di Alberto Malesani
A un certo punto mi hanno messo dalla parte degli allenatori che consideravano finiti e con il tempo l’ho accettato. Non c’è problema, mi esprimo in un altro mondo. Venivo dal mondo aziendale prima e oggi ci sono tornato. Quasi chiudendo un cerchio.
A volte ho provato del dispiacere, ma non traumi. Quelli proprio no.
Di una cosa sono rimasto male, che l’esperienza in questo paese, e di conseguenza nel calcio, non venga premiata.
Se mi manca allenare? A questa domanda rispondo sempre la stessa cosa: uno che ha fatto per 26-27 anni il professionista, ad alti livelli, il calcio non può sparirgli dall’anima.
In particolare, a uno come me, che ha vissuto questo sport sempre a duecento all’ora, 24 ore su 24.
La cosa che più mi è mancata finora è il prato verde, il pallone, l’aspetto didattico, la tattica che si fa giornalmente con la squadra, il creare qualcosa. L’allenamento globale, quotidiano.
Altre cose non mi mancano, francamente. Ma questa sì, mi mancherà sempre. E per sempre.
Oggi mi occupo di campagna, di potature. Per me è un orgoglio aver dato vita ad una creatura mia, di famiglia. È una roba che senti dentro.
Certo, se non avessi guadagnato due soldini con il pallone, sarebbe stata dura, però ci siamo. E facciamo vino, un prodotto che fa parte dell’eccellenza di noi italiani.
Così facendo, ho dato da lavorare anche ad alcune persone. Invece di andare a Montecarlo a fare il pensionato, credo di aver fatto un’opera socialmente utile.