Dopo una nottata di pioggia, Messina sembrava respirare meglio. Ma al suo risveglio, la città scoprì però che qualcosa aveva interrotto quel torpore che l’aveva resa meta di padrini siciliani e calabresi. Una città senza spina dorsale in cui qualunque arrogante poteva permettersi il lusso di fare i propri comodi, figurarsi un boss.
Quella mattina i messinesi, costretti di fronte al fatto compiuto all’innegabile esistenza di mafiosi assassini, presero atto con sgomento e indignazione della morte di un professore, addirittura, tale Matteo Bottari, sposato con Alfonsetta Stagno D’Alcontres, genero del Magnifico Guglielmo. Come si erano permessi? Chi si credevano di essere? In che degrado si trovavano, se le cose andavano così!
Ma la verità era che i messinesi comune recitavano male la parte dei duri. Non erano credibili, ed erano incapaci d’impaurire la controparte, ma soprattutto era un ruolo che a loro non garbava. Avrebbero preferito puntare sulla persuasione, che spesso era solo una prova di debolezza, sulla pietà. Ma la morte del professor Bottari con la pietà non aveva proprio niente a che fare. Aveva piuttosto a che fare con roba grossa, sembrava, vermi sotto l’acqua quieta che sarebbero presto usciti allo scoperto.
C’era però un problema; il professore buonanima non era quello che si dice un bravo ragazzo. Da dove sarebbe uscito, il marcio?
Dal Libro Matteo Bottari – L’omicidio che sconvolse Verminopoli – IMG Press