Prezzi biglietti aerei e viaggi. Perché è finita la pacchia

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Sì, è pacchia quella che c’è stata in questi ultimi anni per i prezzi dei  biglietti aerei… un volo per Londra, per esempio, ad una decina di euro. Oggi impensabile se non in rarissimi casi in cui occorre fare attenzione che tra raggiungere (tempi e costi) aeroporti non proprio ben collegati con le città, check-in, scelta del posto, bagaglio che non sia il necessaire, è probabile arrivare e sfondare i 100 euro… comunque un buon prezzo per Londra, ma con base 10 euro…

 

Quella che abbiamo vissuto in questi ultimi anni di low cost è stata l’onda lunga di un modo di viaggiare che, anche molto prima del low cost, a partire dagli anni 70 del secolo scorso, aveva capofila i voli stand by da Londra per New York (e a Londra ci si andava col treno). E poi via via, alcune agenzie anche italiane che, per esempio, vendevano voli diretti Roma/New York e ritorno a 400mila lire (poco più degli attuali 200 euro). Attori: alcune compagnie aeree Usa che, spinte da alcune agenzie (americane ed europee) che volevano “democratizzare il trasporto aereo”, avevano colto un potenziale business.

L’onda lunga, con l’irlandese Ryanair in prima fila, è quasi esaurita. Si pensi, per esempio, che il vettore irlandese è oggi il primo per voli e passeggeri in Italia e uno dei maggiori in Europa. Quando si arriva a questi livelli, a meno che non si abbia un solido background culturale e di scelta politica, il mercato che è diventato “tuo” te lo gestisci come vuoi… e la scelta è quella che vediamo nei prezzi alti dei biglietti di questa estate…. altro che “democratizzazione”.

Lo stesso vale per i viaggi. Quando c’era il “prurito” della “democratizzazione” (“dove si scopre  che un viaggiatore non è un turista”), se incontravi un italiano o un francese o uno spagnolo o un tedesco o uno svizzero, per esempio, a Madras in India o nelle foreste del Kigali in Africa o a Cochabamba in Bolivia o nelle isole Marchesi del Pacifico del Sud, ci fraternizzavi, con racconti e scambi di esperienze, scambiavi i recapiti, vivevi alcune esperienze insieme e ti davi appuntamento alla tappa successiva. Oggi, quando incontri un italiano, ammesso che tu ci parli e scopri che abita nella tua stessa strada della tua città, al massimo fai un saluto e ti sciogli un po’ per esercitarti con la tua lingua madre.

I voli e i viaggi “democratizzati” non sono nostalgia, “si stava meglio prima”, ma storia. Il superamento dal dover investire lo stipendio mensile di un impiegato per pagarsi il viaggio a New York o Bombay, il superamento di viaggi come se fossero “un tè nel deserto”. Tutto questo non c’è più.

C’è solo business. E ognuno lo offre a suo modo.

Che non è male, ma stenta ancora ad affermarsi in alcune culture, come l’italiana ed europea, dove l’individuo talvolta continua a pretendere che molto gli sia dovuto dallo Stato o crede che i ricchi siano cattivi e che si possa fare anche l’illecito per  vivere da ricchi. Approccio che, tradotto in istituzioni ed economie, porta le prime a maltrattare i diritti e le seconde a cercare spazi con inganno, financo truffe.

E’ questo il contesto in cui, uno strumento di vita importante, il viaggio, aereo in modo particolare, è un business al pari di altri.

Noi consumatori bisogna farsene una ragione e, per esempio, quando si prenota un volo o un albergo, dovremmo farlo con lo stesso sospetto, pretese e attenzione di quando cambiamo il gestore del telefono. Chi ci vende un volo o un albergo, non è per niente diverso da chi ci martella al telefono col fastidioso telemarketing.

I consumatori del viaggio non sono ancora cresciuti come, invece, sono cresciuti/cambiati coloro che offrono viaggi. Diamoci una mossa, il mercato siamo noi consumatori.

Vincenzo Donvito Maxia, presidente Aduc