Mons. Mario Delpini anche la pazienza di Papa Francesco ha un limite

di ANDREA FILLORAMO

Non mi meraviglio più di tanto se anche Mons. Mario Delpini, metropolita di Milano, come tanti preti e vescovi, si rivela un carrierista alla ricerca di posizioni di sempre maggiore prestigio, appellandosi ad un presunto diritto di avere la beretta cardinalizia cosi come la tradizione, da tempo superata da Papa Francesco, che, come si sa, non lega da tempo  la nomina dei cardinali alle sedi  ma alle persone (vedi il caso Montenegro che allora era arcivescovo di Agrigento, arcidiocesi  in cui mai c’era stato  un cardinale).

E non solo: l’arcivescovo, di soppiatto e inaspettatamente – spero di sbagliarmi – è entrato a far parte della schiera dei contestatori non troppo occulti del pontefice.

Monsignor Mario Delpini, infatti, durante il pontificale per Sant’Abbondio, patrono di Como, città il cui vescovo Oscar Cantoni è stato nominato cardinale, con amara e improvvida ironia ha affermato: “Ci sono state delle persone un po’ sfacciate che si sono domandate perché il Papa non abbia scelto il metropolita per fare il cardinale e abbia scelto invece il vescovo di Como”.

Dato poi il fatto che il Papa è gesuita, continuò:” In questa scelta mi pare si riveli chiaramente la sapienza del Santo Padre. Perché ha scelto il vescovo di Como per essere un suo particolare consigliere? Io ho trovato almeno tre ragioni. La prima è che il Papa deve aver pensato che l’arcivescovo di Milano ha già tanto da fare, è sovraccarico di lavoro, e quindi ha detto: ‘bisogna che lavori un po’ anche il vescovo di Como e quindi ha pensato di dare un po’ di lavoro anche a te’. La seconda ragione è che probabilmente il Papa ha pensato: quei ‘bauscia’ di Milano non sanno neanche dov’ è Roma; quindi, è meglio che non li coinvolga troppo nel governo della Chiesa universale. E forse c’ è anche un terzo motivo. Se mi ricordo bene, il papa è tifoso del River, che non ha mai vinto niente, e forse ha pensato che quelli di Como potrebbero essere un po’ in sintonia perché si sa che lo scudetto è a Milano”.

Se vogliamo essere benevoli nei confronti dell’arcivescovo di Milano e pensare che la sua non sia una contestazione, che non ci sia, quindi, in lui alcuna forma di critica o antagonismo nei confronti di Papa Francesco, è certo che la sua sia un’ironia fuori luogo e tempo che sbeffeggia in pubblico il Papa e il vescovo di Como perché la sua sede è ancora senza porpora.

Egli sa chiaramente e meglio di me, essendo laureato in lettere classiche, che la figura retorica dell’ironia, detta anche antifrasi, consiste nell’esprimere il contrario di ciò che in realtà si vuole significare; suo scopo è evidenziare l’insostenibilità di ciò che si simula di sostenere o la validità di ciò che si finge di disapprovare e che, come la satira, e la provocazione è per sua natura irriverente.

Perché di beffa si tratta e non di altro. È un caso di sofisticato procedimento retorico che rientra a pieno titolo nelle caratteristiche dell’umorismo che rende l’offesa particolarmente pungente, utilizzata da Delfini che denunzia una sua frustrazione

Don Marco Pozza, scrittore e personaggio televisivo italiano, cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, che ha intervistato papa Francesco, così commenta: “Un arcivescovo, quello di Milano, che sbeffeggia in pubblico il Papa e un confratello perché la sua sede è ancora senza porpora era un qualcosa che ancora ci mancava alla collezione”.