“Spett. Azienda”. Così potrebbe iniziare una lettera a una azienda, nazionale o estera, per sollecitarla a investire nel nostro Paese.
Prosegue la lettera:
Siamo il Paese del buon clima, della ottima gastronomia, abbiamo il mare, le Alpi, la storia, un patrimonio artistico insuperabile. Tutte condizioni per ben lavorare e siamo al centro del Mediterraneo, in una situazione logistica interessante; ci sono, quindi, tutte le condizioni per investire in Italia.
Perché non investite da noi?
La risposta, secca e definitiva, che arriva dall’azienda interpellata, è: perché la vostra giustizia non funziona e perché cambiate le regole del gioco a partita iniziata.
Perché mai dovremmo aggiungere al rischio di impresa, il rischio Italia?
Siete un Paese inaffidabile.
Ha ragione l’azienda interpellata?
Vediamo.
In Italia occorrono tre anni e mezzo per arrivare a una sentenza di primo grado; poi c’è l’appello e il ricorso in Cassazione.
Quanto tempo deve aspettare una impresa per avere ragione in un contenzioso? Nel frattempo l’attività si ferma con relativi danni economici.
Ora, con l’abolizione della prescrizione i tempi processuali si allungheranno all’infinito; invece di intervenire per diminuirli si è scelto l’esatto opposto, dilatandoli. E’ il fine processo mai.
In Italia le norme cambiano frequentemente. Il caso Ilva ne è l’esempio classico: è stato introdotto lo “scudo penale”, per consentire di procedere nella messa a norma degli impianti. Ne hanno potuto usufruire i commissari governativi, ma non la società Arcelor-Mittal.
Il risultato è che la Arcelor-Mittal se ne andrà e, con essa, un progetto industriale di transizione ambientale a carico dell’azienda.
Sono state le istituzioni (Parlamento, governo, ecc.) che hanno remato contro, cambiando le regole del gioco a gioco iniziato.
Dunque, perché mai, direbbe l’azienda interpellata, dovremmo investire in Italia?
Primo Mastrantoni, segretario Aduc