E’ sempre più frequente nel linguaggio l’utilizzo dell’espressione “nuovi diritti”. Molte volte non se ne conosce il reale significato anche perché è di uso recente.
Cosa si intende per nuovi diritti?
Si fa riferimento a i diritti soggettivi e collettivi che nel corso degli ultimi decenni del Novecento sono stati socialmente e politicamente rivendicati e hanno ottenuto, in forme diverse, riconoscimento.
I nuovi diritti hanno tutti la stessa applicazione e riconoscimento?
Purtroppo no!
Alcuni sono ormai strumenti normativi accettati e riconosciuti come ad esempio il diritto ad un ambiente non inquinato.
Altri – per esempio il diritto collettivo a usare la propria lingua madre o a praticare la propria fede religiosa o a utilizzare le risorse idriche della propria terra – sono sanciti sulla carta ma non hanno effettivo riscontro e tutela.
Tra i nuovi diritti rientra anche quello alla sessualità Con “diritto alla sessualità” si intende dare tutela ad una pluralità di situazioni, inclusa la tutela della donna vittima di violenza carnale e la rettificazione anagrafica delle persone transessuali.
Come si esplica il diritto alla sessualità?
In assenza di norma completa la tutela è stata offerta e ricavata dalla giurisprudenza, a partire dagli anni Ottanta.
In tema di violenza carnale, fondamentali sono le argomentazioni della sentenza 561/1987 dove, con riferimento ai reato di violenza carnale, si legge: “essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana il diritto di disporne liberamente e senza dubbio un diritto soggettivo assoluto che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla costituzione e inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art.2 Cost. impone di garantire”.
Con riferimento ai transessualismo ha particolare rilievo la sentenza 161/1985 dove, con riferimento alle contestazioni sulla rettifica anagrafica della persona transessuale, si ribadisce che “a termini dell’art.2 è assicurato a ciascuno il diritto di realizzare nella vita di relazione la propria identità sessuale da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità; per cui correlativamente gli altri membri della collettività sono tenuti a riconoscerlo per dovere di solidarietà sociale.”
Per completezza va chiarito che anche la disciplina delle coppie omosessuali era tutelata dal diritto alla sessualità.
Il termine passato è doveroso: dall’approvazione della Legge Cirinnà, la tutela non deve più essere ricercata all’interno della giurisprudenza ma è – o meglio dovrebbe essere – ricompresa nella predetta Legge.
Sara Astorino, legale, consulente Aduc