La crisi delle banlieue francesi deve far riflettere anche noi. Troppi cittadini si sentono emarginati. I disagi e i malesseri sociali sono moltiplicati. ASviS: serve un grande progetto nazionale di rigenerazione urbana.
di Andrea De Tommasi
Ci si è domandati se esiste un canone unico, riconosciuto, dietro le fiamme che hanno incendiato le periferie francesi dopo la morte di Nahel Merzouk, il 17enne ucciso da un poliziotto a Nanterre. In realtà gli interrogativi sono numerosi e occorre cercare di capire le radici e le ragioni di una crisi delle “aree marginali” che è allo stesso tempo di sicurezza, sociale, politica ed educativa. Non è un caso che poche settimane prima dell’uccisione del ragazzo, un gruppo di amministratori locali avesse lanciato l’allarme. “Le periferie sono sull’orlo dell’asfissia”, hanno scritto su Le Monde , sottolineando la povertà e “la situazione di disagio alimentare” di alcuni abitanti a causa dell’inflazione. E ci si deve anche interrogare sulla risposta di tutti quei francesi che hanno contribuito a una colletta a favore del poliziotto attualmente in prigione, raggiungendo un importo molto maggiore di quello raccolto a favore del giovane Nahel.
La questione delle seconde generazioni, figlie e figli di immigrati ma nati in Francia, per fare un altro esempio, si pone in questo Paese non perché questi giovani siano culturalmente poco integrati, ma probabilmente perché hanno acquisito le stesse aspirazioni e gli stessi modelli di riferimento dei loro coetanei autoctoni senza la possibilità di raggiungere lo stesso tenore di vita. Ha osservato l’economista Leonardo Becchetti sull’Avvenire:
La povertà di senso del vivere di troppi che non riescono a fare la rivoluzione dentro di loro e a diventare cittadini attivi e generativi è la malattia profonda delle nostre società occidentali (meno di quella italiana dove qualche anticorpo in termini di relazioni e valori ancora tiene).
Non serve scomodare Andrès Rodriguez-Pose e le sue “geografie del risentimento” per capire che la marginalizzazione estrema è un detonatore di conflitti. E che nei territori abbandonati dalle politiche prende forma un malcontento – “una vendetta dei luoghi che non contano”, per dirla ancora con il professore della London School of Economics, che può diventare anche feroce.
Tahar Ben Jelloun, scrittore marocchino residente in Francia, è convinto che l’attuale spirale di violenza sia la conseguenza dell’abbandono di intere porzioni di territorio. Le responsabilità, aggiunge, di una classe politica che in quasi due decenni non è riuscita a portare a termine un piano per le banlieu. Alla Francia, dice, servirebbe ora
un’immensa politica di rinnovamento urbano, cambiare l’habitat che oggi crea delinquenza e promiscuità. E poi investire sull’istruzione. Non basta la buona volontà di molte associazioni, ci vuole lo Stato che qui ha spesso la faccia di una polizia che con gli arabi e i neri sa soltanto picchiare”.
La storia di Nanterre, questo comune fuori Parigi simbolo della spaccatura tra aree marginali e centro, diventa allora l’occasione per riflettere sulle condizioni di vita di tutte le periferie. Anche in Italia ci sono problemi attinenti a educazione e formazione, diritto all’abitare e contrasto alla povertà e al degrado urbano.
La povertà educativa e culturale è molto diffusa e impatta fortemente anche sulla capacità dei minori di immaginare il proprio futuro. È significativo il dato sulle periferie di sei città italiane (Milano, Perugia, Genova, Napoli, Catanzaro e Palermo), contenuto nel report della Fondazione L’Albero della vita. La ricerca, che ha coinvolto 450 ragazze e ragazzi, rileva che il 29% dei figli tra i 14 e 18 anni non è iscritto ad alcuna scuola secondaria di secondo grado, un dato che è pericolosamente più alto rispetto alla media nazionale che si aggira intorno al 12,7%. Inoltre, il 76% dei giovani che abitano le periferie non svolge attività ricreative e sportive quotidianamente e ben il 43% non ha a casa libri adatti per età e livello di conoscenza. Una povertà educativa che, spiegano dalla Fondazione, ha, come diretta conseguenza,
una mancata attivazione delle capacità e del talento di bambini e ragazzi. Addirittura al peggiorare delle condizioni di povertà peggiorano anche le capacità emotive e relazionali del bambino. Infatti, se a non saper esprimere felicità in media sono il 50% dei bambini, la percentuale cresce all’81% se si considerano le fasce più in difficoltà. Stessa cosa se si considera chi è in grado di gestire frustrazione e rabbia.
