Il Tribunale civile di Ancona ha condannato il ministero della Salute a pagare 400 mila euro di risarcimento (oltre 700 mila con interessi e rivalutazione), agli eredi di un paziente che 29 anni fa contrasse i virus dell’Hiv e dell’epatite C in seguito a varie trasfusioni subite in ospedale dopo un incidente stradale. L’uomo nel frattempo è deceduto, in un secondo incidente stradale, ma la causa, avviata nel 2003, è andata avanti: ora il giudice Francesca Betti ha riconosciuto la responsabilità del ministero per omessa vigilanza e controllo sul sangue ed emoderivati per trasfusioni. Secondo il magistrato, il ministero era a conoscenza già prima del 1983 delle modalità di trasmissione di determinati virus attraverso il sangue; ciononostante non dispose concrete misure di vigilanza e controllo idonee a prevenire malattie virali conseguenti a pratiche trasfusionali. Ventinove anni fa il paziente venne ricoverato nell’Ospedale Umberto I di Ancona, dove fu sottoposto a numerose trasfusioni: nove anni dopo la diagnosi di malattia. Anche dopo la sua morte, la moglie e i due figli, assistiti dagli avv. Marina Magistrelli e Roberta Angeletti, hanno proseguito la battaglia per ottenere giustizia. E il Tribunale ha dato loro ragione.
All’epoca in Italia non venivano adottate misure operative per il controllo dei donatori e dei prodotti per le emotrasfusioni, tuttavia il ministero della Sanità era già soggetto al dovere di direttiva, vigilanza e controllo per la pratica trasfusionale. Lo screening dei donatori e i test diagnostici per la ricerca di virus nel sangue sono stati introdotti solo nel 1988, ma il giudice Betti ha stabilito che, in base alle conoscenze mediche e scientifiche, il ministero potesse prevedere già prima del 1988 il pericolo di trasmissione di malattie epatiche per effetto di trasfusioni.