Non so se stiamo esagerando negli allarmi per gli episodi di Torino e Treviso, fatto sta che il sermone tenuto dall’imam musulmano nell’Università di Torino occupata da studenti anti-israeliani e l’esenzione dalle lezioni di letteratura italiana concessa da una scuola di Treviso a studenti che si sentivano “offesi” dalla Divina Commedia di Dante “indicano un fenomeno di islamizzazione che sta prima di tutto nei numeri, vista la forte immigrazione e il crollo demografico europeo, a questo si aggiunge una secolarizzazione radicale che prelude al crollo della nostra civiltà”. (Eugenio Capozzi, “Euro-islam, è la demografia a condannarci”, 27.5.24, LaNuovaBussola Quotidiana)…
Tuttavia questi ultimi episodi rappresentano una costante sudditanza culturale e psicologica delle istituzioni culturali e formative italiane verso pretese, incompatibili con i principi fondanti della società liberale occidentale, provenienti da segmenti delle minoranze islamiche presenti nel nostro paese. Pertanto secondo il professore Capozzi, è troppo facile indignarsi, ogni volta che si verificano episodi del genere, ma si potrebbero fare altri esempi oltre a quelli di Torino e Treviso. Ma come vengono commentati questi fatti dai vari benpensanti moderati che non si riconoscono in quel progressismo sinistro, politicamente corretto. Giustamente si indignano perchè registrano un comportamento che rasenta il masochismo tra i progressisti. Infatti, esiste un ossequio dell’ideologia “diversitaria”, e del politically correct un senso di colpa occidentale verso qualsiasi cultura identificata come “vittima” e di presunte discriminazioni – nei confronti di atteggiamenti, idee, prese di posizione, costumi, atti che sarebbero inflessibilmente condannati se i loro autori fossero connazionali autoctoni, o comunque non membri delle minoranze dichiarate a prescindere “giuste”. Inoltre, si sottolinea “i due pesi e le due misure adottati dalla cultura mainstream progressista rispetto al rapporto tra religione e vita civile: aggressiva e petulante intransigenza laicista contro ogni pretesa invasione “clericale” del cattolicesimo, e all’inverso “tappeto rosso” a riti, culti, interdizioni islamiche in ogni sede (per sintetizzare: presepe no, vacanze per il Ramadan sì)”. Infine, un’altra osservazione che si fa, abbastanza imbarazzante, si evidenzia, “come la irrefrenabile pulsione alla “sottomissione” houellebecquiana del progressismo italiano (e occidentale) all’islam raggiunga vette di nonsense e di corto circuito logico quando, come abbiamo visto negli ultimi mesi nelle dimostrazioni “pro-pal” negli atenei e fuori, le frange della sinistra più woke, “transfemministe” e pro-Lgbt+, convergono con la piattaforma di movimenti fondamentalisti islamici che professano le visioni più “patriarcali” e oscurantiste sui diritti delle donne e delle minoranze “di genere”, e che dovunque ne abbiano il potere praticano nei confronti di entrambe oppressione e violenza brutale”. Tutte considerazioni vere e fondate, purtroppo, in coloro che evidenziano queste considerazioni, si nota spesso una certa dose di confusione o velleitarismo in merito alle risposte che sarebbe opportuno dare ai fenomeni in oggetto. I commenti sono comprensibilmente amareggiati e scandalizzati e anche giusta l’accorata richiesta alle istituzioni statuali di riaffermare il rispetto dei principi costituzionali e la parità di condizione di tutti i cittadini imponendo alla minoranza musulmana il rispetto di esse. Ma in questi appelli, certamente condivisibili in linea di principio, si denota 1°“una mancanza di chiarezza di fondo sul punto effettivo della questione in gioco, e una fiducia ingenua nella possibilità di ricondurre i conflitti che si manifestano nella convivenza in una società multiculturale all’interno di uno schema interculturale di astratta equivalenza tra diversi valori all’interno di ordinamenti fondati sul predominio della laicità, sul modello francese postrivoluzionario”. Inoltre rivela, scrive Capozzi, 2°“una altrettanto ingenua fiducia nella capacità della civiltà occidentale di affermare la priorità delle sue radici profonde rispetto a gruppi – come quelli fondamentalisti islamici – che le negano e contraddicono”.
Tuttavia la realtà che stiamo vivendo è molto diversa da entrambe queste mozioni astratte. Essa, infatti, ci dice che la crescente arrendevolezza della nostra società – e delle altre società europee – all’influenza dell’islam, nella sua forma più radicale, consegue innanzitutto da un mero fattore quantitativo: “la percentuale di immigrati musulmani nelle popolazioni del vecchio continente va aumentando, e corrispondentemente aumenta la loro rilevanza sociale, culturale e politica”. Mentre, “Il drammatico crollo del tasso di fertilità in Europa, e dall’altro lato il continuo afflusso degli immigrati extraeuropei nel continente – tra cui quelli da paesi a maggioranza islamica gioca un ruolo preminente – nonché la maggiore propensione di questi ultimi a generare prole, faranno inevitabilmente sì, a meno di una clamorosa inversione di tendenza, che entro pochi decenni le proporzioni tra residenti autoctoni ed eteroctoni si rovescino, facendo diventare realtà lo scenario dell’”Eurabia” (o sarebbe meglio dire “Euro-islam”) prefigurato più di un ventennio fa da Oriana Fallaci”. Qualche studio di demografia ipotizza che entro la fine del secolo gli abitanti del continente sarà di religione musulmana. In certi Paesi o aree metropolitane lo scenario si è già realizzato.
A tale scenario, già di per sé eloquente, bisogna aggiungere che la popolazione europea autoctona sta abbandonando a ritmi sempre più accelerati l’adesione alla fede cristiana che ne fonda la civiltà e dalla quale originano i principi di diritto e dignità dell’uomo contenuti negli ordinamenti liberali e democratici. Stiamo “sprofondando in un indistinto relativismo post-cristiano sensibile a ogni suggestione para-religiosa neo-pagana sostitutiva, e incapace di reggere il confronto con la compattezza dell’islam”. Capozzi ci ricorda che “nessuna civiltà sopravvive senza un fondamento etico-religioso comunemente condiviso. La forza aggregativa delle comunità aborrisce il vuoto, e la secolarizzazione radicale non può che essere uno stadio transitorio tra il ripiegamento di una civiltà su se stessa e il suo collasso, sostituita da un’altra”.
Comunque sia, uno scenario così disastroso, potrebbe essere scongiurato soltanto dalla convergenza fra tre fattori: “un “risveglio” religioso cristiano di massa, comportante un recupero integrale del patrimonio culturale ed etico-politico dell’umanesimo cristiano; una imponente ripresa demografica tra le popolazioni autoctone; una severa regolamentazione dell’immigrazione indirizzata non solo a combattere inflessibilmente, senza pietismi, quella illegale, ma anche a favorire l’afflusso da paesi e comunità a maggioranza cristiana piuttosto che islamica o di altre religioni”. Ma allo stato attuale la probabilità della realizzazione di tutti e tre i fattori sembra molto poco realistica, e anzi si può prevedere facilmente una eventuale tendenza a peggiorare su tutti i fronti.
DOMENICO BONVEGNA
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