C’è spazio per un partito conservatore in Italia? E’ una domanda che circola da qualche anno negli ambienti della politica italiana, in particolare in quelli del centrodestra. “Quello di un grande partito conservatore è un mio antico sogno, fin dal 1994″. Lo afferma il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, in un’intervista a Libero.
“Sarebbe – sottolinea Berlusconi – un passo importante verso il compimento della democrazia bipolare in Italia. Un partito di questo tipo dovrebbe essere qualcosa di simile al partito repubblicano negli Stati Uniti, quello di Lincoln e di Eisenhower, di Reagan e di Bush. Dovrebbe essere un partito plurale, al cui interno le idee liberali, cristiane, garantiste, che noi rappresentiamo, dovrebbero avere un ruolo fondamentale”. (Berlusconi: sogno un grande partito conservatore, 2.1.2023 Italiaoggi)
Dello stesso avviso Giorgia Meloni, anche lei convinta che bisogna andare oltre, non basta una coalizione, bisogna costruire un grande partito conservatore. “Oggi siamo nelle condizioni necessarie per realizzare un partito da edificare nel senso più tradizionale del termine, con le sue strutture e le sue aree, perché un grande partito non può essere un monolite, ma un contenitore di sfumature diverse unite nella grande famiglia del conservatorismo. Un partito conservatore e cattolico, patriottico e in grado di interpretare una nuova stagione riformatrice […]”. (Pasquale Ferraro, Giorgia Meloni lancia il grande partito conservatore alla guida della destra di popolo e di governo, 20 febbraio 22 nazionefutura.it)
E’ intervenuto nel dibattito anche l’ex presidente della Camera, Luciano Violante, convinto che Giorgia Meloni stia lavorando, “nella paziente costruzione di un vero partito conservatore, senza fascismi”. Certo secondo Marco Tarchi, non è facile il processo che porti a un partito conservatore, finché sussistono realtà autonome come Forza Italia e i gruppetti di Toti, Lupi e simili non sarà facile che questa prospettiva si concretizzi. A meno di non voler ridurre il conservatorismo a una mera copia dell’ala moderata della Democrazia cristiana. Che era ben altra cosa rispetto a quanto Meloni ha sempre dichiarato di voler creare.
“Le parole della Meloni su questo punto sono state nette, lucide e storiche – scrive Ferraro – “Fratelli d’Italia è la casa dei i conservatori italiani”, precisando che “Fratelli d’Italia non è la prosecuzione di An: Fratelli d’Italia è quello che avremmo voluto fosse il PdL e che il PdL non è riuscito a essere, un partito aperto fondato saldamente su dei valori, a vocazione maggioritaria”. Frasi che non lasciano dubbio sulla nuova stagione della destra italiana. Dopo la mancata rivoluzione liberale è giunto il momento della rivoluzione conservatrice, che non dovrà essere e non sarà una mera fusione di sigle.
La leader di Fratelli d’Italia può aspirare a guidare un partito conservatore, essendo presidente del Partito dei conservatori e riformisti europei (Ecr). E’ un disegno politico e culturale assai ambizioso, necessitante di tempo (e infatti non per caso ripete spesso che il suo governo durerà l’intera legislatura) e di costanza tutt’altro che illusorio. “Dal punto di vista culturale l’ambizione è connettere il vecchio pensiero conservatore, a suo dire da troppi anni in Italia dileggiato e lasciato ai margini della politica e della società, con la modernità espressa dal mondo occidentale così che essa non sia solo il portato del progressismo della Sinistra e di certo radicalismo liberal, bensì venga contaminata dal senso profondo della tradizione incarnato dalla religione, dalla famiglia, dalla nazione e insomma dai valori tipici della Destra conservatrice, ma non più meramente post-fascista e neppure post-missina”. (Enrico Farinone, Giorgia Meloni, obiettivo il Partito Conservatore, 28.1.23,ildomaniditalia.it).
In quest’operazione politica c’è anche “il mirabile tentativo di sdoganare il termine “conservatore” nel dibattito italiano. Operazione non semplice per una serie di ragioni storiche. La prima è che non c’è mai stato un partito conservatore, che si definiva esclusivamente tale, nella storia dell’Italia unita. La seconda è che la destra conservatrice si è sempre persa prima tra monarchici, nazionalisti e popolari poi, nell’era repubblicana, divisa tra Dc, Pli e Msi”. (Lorenzo Castellani, C’è spazio per un partito conservatore?, 15.12.21,Tempi.it))
Insomma, per Castellani, “la definizione del “conservatore” nella scena politica italiana è ancora nebulosa e tirarsi fuori dalle secche non sarà semplice. Forse non ci si deve spingere in là quanto Longanesi o Prezzolini, cioè di «conservatori in un paese in cui non c’è nulla da conservare», ma una certa cautela nell’impiego del termine è necessaria.”.
