Di Joseph Ratzinger non ho foto da pubblicare ma soltanto qualche lettera di ringraziamento e di apprezzamento per i libri che di tanto in tanto gli mandavo in dono come editore. Le missive erano naturalmente vergate e firmate dai suoi collaboratori.
Ho però un piccolo e trascurabile aneddoto del tempo in cui, come giovane ed entusiasta cronista d’assalto, mi occupavo di “cose di Chiesa” per un grosso quotidiano.
A quel tempo, l’ex pontefice emerito era prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. Un ruolo di assoluto primo piano nella Chiesa di allora guidata saldamente dal papa polacco.
Seppi che sarebbe venuto a Palermo per una iniziativa organizzata dall’arcidiocesi e proposi al giornale di intervistarlo. In verità, non speravo che si facesse intervistare da un cronista quasi sconosciuto ma il mio caposervizio m’incoraggiò a provare dicendomi un po’ sornione: “Hai il prestigio del giornale alle spalle”.
Mi misi subito al lavoro per stendere le domande con l’aiuto di un amico teologo, molto brillante ma poco allineato. L’intervista verteva quasi tutta sul tema testimonianza cristiana-fede-mafia. Tre pagine fitte di domande. Erano tante ma sapevo che qualcuna sarebbe stata cassata.
Chiamai la segreteria della Congregazione per dottrina delle Fede e da lì iniziai un garbato confronto con il segretario di Ratzinger, mons. Josef Clemens, che quasi ogni giorno mi mandava, allora si usava il fax, richieste di modifiche delle domande o di eliminazione di alcune di esse. Dopo una settimana di trattative, mons. Clemens, persona assai garbata e con un delizioso accento tedesco, mi mandò ciò che erano disponibili a concedermi: tre domandine assai generiche seguite da tre virgolettati che altro non erano che brevissimi passaggi dell’intervento che avrebbe tenuto a Palermo.
Allora ero un giornalista assai ingenuo e pieno di fervore e rifiutai sdegnato di firmare pubblicare quella che non era più la mia intervista. Quando ne parlai con un mio collega più anziano che si occupava anche di Vaticano, mi disse avevo sbagliato a non voler uscire con l’intervista perché era pur sempre un personaggio assai importante e che, comunque, con gli altri prelati si usava così.
Davide Romano