Cosa Nostra: Cassazione, Dell’Utri mediatore tra Berlusconi e la mafia

Non ci sono dubbi circa la configurabilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa per il senatore Marcello Dell’Utri, ma tale reato non è stato ancora provato per gli anni che vanno dal 1978 al 1982, quando Dell’Utri, che fino ad allora aveva lavorato per Silvio Berlusconi, passò alle dipendenze dell’imprenditore Filippo Rapisarda. Lo scrive la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 9 marzo ha annullato con rinvio la condanna a sette anni inflitta al senatore del Pdl dalla Corte d’Appello di Palermo. Secondo la Cassazione, tale "vuoto motivazionale" necessita "di essere colmato, ove ricorrano gli elementi, con specifiche indicazioni di quale sia stato il comportamento, nel periodo, da parte di Dell’Utri, non potendo darsi ingresso a presunzioni basate sulla bontà dei rapporti di amicizia con Berlusconi che da soli non provano il perdurare della intromissione di Dell’Utri in affari penetranti per la vita individuale dell’imprenditore dal quale si era allontanato". Lo scrivono i giudici della Quinta sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con la quale, il 9 marzo scorso, hanno annullato con rinvio la condanna a sette anni di reclusione di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa decisa della Corte d’Appello di Palermo il 29 giugno 2010. In particolare, i Giudici della Cassazione, nelle 146 pagine della sentenza rivelano che l’assunzione ad Arcore di Vittorio Mangano, "indipendentemente dalle ricostruzioni dei cosiddetti pentiti e’ stata congruamente delineata dai giudici (della Corte d’Appello di Palermo, ndr) come indicativa, senza possibilita’ di valide alternative" dell’accordo tra l’ex presidente del Consiglio e Cosa Nostra. I giudici ribadiscono che Dell’Utri "di quella assunzione e’ stato l’artefice". Secondo la Suprema Corte, i giudici di secondo grado hanno correttamente utilizzato nella sentenza di condanna di Dell’Utri le "convergenti dichiarazioni di piu’ collaboranti a vario titolo gravitanti sul o nel sodalizio mafioso Cosa Nostra, tra i quali Di Carlo, Galliano e Cocuzza, approfonditamente e congruamente analizzate dal punto di vista dell’attendibilita’ soggettiva, nonche’ sul piano dell’idoneita’ a riscontrarsi reciprocamente circa il tema dell’assunzione, per il tramite di Dell’Utri, di Mangano ad Arcore come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa Nostra e circa, altresi’, il tema della non gratuita’ dell’accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore del sodalizio mafioso che aveva curato l’esecuzione di quello accordo, essendosi posto anche come garante del risultato". La Cassazione rileva inoltre come i giudici di Palermo abbiano imperniato la loro decisione "sul rilievo delle attivita’ di ‘mediazione’ che Dell’Utri risulta avere svolto nel creare il canale di collegamento o, se si vuole, di comunicazione e di transazione che doveva essere parso a tutti gli interessati fonte di reciproci vantaggi". Per quanto riguarda "l’imprenditore Berlusconi" il vantaggio sarebbe stato nella "ricezione di una schermatura rispetto a iniziative criminali (essenzialmente sequestri di persona) che si paventavano a opera di entità delinquenziali non necessariamente e immediatamente rapportabili a Cosa Nostra.