Il rischio è quello di dare un’idea di immobilismo. Come a dire «conserviamo perché va tutto bene, siamo qui per difendere un patrimonio condiviso». Un patrimonio ereditario che però oggi è molto esiguo. Sulla questione del conservatorismo, c’è un interessante studio, apparso nell’ultimo numero della rivista di Alleanza Cattolica, Cristianità (“Chi è conservatore? Il conservatorismo nella storia d’Italia”, n. 419, gennaio-febbraio 2023) L’articolo è firmato da Marco Invernizzi. Il punto di partenza è che il conservatorismo non è una ideologia, se vogliamo capire chi è stato conservatore e perché nella storia dell’Italia moderna. Il conservatore non ha una idea astratta e soggettiva dell’uomo e sul mondo che magari vuole imporre con la violenza come avvenne con la Rivoluzione del 1789, prima in Francia e poi negli altri paesi europei, e poi nel 1917 in Russia. “Il conservatore, come il controrivoluzionario – scrive Invernizzi – non ha idee precostituite ma ricava la propria visione dell’uomo e del mondo dalla realtà, cioè dalla natura e dalla Rivelazione […] egli è essenzialmente un ‘coltivatore’ e un ‘custode’ dell’ordine della creazione ”. Pertanto, il conservatore è il contrario dello gnostico, “che vuole ‘rifare’ l’uomo e il mondo secondo un proprio progetto, pensando che Dio si è sbagliato nel creare l’uomo e il mondo così come sono nella realtà”. Lo studio di Invernizzi è una sintesi della storia del conservatorismo in Italia, che prende corpo nell’epoca delle ideologie, soprattutto nei paesi anglosassoni, già durante la Rivoluzione Francese. Il primo a inquadrarlo politicamente è stato il deputato inglese, anglicano e whig, cioè conservatore, Edmund Burke (1729-1797)
Occorre precisare subito che sarebbe un errore qualificare i conservatori semplicemente come “degli innamorati del mondo pre-rivoluzionario […] Conservare non significa non vedere i limiti del cosiddetto Antico regime […]”. Il conservatore constata che la Rivoluzione è un processo che si allontana da quei principi fondamentali, da quei valori eterni, che lo Stato non creano ma trovano. Anche se conservare significa anche che bisogna “continuamente migliorare, riformare, adattare alle nuove situazioni: insomma chi vuole essere un conservatore deve costruire un futuro migliore senza imbalsamare il passato”.
Lo studio di Invernizzi propone ai lettori le esperienze più importanti di chi è stato conservatore e perché nella storia dell’Italia. A cominciare dalle Insorgenze del popolo italiano contro le truppe francesi di Napoleone che stavano portando la Rivoluzione nei nostri territori. “Gli insorgenti erano conservatori?”, Si chiede Invernizzi. Certamente,“Essi sono morti per conservare quei principi nei quali erano cresciuti, anzitutto la libertà di appartenere a una cultura e a una civiltà”.
Sconfitto Napoleone, il Congresso di Vienna nel 1815 riportò solo parzialmente le divisioni territoriali allo stato precedente e non ripristinò i principi fondamentali del bene comune su cui si fondava l’Antico Regime. In realtà, come scrive lo storico Giorgio Candeloro, quasi ovunque rimasero in vigore nel campo amministrativo, legislativo, finanziario e militare numerose leggi, metodi e usanze di origine rivoluzionaria o napoleonica. Lo stesso Metternich era un uomo formatesi nell’età dell’assolutismo illuminato, quindi non era un vero conservatore. Qui Invernizzi individua almeno due tipi di conservatori: “quello di chi si limitava, proprio come Metternich, a un conservatorismo delle istituzioni e quello che riteneva doveroso andare in profondità e riportare alla luce quei principi fondamentali del bene comune […]”. Intanto i rivoluzionari non scomparvero e si riorganizzarono. Nasce il Risorgimento, qui bisogna distinguere tra le due correnti ideologico-politiche, una “moderata” facente capo a Cavour e alla Corona dei Savoia, e una “repubblicana”, facente capo a Mazzini. Da alcuni, precisa Invernizzi, Cavour e la cosiddetta “Destra storica”, sono considerati entrambi conservatrici. Ma i veri conservatori sono stati sconfitti e dopo l’Unità d’Italia sono usciti dalla politica attiva. L’ultimo vero conservatore era stato Clemente Solaro della Margarita (1792-1869), ministro degli Esteri del Re Carlo Alberto. In realtà scrive Invernizzi i conservatori c’erano e si trovavano in quello che poi venne definito il “movimento cattolico”, la vera rappresentanza del “Paese reale”, contro quello “legale”.
