Niccolò Amato, direttore del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) dal 1983 al 1993, chiarisce con un’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, la sua posizione in merito a un suo lungo appunto del 6 marzo 1993 indirizzato al neoministro della Giustizia Giovanni Conso, in cui gli suggeriva di non rinnovare i decreti 41-bis ai mafiosi.
"II 30 luglio 1992 – ricorda Amato nell’intervista – chiesi al ministro della Giustizia Claudio Martelli di mettere al carcere duro più di 5 mila detenuti per reati associativi (mafie, terrorismo e droga). Gli mandai perfino uno schema di decreto, ma la mia proposta rimase nel limbo dell`indifferenza".
Nell`appunto Amato consigliava a Conso di revocare o fare scadere i decreti applicativi del 41-bis, ma – dichiara l’ex direttore del Dap – "Io non volevo togliere il carcere duro, ma ero convinto che il punto nodale fosse sostituire al decreto del ministro la legge dello Stato. Una legge più dura. In quell`appunto spiegavo che il 41-bis era un colabrodo: i colloqui dei mafiosi, per esempio, erano stati ridotti da quattro a uno al mese, ma non venivano registrati. E poi i detenuti più pericolosi erano sempre in viaggio per partecipare ai processi. Io ho proposto al ministro una legge in cui fosse prevista la registrazione dei colloqui e l`adozione delle videoconferenze per i boss, così da non doverli spostare dal carcere". Ma il ministro "non rispose" dice Amato.