Il Tar della Calabria (sentenza 302/2019) ha respinto il ricorso di un’associazione ambientale che, per accreditare la propria presenza in ambito istituzionale, aveva portato il numero di like che era riuscita a raccogliere su Facebook. I follower, secondo i giudici, sono solo osservatori e non validano la presenza sul territorio che invece, per il fatto di specie, era determinante .
Colpisce il fatto che questa associazione sia arrivata fino a ricorrere al Tar con motivazioni del genere. Certo abbiamo uno dei due partiti di governo in Italia che vive di altrettanta farina, e quindi non dovremo stupirci che si sia cercato di far valere un riflesso del genere sull’amministrazione locale. Ma – merito ai giudici – la politica di immagine e di urla è una cosa (pur coi suoi successi), l’amministrazione è un’altra.
Lungi da noi voler criticare la libertà di chiunque di organizzarsi in partito come meglio crede. Ma tutte le critiche possibili e immaginabili quando si tenta di far assurgere i propri metodi interni, le proprie scelte a leggi dello Stato. In Italia, in materia, c’è un po’ il vizio di confondere reato e peccato (ora meno di alcuni fa, ma gli strascichi sono ancora lunghi), ma qualcuno ora ha posto dei limiti. L’Italia è oggi il Paese dove un ministro (dell’Interno, Matteo Salvini, potere esecutivo) dice di arrestare qualcuno che
secondo lui viola la legge (immigrati che chiedono di essere salvati dall’annegamento) (funzione che spetta ad un potere diverso che è tale per garantire la nostra democrazia, quello giudiziario)… quindi questi limiti ci sono e non ci sono. E per questo, pur se ci colpisce, non ci stupisce che qualcuno possa aver pensato che i follower di Facebook avessero funzione di legge.
Allo stato dei fatti diciamo: non ancora.
Perchè, visto l’andazzo, non ci stupiremmo più di tanto, così come si fa oggi in termini politici e mediatici, che le condanne dei “tribunali social” possano diventare effettive a tutti gli effetti. Grande Fratello di orwelliana memoria? Sì. Non siamo noi ad usare e perseverare nelle condanne mediatiche e politiche, ma sembra che proprio tutto un regime, che oggi (e non solo) ci governa, ne faccia disinvoltamente uso. Il passo dal peccato al reato è sempre breve.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc