… La violenza appartiene a una sfera brutale che risulta necessaria quando bisogna combattere battaglie di legalità, sì da affermare ed esaltare i valori positivi della vita, delle comunità civili e dell’importanza dell’esempio, a volte tragico, destinato a soddisfare i bisogni primari della pacifica convivenza.
Quando le istituzioni omettono di svolgere al meglio tali ruoli fondamentali come ad esempio garantire la sicurezza dei cittadini rischiano di diffondere incisivamente un senso di sconforto, laddove la comunità percepisca un maggiore precarietà derivante dalla inattività dello Stato ovvero della sua distorta azione pubblica.
Per pudore non ripetiamo qui i nomi di eroi, immolatisi per difendere ed esaltare il senso dello Stato, ma certamente quegli eroi rimangono offesi da uomini che appartengono alle istituzioni e che non svolgono gli assunti doveri.
Il caso Cucchi è e risulta emblematico, al di là della storia personale del giovane uomo o forse a maggior ragione per la sua condizione problematica, quando evidenzia che uomini dello Stato, assunti per garantire la sicurezza e la salute ed il benessere dei cittadini, distorcono la loro funzione, violando precetti di elementare portata, ovverosia di doverosa cura nei riguardi di un cittadino bisognevole di attenzioni sia per il suo reinserimento sociale che per la sua rieducazione, non essendo solo destinatario di un’azione repressiva.
In questo quadro Stefano Cucchi ripropone una richiesta di civiltà nei confronti di uno Stato che non può essere criminogeno, bensì amico e soggetto sicuro, idoneo a tutelare il vivere civile dei suoi componenti.
Qui si afferma il bisogno di uno Stato capace di declinare al meglio e narrare nel suo storico incedere sviluppi di civiltà, segni tangibili di bellezza, moniti per costruire sensibilità condivisa attorno al piacere della convivenza, al gusto della condivisione di meriti e valori, alla percezione del rispetto, capace di esaltare la gioia di vivere e non certo orientato a procurare dolore.
Rino Nania