In pratica, “con la prima espressione si indica la maggioranza della popolazione, ancora profondamente legata alla Chiesa; con la seconda, la minoranza al potere, che controllava i cosiddetti ‘poteri forti’, cioè la monarchia, l’esercito, il parlamento, la burocrazia”. Naturalmente non possiamo soffermarci per dare seguito alle varie motivazioni politiche dei cattolici conservatori del tempo e neanche per la frangia minoritaria dei cattolici liberali.
Si può sostenere che nell’Italia unita gli unici autentici conservatori erano i cattolici cosiddetti “intransigenti”, che rifiutavano la fine violenta del potere temporale del Papa. Essi erano riuniti nell’Opera dei Congressi (1874-1904), da cui nascerà l’UECI, l’Unione Elettorale Cattolica Italiana, che avevano il sostegno della popolazione e della gerarchia ecclesiastica. In questo periodo Invernizzi sottolinea la nascita di centinaia di opere d’impronta cattolica: banche, società operaie e di mutuo soccorso, casse rurali, leghe.
Il primo gesto rilevante dei cattolici dopo il Non Expedit è il “Patto Gentiloni”, che prende il nome dal presidente dell’UECI, Ottorino Gentiloni (1865-1916)
che si era accordato con i Liberali per far eleggere candidati liberali col voto dei cattolici, in cambio il rispetto degli eletti di alcuni principi essenziali della dottrina cristiana, il cosiddetto “eptalogo”, sette punti irrinunciabili.
Scoppia la Grande Guerra, che rappresenta un vero e proprio spartiacque nella storia moderna, secondo solo alla Rivoluzione Francese. “Chi è veramente conservatore intuisce la portata rivoluzionaria e l’ispirazione massonica del conflitto, voluto non solo per Trento e Trieste, ma anche per distruggere gli Imperi Centrali, in particolare quello asburgico […]”. Della grave situazione, secondo Invernizzi, sono i cattolici “conservatori” a rendersene conto, seguendo le indicazioni del magistero pontificio sulla “inutile strage”. E proprio questi cattolici che sono: “per la neutralità e per il non-intervento, anche perché ideologicamente ostili a quel nazionalismo che con la guerra avrebbe diviso episcopati e fedeli delle diverse nazioni in guerra fra loro”. Il conflitto mondiale sarà una vera e propria tragedia per uomini e famiglie, ma anche per l’Europa intera. Nonostante l’incredibile favore di don Sturzo, per la guerra, il PPI, che ha avuto una vita molto travagliata, “rappresenta l’involucro politico dentro il quale si accasano i conservatori”. Peraltro la Santa Sede abbandona il PPI e sceglie di collaborare con il fascismo, culminato con i Patti Lateranensi.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, assistiamo al referendum istituzionale tra Monarchia e repubblica, e alla vittoria della DC delle elezioni del 18 aprile 1948. Facendo riferimento a Renzo De Felice (1929-1996) il più grande studioso del fascismo, Marco Invernizzi si chiede se il consenso degli italiani al regime fosse un consenso di tipo “conservatore”, per certi aspetti si, ma non erano rappresentati nelle elite del regime, ma soprattutto nel popolo. Per questo tema, segnalo il recente volumetto di Oscar Sanguinetti, Fascismo e Rivoluzione. Per una lettura conservatrice”, Edizioni “Cristianità” (2022), dove vengono analizzati tutti gli aspetti del rapporto tra il regime e il conservatorismo.
Naturalmente il saggio di Invernizzi dà ampio conto della significativa vittoria del 18 aprile 1948 contro il Fronte Popolare delle sinistre, grazie all’apporto dei Comitati Civici di Luigi Gedda. Questa sì una vittoria dei conservatori. Che poi voteranno in massa per la DC. Anche se diversi cattolici conservatori avrebbero voluto la costituzione di un “partito romano”, alternativo alla DC, che poi non nacque. Tuttavia ricorda Invernizzi che la battaglia conservatrice venne persa anzitutto sul piano culturale e qui si fa riferimento ad un importante documento profetico sul “laicismo”, scritto dai Vescovi italiani nel 1960. Il mondo conservatore in Italia ha due riferimenti, la Chiesa e gli Stati Uniti, e due nemici: il partito comunista più forte dell’Occidente e il laicismo. Poi arrivò il 68 e sia chi vota per la DC o per i partiti di centro-destra perde la battaglia culturale, perché non fa propria l’analisi dei vescovi del 1960. Dopo il 68 emerge in Italia una Maggioranza Silenziosa, mentre il MSI, da partito prettamente nostalgico, passa a un partito con una dicitura conservatrice, “Destra Nazionale” (MSI-DN), una novità politica, premiata dagli elettori, ma che venne ridimensionata dal clima di violenza anti-fascista di quegli anni, ispirata dal PCI e dal comunismo extra-parlamentare. E siamo arrivati al 1994 al formarsi di un Polo coservatore che si definisce moderato, che sconfigge la “gioisa macchina da guerra” guidata da Achille Occhetto. Segna l’avvio di una nuova stagione politica, il cosiddetto “berlusconismo”. E qui Invernizzi, segnala l’importante libro di Giovanni Orsina, Il berlusconismo nella storia d’Italia, Marsilio, Venezia 2013. Intanto si segnala la parabola della Lega di Salvini che si stacca dall’esclusivo riferimento al Nord, arriva ad essere il partito più votato alle elezioni europee. Mentre il 25 settembre 2022, è Fratelli d’Italia, il partito erede del MSI-DN, il partito di centro-destra più votato. Giorgia Meloni, assume la guida del governo.
