Perché si spara a un candidato presidente?

Democrazia: nel paese che ripete all’infinito questa parola di antica origine, proponendosi costantemente di attuarla nel migliore dei modi possibili e di esportarla, come fosse una tecnologia, non si acquietano i fermenti di conflitto interno, di violenza politica, di una rabbia che vede quali obiettivi le istituzioni di oggi e di domani. A cosa pensava un ragazzo di 20 anni, repubblicano, tale Thomas Matthew Crooks, prima di uscire di casa con un’arma, progettando di uccidere Donald Trump?

È una delle domande che si pone chi riflette sulla tragedia avvenuta al comizio dell’ex presidente in località Butler, Pennsylvania. Il giovane ucciso dai servizi segreti, dopo aver ferito il tycoon, ucciso una persona e averne ferite altre due, si sentiva, probabilmente, una specie di supereroe, un difensore della democrazia.

Il cielo era cupo, nonostante fosse un giorno d’estate. Le nuvole grigie sembravano riflettere l’inquietudine che si agitava dentro di lui. Thomas camminava lentamente lungo strade che sembravano estranee alla sua esistenza. Ogni passo risuonava come un’eco delle sue riflessioni tormentate.

“Perché devo sentirmi così impotente?” pensò il giovane stringendo fra le mani l’arma chiusa in una sacca militare. “Tutto ciò che vedo intorno a me è un’illusione di libertà. Trump… è lui la causa di tutto questo. Ha cercato di sovvertire la nostra democrazia per restare al potere a adesso manipola tutto: i media, il buon senso, per ottenere i suoi fini. La gente non capisce, si lascia ammaliare e lui consuma la verità giorno dopo giorno, così come consuma la terra, l’aria, l’acqua, la nostra speranza.”

I ricordi delle sue prime delusioni riaffioravano con prepotenza. “Ero destinato a un futuro migliore, una vita piena di possibilità. E invece, eccomi qui, intrappolato in un sistema che non lascia spazio per i sogni, unico a vedere il pericolo che ci minaccia e che proviene da un solo uomo. Come posso continuare a vivere così, come se niente fosse?”

La rabbia cresceva, alimentata dalla frustrazione e dal risentimento. “Non posso più accettare questa situazione in cui la corruzione, l’arroganza, la menzogna vengono presentati come se fossero i nostri valori americani,” si disse. “Deve pagare per tutto questo. Devo fare qualcosa. Devo…”

Il pensiero di attentare alla vita del candidato si affermava nel suo animo come l’unica via d’uscita. “Se lui non ci fosse più, forse le cose cambierebbero. Forse, potremmo finalmente respirare, vivere davvero. Ma come posso, io, che sono solo un ragazzo, avere un impatto così grande? Eppure, se nessuno agisce, nulla cambierà mai.”

Thomas guardava le persone intorno a sé, immerse nelle loro vite quotidiane, ignare del cambiamento che stava arrivando, della liberazione… “Non capiscono,” rifletté. “Vivono nella loro bolla, accettando tutto senza fare domande. Ma non posso, non voglio. Qualcuno deve aprire gli occhi a questo mondo, far vedere le cose come sono, senza manipolazioni. E se tocca a me farlo, allora così sia.”

Il suo pensiero diventava sempre più chiaro, la sua determinazione sempre più forte. “Non si tratta solo di rabbia,” si disse. “È per un futuro migliore, per un mondo dove la libertà non sia solo un’illusione. Lui… lui ha trasformato le nostre vite in un incubo e io devo svegliare l’America.”

Una brezza d’aria calda, come il getto di un asciugacapelli lo raggiunse in viso, che contrasse in una smorfia bizzarra. “So che sarà difficile,” pensò, “ma non posso più indietreggiare. Devo farlo e devo fare in modo che questo sacrificio non sia vano.”

A ogni passo, Thomas sentiva crescere la sua risolutezza. “Deve cadere. Solo allora potremo costruire un nuovo inizio, un futuro dove ogni vita abbia valore, dove la democrazia sia reale e non un sogno irraggiungibile, continuamente tradito dalla sua arroganza. E io… sarò colui che avrà dato inizio a tutto questo”.

Roberto Malini