle, ed ha fornito una impeccabile performance di civismo nel gestirli e soddisfarli senza nessun problema.
E, dopo un lungo salto, arrivo ai finalisti. A cosa serve vincere una coppa del mondo? A dire a tutti di essere più bravi degli altri. E’ il gioco, la competizione. Nonostante le Olimpiadi avrebbero dovuto insegnarci, da memorabile tempo, che l’importante è partecipare più che vincere, sembra che la conquista del primo posto -Olimpiadi incluse- sia l’agognata aspirazione.
Il fatto di essere lì, fianco a fianco, come fratelli e sorelle di persone dei luoghi più lontani nel mondo, provoca ancora emozione… ma nei campionati mondiali di calcio si gioca tutto a suon di miliardi, mai come quando si tratta di gare dove la competizione è tra club, ma i miliardi contano uguale.
In virtù di queste riflessioni, mi sono ritrovato a sperare che vincesse la Croazia. Dedizione genetica e impulsiva verso i designati perdenti per eccellenza? Può darsi. Ma la mia riflessione è un’altra.
Qual è il ritorno economico del tutto? Ampio. Immagine che si traduce in attenzione, sponsor che si moltiplicano, curiosi di tutto il mondo che prestano maggiore attenzione.
Gli artefici francesi di questa vittoria, probabilmente, penseranno di essere diventati un modello sportivo, di squadra e di organizzazione, ma -e lo sanno anche loro- “passata la festa”, dovranno continuare a occuparsi delle presunte malefatte di Michel Platini negli organismi internazionali del calcio. Mentre gli italiani -per esempio- continueranno a godere della “vita, morte e miracoli” del calciatore Cristiano Rolando acquistato dalla Juventus e su cui impazzano le cronache (non solo sportive) per scoprire anche dove andrà a fare la pipì.
Quindi, la Francia, Paese più visitato al mondo, terra di bellezza, storia, arte, cultura trarrà ulteriori vantaggi dall’essere arrivata prima. A discapito della Croazia. Ma tra i due, chi ne aveva più bisogno? Risposta ovvia. Anche perche’ non credo che, se la Francia non fosse arrivata prima, ci sarebbe stato un crollo di visitatori per la Tour Eiffel. Mentre credo che ci sarebbero stati più visitatori in Croazia se quest’ultima fosse arrivata prima.
E tra i due, credo ne abbia più bisogno la Croazia. Ovviamente quest’ultima trarrà vantaggi anche dall’essere arrivata seconda, ma è innegabile che questi vantaggi sarebbero stati maggiore grazie a un loro primo posto (sulle magliette, per esempio, non è che scriveranno “seconda ai campionati del mondo 2018”, ma avrebbero potuto scrivere “prima”, anche in piccolo su tutte le magliette con il loro territorio stilizzato come immagine).
Pessimista e “negativista”? Non lo so. Io mi sento solo una persona che, avendo occhi e orecchie aperte e vedendo cosa il calcio è in barba a tutti coloro che credono sia ancora competizione sportiva ed eccellenza fisica e strategica, cerca di capire -col mio inutile “tifo” per la Croazia, nel caso specifico- come dare aiuto ai più bisognosi.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc