Proteine vegetali, la nuova frontiera dei consumi alimentari

Le proteine vegetali rappresentano in maniera sempre più diffusa un’alternativa alle proteine animali. Ciò non solo per la mutata sensibilità dei consumatori in materia di vegetarianesimo e benessere animale, ma anche per i ritrovati alimentari che riescono ad oggi a replicare in maniera molto efficace benefici e apporto nutrizionale delle proteine di origine animale. Secondo la Bva-Doxa, sono ormai 22 milioni i consumatori italiani che scelgono le proteine vegetali, e non solo per la curiosità di assaggiarle una sola volta: il 54% infatti li riacquista, il 21% abitualmente e il 33% occasionalmente.

I dati forniti da Unionfood offrono uno spaccato sui prodotti preferiti dai consumatori. Burger, cotolette, polpette e nuggets a base di proteine vegetali sono preferiti dal 57% degli intervistati; il 47% compra invece bevande a base di soia, riso, avena, mandorla e cocco; seguono i gelati e i dessert (25% del totale), mentre i biscotti (22%) sono preferiti soprattutto dagli under 35. Insomma, i prodotti “plant-based” non rappresentano una moda passeggera bensì un cambio progressivo ma convinto nelle abitudini alimentari dei consumatori, considerando che il 54% di chi li assaggia diventa poi un cliente abituale.

Entro il 2030 la carne sintetica arriverà a costare tanto quanto quella animale

La carne sintetica è una realtà consolidata e che potrebbe in futuro impattare in maniera incisiva sul consumo alimentare e sull’ecosistema, ad oggi impoverito da allevamenti intensivi e produzione di foraggi per alimentare gli animali destinati all’industria alimentare. Si tratta di carne coltivata in vitro ottenuta prelevando cellule staminali animali. Gli analisti di McKinsey – che hanno per primi fatto un approfondito studio di mercato a riguardo – affermano che, entro il 2030, la carne sintetica arriverà a costare tanto quanto quella animale, per un giro di affari che, secondo le stime, nel 2030 raggiungerà i 25 miliardi di dollari. L’industria globale della carne vale oggi circa 2mila miliardi di dollari secondo quanto riportato da IDTechEx (società di consulenza inglese che fornisce ricerche di mercato nel settore della tecnologia), mentre il settore delle alternative alla carne ha raggiunto un valore di 20 miliardi di dollari con una crescita prevista di altri 3 miliardi di dollari entro il 2024. 

Consumo di carne e impatto della zootecnia sull’ambiente

La quantità di carne prodotta oggi è di quasi 5 volte maggiore rispetto a quella dei primi anni Sessanta, passando da circa 70 milioni di tonnellate a quasi 330 milioni di tonnellate annue (BBC 2019). La classifica dei paesi in cui si mangia più carne è guidata da Stati Uniti e Australia, con circa 116 kg pro capite annui ma consumi mediamente più elevati si registrano in tutto l’Occidente. L’Europa, Italia inclusa, mostra un consumo di circa 80-90 kg pro capite, mentre è il consumo è decisamente ridotto nei paesi a basso reddito e si assesta su valori dieci volte inferiori ai nostri (circa 7 kg pro capite) (fonte: FAO). Il 76% della produzione mondiale di carne è concentrata in Europa, Asia e Nord America, con il principale contributo proveniente da Cina, Stati Uniti e Unione europea (FAO). La stessa FAO stima che l’industria alimentare sia responsabile di circa un terzo delle emissioni globali di gas serra e che l’80% di queste siano riconducibili alla produzione della carne e dei derivati animali. Di contro, gli allevatori citano i dati del Rapporto Ispra “TEA-Transizione ecologica aperta. Dove va l’ambiente italiano?” (dicembre 2021). Il Rapporto afferma che gli allevamenti contribuiscono in Italia all’80% delle emissioni di anidride carbonica provenienti dall’attività agricola, pari a circa il 5,2% del totale delle emissioni a livello nazionale, dato nettamente più basso rispetto a quello imputato agli allevamenti su scala mondiale.

Proteine vegetali vs proteine animali

Secondo il Rapporto Coop 2021 “Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” nell’ultimo anno il carrello “green” degli italiani è valso 10 miliardi di euro e circa un quarto delle proteine assunte in Italia è stata di origine vegetale, per un valore di oltre 800 milioni di euro. Il 37,9% delle famiglie ha acquistato alimenti “plant based” e le vendite hanno visto una crescita record: +47% le bevande, +44% i piatti pronti, +35% surgelati, +34% salse e condimenti. Questa crescita non è stata trainata dai consumi dei vegani e dei vegetariani, ma dai milioni di italiani che hanno deciso di ridurre l’apporto di proteine animali nella propria dieta. Il business sugli scaffali è così allettante che numerose aziende hanno investito nel settore della “fake meat”; non solo le pioniere americane Beyond Meat e Impossible Food, ma anche start up di tutto il mondo, fra cui le italiane VeganDelicious e Joy Food, nonché i grandi marchi come Granarolo, Nestlè e Findus. Quello del “plant based” appare oggi uno dei settori più promettenti del comparto alimentare che, secondo i dati di Statista.com valeva oltre 12,8 miliardi di dollari americani nel 2020 e sarà in grado di superare i 35 miliardi nel 2027.

La quantità di carne prodotta oggi è di quasi 5 volte maggiore rispetto a quella dei primi anni Sessanta

Tra le alternative alla carne, un discorso a parte va fatto per la carne sintetica. Secondo le stime, due mesi di produzione di carne in vitro potrebbero produrre 50.000 tonnellate di carne da dieci cellule muscolari di maiale. La carne così coltivata produrrebbe “solo” il 4% dei gas serra e ridurrebbe del 45% i consumi energetici, sfruttando soltanto il 2% del suolo necessario alla filiera della carne, ma non tutta la comunità scientifica concorda su questi numeri. Attualmente, la carne in vitro ha costi di produzione troppo elevati e sembra ancora lontana la sua diffusione su larga scala; sembra però essere la soluzione del futuro alla crescente domanda globale di carne. Sulle proteine vegetali, gli studi di settore dimostrano come l’impronta ecologica delle principali tipologie di prodotti a base vegetale sia più bassa degli analoghi derivati dalla carne: è stato calcolato che se una persona consumasse un giorno a settimana, per un anno, una bevanda di origine vegetale invece dell’equivalente di origine animale, le emissioni di CO2 diminuirebbero di 104 kg, la stessa quantità prodotta da una settimana di consumi elettrici di una famiglia o da 13 ore di viaggio in auto. L’OMS sottolinea l’impatto positivo che le diete basate su frutta, verdura e legumi hanno sulla salute umana, ma mette in guardia dal consumo dei sostituti della carne ultra-lavorati, accusati di essere troppo spesso ricchi di grassi saturi, sodio e zuccheri, ma di offrire valori nutritivi nettamente insufficienti: questi alimenti così ben accolti dai consumatori perché giudicati buoni e salutari, nella maggior parte dei casi, risultano privi di vitamine, sali minerali e fibre necessari al benessere delle persone. Fra i prodotti “plant based” ritenuti più pericolosi per la salute figurano proprio quelli più amati: hamburger, salsicce, cotolette, bevande, yogurt e formaggi vegetali. Inoltre, trattandosi di alimenti che richiedono molta lavorazione industriale, benché il minor impatto ambientale durante la fase agricola della loro produzione sia ampiamente dimostrato, resta dubbio l’impatto generato in fase di trasformazione.

 

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