Prima di concludere le ultime riflessioni del saggio di Cristianità si fermano sul costante consenso dei conservatori ai partiti di centro-destra, a patto che rimarrà sempre alternativa al centro-sinistra. Anche se i partiti di centrodestra non si sono mai definiti conservatori, ma “moderati”. Tuttavia Invernizzi sostiene che anche se sono stati quattro i governi guidati dal “cavaliere”, è “riuscito a incidere poco nella vita pubblica del Paese”. Come spiega bene Orsina, “Berlusconi ha rappresentato il ‘Paese reale’ contro tutti i tentativi della politica partitica di ‘fare gli italiani’ attraverso interventi ‘terapeutici’ e ‘ortopedici’ dello Stato”.
Così elencando tutti i vari passaggi del conservatorismo del popolo italiano, a partire dalle insorgenze, Berlusconi si inserisce in questo elenco, anche se non è consapevole del tutto. Certo il berlusconismo, scrive Invernizzi, “ha cambiato il clima politico del Paese, ma non il Paese, come promesso”. E qui Invernizzi sottolinea un aspetto spesso rilevato nei nostri ambienti. “Le televisioni di proprietà di Berlusconi che, prima della sua discesa in campo, avevano spezzato il monopolio dello Stato sull’informazione televisiva, non hanno prodotto una informazione alternativa dal punto di vista culturale, anzi forse hanno espresso qualche prodotto ancora più lontano dai valori morali della tradizione cristiana”.A questo punto pare che una forza politica italiana senza ambiguità si sia finalmente espressa a favore del conservatorismo. E qui Invernizzi non si è lasciata sfuggire la citazione di Giorgia Meloni del filosofo contadino Gustave Thibon, autore di Ritorno al reale e di altri numerosi saggi critici della modernità. “Citare Thibon vuol dire avere letto i suoi libri e quindi sapere che si tratta di un uomo che ha dedicato molte sue riflessioni a denunciare le ideologie progressiste del secolo XX, auspicando un ‘ritorno al reale’, a quel realismo cristiano che si oppone alle ideologie del divenire fine a se stesso e impregnate di relativismo: anche al fascismo, che viene ancora imputato strumentalmente alla stessa Meloni”. Pertanto a parere del reggente nazionale di Alleanza Cattolica, “il conservatorismo di Giorgia Meloni, dunque, pare non essere una parola vuota, un modo per smarcarsi dall’accusa di neo-fascismo o un ‘atto dovuto’, essendo dal 2020 presidente in Europa del Partito dei Conservatori e dei Riformisti, ma rivela una conspaevolezza, garantita dal fatto che Thibon è una figura di riferimento delle migliori, sebbene per pochi”.
Certo la Meloni cita spesso anche Roger Scruton, ma citare Thibon è un’altra cosa, si vede che lo conosce e lo apprezza. Insomma è veramente coraggioso auto-definirsi conservatori, ma, nello stesso tempo, citare Thibon “è qualcosa di più e forse significa aver capito veramente che cosa si vuole conservare e che cosa si vuole costruire”. Infatti, “essere conservatori non significa sposare una nuova ideologia, ma avere un atteggiamento di rispetto, di amore e di conservazione verso il reale, l’ordine creato da Dio”. E, nel frattempo, “ricordare che non tutti sono conservatori veramente e che elencare i conservatori mettendo uno accanto all’altro Giuseppe Prezzolini (1882-1982) e Gabriele D’Annunzio (1863-1938), Benedetto Croce (1866-1952) e Giovanni gentile (1875-1944) significa soltanto fare confusione”.
DOMENICO BONVEGNA
dbonvegna1@gmail.com