di Roberto Malini
La politica, nel suo senso tradizionale, è spesso intesa come lo strumento attraverso cui le società affrontano i loro problemi collettivi, mediando tra interessi e valori diversi per trovare soluzioni. Tuttavia, le criticità strutturali della politica moderna sono profonde, poiché essa tende a subordinare il senso di giustizia individuale agli interessi di partito o di coalizione. Questo meccanismo soffoca i valori personali e oscura le questioni fondamentali come i diritti umani, la pace e la libertà.
I giovani, ancora oggi, coltivano lo stesso ideale di giustizia che animava i grandi attivisti del passato. Martin Luther King, nella sua lotta per i diritti civili, esprimeva questa sete di giustizia universale quando affermava: “No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente”. Questo ideale di giustizia non può essere ridotto o compromesso, eppure la politica moderna sembra incapace di rispondere a questa domanda urgente. I compromessi elettorali e le logiche di potere spesso trasformano coloro che si impegnano per una giusta causa in figure che devono adattarsi a un sistema corrotto e indifferente, tradendo così i valori più nobili.
Le forme di governo che conosciamo, dalla democrazia rappresentativa alle più autoritarie, non solo non sono riuscite a risolvere i problemi più profondi della giustizia sociale e ambientale, ma hanno contribuito a perpetuare una civiltà prepotente e distruttiva. Questa civiltà ha ignorato i diritti delle generazioni future, dell’ambiente e delle specie non umane. Siamo sull’orlo di una crisi climatica irreversibile, con terre e mari contaminati, foreste abbattute, e un vasto arsenale nucleare e biologico che minaccia la stessa sopravvivenza del pianeta. La corruzione, il cinismo e l’inerzia delle istituzioni politiche hanno alimentato questa devastazione.
Di fronte a questo scenario, è lecito chiedersi: è la politica, questa politica, il vero strumento di cambiamento o non è invece un ostacolo a esso? Invece di vedere i giovani intrappolati nelle logiche del potere istituzionale, dove la giustizia rischia di diventare merce di scambio, non sarebbe auspicabile un percorso alternativo: quello della difesa dei diritti umani e della democrazia radicale. Essere difensori dei diritti umani significa mettere al centro della propria azione la dignità e la giustizia, senza compromessi. Si tratta di agire in prima persona, non attraverso partiti o istituzioni che diluiscono l’ideale in logiche di convenienza. Esiste una Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Difensori dei diritti umani, adottata nel 1999, che riconosce “l’importante ruolo della cooperazione internazionale e l’apprezzabile lavoro di individui, gruppi e associazioni nel contribuire all’effettiva eliminazione di tutte le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei popoli e degli individui”.
I movimenti sociali e l’ecologia politica offrono spazi nuovi per questo tipo di impegno diretto. Le tecnologie digitali, per esempio, stanno creando reti globali che non rispondono ai limiti geografici o alle vecchie strutture di potere. Qui, la democrazia radicale può fiorire: un modello di partecipazione che superi la democrazia rappresentativa tradizionale, promuovendo la partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni che li riguardano, attraverso forme di attivismo collettivo, orizzontale e decentralizzato. Queste forme di governance comunitaria si basano sull’idea di un potere condiviso, capace di rispondere ai bisogni delle persone e dell’ambiente senza scadere nel compromesso che caratterizza i tradizionali meccanismi politici. Non si può privare i giovani della speranza di intraprendere nuovi percorsi che riguardino la civiltà e il pianeta, non si può impedire che essi lavorino per rafforzare una connessione intergenerazionale contigua ai grandi movimenti del passato e contemporaneamente abbiano l’opportunità di innovare e trovare nuove forme di azione per affrontare sfide globali come il cambiamento climatico.
L’ecologia profonda è un altro aspetto essenziale di questo nuovo paradigma. Essa non vede l’uomo come dominatore della natura, ma come parte di un tutto interconnesso. Difendere i diritti umani non può prescindere dalla difesa della natura e delle specie non umane, perché la giustizia non può essere separata dalla sostenibilità ecologica. L’uomo e l’ambiente sono due facce della stessa medaglia: la distruzione di uno equivale alla distruzione dell’altro.
Reti di solidarietà, cooperative, movimenti di giustizia climatica e sociale stanno già dimostrando che è possibile creare cambiamenti reali al di fuori delle logiche tradizionali. Questi movimenti, fondati sul principio del potere collettivo, si sviluppano su base volontaria, inclusiva e partecipativa, costruendo nuove forme di aggregazione che pongono al centro il bene comune.
Il punto centrale di questo manifesto è che la giustizia non può essere il risultato di compromessi politici, ma deve scaturire da una visione etica chiara e intransigente. Come diceva King, la giustizia deve scorrere come un fiume possente, e non può essere fermata da barriere politiche o logiche elettorali. I giovani di oggi hanno la possibilità di aprirele chiuse e lasciar scorrere quel fiume, non attraverso i canali istituzionali tradizionali, ma attraverso nuove forme di impegno sociale e politico che superino le divisioni nazionali e abbraccino la giustizia globale e intergenerazionale.
In definitiva, come non riconoscere che la politica tradizionale è troppo radicata nei suoi difetti per generare un vero cambiamento. E che i giovani, attraverso la difesa dei diritti umani e l’attivismo diretto, possano diventare i veri agenti di una trasformazione virtuosa. È al di fuori delle logiche del potere tradizionale che si trova la vera speranza per un futuro migliore. Invece di lasciare che la giustizia sociale e naturale venga compromessa dalla politica, possiamo trasformare il nostro mondo in un luogo più equo, sostenibile e umano.