In Italia dopo quattordici mesi di pandemia, c’è un forte e drammatico cambiamento sociale: una sempre più marcata divaricazione tra il ceto socialmente garantito e la restante parte della popolazione abbandonata al mare largo dello sforzo puramente privato per sopravvivere. E’ un cambiamento che dovrebbe far riflettere.
Prima dell’estate scorsa, il primo a metterlo in evidenza, tra i giornalisti, è stato Daniele Capezzone de La Verità.
Pertanto da una parte abbiamo dipendenti pubblici, pensionati e percettori a vario titolo e in vario grado di redditi (di cittadinanza, di emergenza) dall’altro lato imprenditori, partite Iva, liberi professionisti che invece si dibattono nel corpo esausto di una socialità ormai straziata.
Della divaricazione se ne sono accorti in tanti. Si tratta di «una sorta di sdoppiamento della realtà in cui siamo calati, per cui i primi possono lamentarsi e soffrire le limitazioni alla libertà, di spostamento, la ristrettezza degli orizzonti senza però dover sopportare problemi di sostentamento economico, mentre sulle spalle dei secondi oltre a tutti questi problemi, di giorno in giorno sempre più gravi, si abbatte anche la tragica impossibilità di far quadrare i conti e di riuscire a portare il pane a casa». (Andrea Venanzoni, Da cittadini a sudditi: l’incubo di una società sussidiata e divisa tra iper-garantiti e dimenticati, 12.4.21, atlanticoquotidiano.it).
Probabilmente questa divaricazione c’è sempre stata. Peraltro è notorio che alcuni partiti, soprattutto di sinistra si sono eretti a difensori di certi ceti sociali, sempre iper-garantiti, come quelli della scuola per esempio. Ora con la pandemia questo fenomeno si è radicalizzato e ha subito una indubbia accelerazione.
D’altro canto, la stessa pubblica amministrazione diventa solo un serbatoio di garanzia di sopravvivenza delle classi politiche egemoni. E sentir parlare di nuove assunzioni nel settore pubblico non è poi tanto diverso dal discorso sui sussidi, alimenta la reazione di chi ha sempre lavorato senza avere nulla dallo Stato. E’ del tutto evidente che si tende al mantenimento dello status quo, utile per la rendita di posizione elettorale e di riferimento ‘politico’. Appare sempre più evidente che «la pubblica amministrazione non eroga servizi ma garantisce semplicemente reddito a chi ne è dipendente, a prescindere da merito e capacità effettive. Un sussidio anche questo».
Un altro fattore discriminante tra garantito e non, secondo l’editoriale di Atlantico, si verifica sulla vaccinazione «dei soggetti (o meglio, delle categorie) da sottoporre a vaccinazione prima di altri segua questa stessa logica rovesciata, tipicamente corporativa ed elettoralistica: il garantito diventa sempre più garantito, lo scarsamente garantito recede ad una condizione di assoluta minorità, ridotto a soggetto privo di attorialità politica, di consapevolezza civica, in quanto costretto ad aggirarsi tra le macerie fumanti per riuscire a sostentarsi».
In questa tragedia si nota chiaramente una specie di accanimento nei confronti dei ceti produttivi, ridotti al silenzio e alla fame, nello stesso tempo, però «con la mano ‘gentile’ dello Stato che promette ed annuncia sostegni, ristori, aiuti, tutti funzionali al consolidamento del potere sovrano: d’altronde, l’affamato difficilmente morderebbe la mano di chi lo sfama».
In questo scenario, di fallimento sia sotto il profilo sanitario, ora è innegabile anche sotto quello socio-economico. I dati snocciolati dall’Istat non ammettono dubbi, anche le capriole dei media e l’attesa messianica del piano di salvataggio europeo non riescono a nascondere il disagio crescente del mondo del lavoro, naturalmente autonomo. I dati sull’economia italiana sono tutti negati, disoccupazione in aumento,
tutti hanno pagato un pesante tributo alla crisi. Dinanzi a questi dati suonano quanto meno beffarde le parole del ministro dell’Economia Gualtieri, che lo scorso 11 marzo annunciò trionfalmente: “Nessuno perderà il lavoro”. Ineccepibile: un milione di italiani lo aveva già perso!
Ma c’è anche un’altra situazione, ben peggiore di quella fotografata dall’Istat, lo rileva Destra.it: «i dati relativi al calo dell’occupazione non contemplano, ovviamente, la tempesta che si è abbattuta sui lavoratori irregolari, centinaia di migliaia di occupati “in nero” (per necessità quasi sempre, non perché evasori come pure ama dipingerli certa stampa) che sfuggono ad ogni conteggio. Uno tsunami, quello che ha colpito questi lavoratori sommersi, che in alcune regioni del Paese – in particolare nel Mezzogiorno – ha proporzioni enormi, mettendo realmente a rischio la sopravvivenza di numerose famiglie. Ed i dati sulla crescita della povertà assoluta e relativa sono lì a testimoniarlo». (Clemente Ultimo, Boom disoccupazione e pressione fiscale, così esplode il sistema Italia, 7.4.21, destra.it)
In questo quadro fosco, «continua a stupire l’incapacità di sentire il polso del Paese reale da parte della classe politica e del sistema dell’informazione. Esemplari da questo punto di vista le priorità indicate dal neosegretario del Pd Letta –ius soli e voto ai sedicenni – o le pressioni dei partiti di sinistra per calendarizzare la discussione in aula del controverso ddl Zan: quasi che le lunghe file per un pasto caldo – file di cui alla fine sono stati costretti ad accorgersi anche quotidiani progressisti come La Stampa e Repubblica – possano trovare lenimento portando alle urne gli under 18». Non solo anche il presidente Draghi con il suo rigido e ultimo decreto sulle “riaperture” ha provocato un’ondata enorme di delusione nell’opinione pubblica e una spaccatura grave nella maggioranza.
Pertanto per Capozzi il premier è già in crisi, «Draghi si sta mostrando non un “decisionista”, ma piuttosto un “doroteo”, attento a mantenere gli equilibri. Il presidente del Consiglio pare appiattito sulla linea Merkel con un esecutivo incapace di voltare pagina. La vicenda del turismo colpito a morte poi, mostra come Draghi sia incapace di far uscire il governo dalla spirale sadomasochistica di una decrescita sempre più infelice». (Eugenio Capozzi, Doroteo, incerto e oscillante: si sgonfia il mito di Draghi, 24.4.21, lanuovabq.it)
La frattura fra Paese “istituzionale” e reale è enorme, così quella tra alta borghesia progressista (detta radical chic) e cittadini alle prese con i quotidiani problemi di un mondo radicalmente altro da quello disegnato e raccontato dai media mainstream. Intanto ci sono i giudici che stanno perdendo la pazienza, sono pronti a chiedere danni, sono pronti a ricorrere e a impugnare, per ottenere trasparenza. E’ ora che si portino in giudizio corpi tecnici, virologi mediatici, cabine di regia prive di legittimazione democratica. E si faccia finalmente capire quanto il ceto egemone pubblico dipenda dagli introiti privati: senza la tassazione, infatti, la sfera pubblica, gli stipendi, i sussidi, i redditi, le pensioni non esisterebbero. Per farlo capire ci si organizzi, lo si dica, lo si scriva, lo si gridi ai politici quando essi chiedono il voto, e si operi finalmente per una radicale detassazione.
DOMENICO BONVEGNA
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