La situazione è di particolare gravità nel Mezzogiorno, a testimonianza della crescita del divario tra Nord e Sud. Il gap formativo è ancora più preoccupante se consideriamo che si tratta di acquisizioni irrinunciabili per entrare con una qualche dignità nel mercato del lavoro.
E proprio in tema di lavoro, questa settimana è stata depositata la nuova proposta di legge unitaria avanzata dai partiti di opposizione (Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione, Europa Verde e +Europa) che introdurrebbe una soglia salariale minima fissata a 9 euro lordi orari. L’obiettivo è quello di tutelare i settori più fragili del mondo del lavoro, che non sono sufficientemente coperti dalla contrattazione collettiva. La proposta non è condivisa, per ragioni diverse, da una parte del mondo politico, imprenditoriale e anche sindacale, e difficilmente si trasformerà in legge. Ma il provvedimento, a quanto pare, piace non poco agli italiani. Nella rilevazione realizzata dall’Istituto Noto per la Repubblica, emerge che il 64% degli intervistati si dice favorevole all’introduzione del salario minimo, con un consenso trasversale tra gli elettori di tutte le forze politiche.
Anche la questione casa costituisce un problema rilevante per un’ampia fascia di popolazione: all’area del disagio abitativo acuto si sommano l’aumento del numero degli sfratti e le condizioni in cui versano gli immobili. Martedì 4 l’ASviS ha presentato alla Camera il Position paper “Governo del territorio, rigenerazione urbana e politiche abitative per lo sviluppo sostenibile”, a cura del Gruppo di lavoro su Goal 11 “Città e comunità sostenibili” dell’Agenda 2030. Per migliorare la condizione abitativa, l’Alleanza chiede l’avvio di un grande progetto nazionale di rigenerazione urbana, con l’istituzione di una Cabina di regia interministeriale che coordini i vari programmi esistenti sulla questione. Ma viene sottolineata anche l’importanza della recente creazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie, che
“può essere un’occasione importante per fare il punto della situazione e stimolare una forte iniziativa politica su queste tematiche, anche per attuare le otto proposte avanzate dalla precedente Commissione istituita nella legislatura 2013-2018”.
Nel corso della conferenza, il direttore scientifico dell’ASviS Enrico Giovannini ha spiegato gli obiettivi dell’iniziativa:
La tematica delle condizioni abitative è oggi all’ordine del giorno. Abbiamo migliaia di persone in difficoltà perché non riescono a pagare gli affitti o vivono in condizioni disagiate. Abbiamo bisogno di una prospettiva di medio e lungo termine sulla rigenerazione urbana, un tema che impegnerà il Paese per i prossimi 20 anni non solo sul piano dell’efficienza energetica ma anche perché molte zone periferiche dovranno essere investite da una riqualificazione sistemica”.
Rigenerazione urbana significa anche riqualificazione in chiave energetica del patrimonio edilizio. Molto interessante a questo proposito il rapporto che Legambiente, aderente all’ASviS, ha pubblicato sull’efficienza energetica nelle periferie, “Il diritto a vivere in Classe A”. Sono nove i quartieri periferici monitorati nell’edizione di quest’anno attraverso la campagna Civico 5.0, che si aggiungono ai 10 della passata edizione, e che continuano a raccontare l’inefficienza nelle quali vivono milioni di famiglie. Dal documento, infatti, emerge
una scarsa attenzione alla manutenzione e alle bollette dei residenti. Quartieri spesso in cui è troppo lenta o assente una qualsiasi progettazione e capacità di chi le gestisce di approfittare degli strumenti oggi in vigore per restituire dignità a questi quartieri, spesso animati e tenuti in piedi, invece, dalla capacità di organizzazione dei cittadini attivi e del terzo settore che il più delle volte si sostituisce alle amministrazioni pubbliche.
La partita per affrontare il recupero delle periferie si gioca su vari piani: politiche nazionali e locali lungimiranti, innovazione nel segno dell’inclusione, valorizzazione dei talenti e dei tanti luoghi della vitalità, ma anche e forse soprattutto attraverso partiche partecipative più intense, investendo sulle migliori energie sociali presenti nei territori.