La richiesta di rinvio a giudizio per dodici persone fra i quali alcuni boss mafiosi e i politici Mancino, Dell’Utri e Mannino e le perplessità del procuratore capo Messineo. Il CORRIERE DELLA SERA riporta la notizia mentre LA STAMPA in un retroscena spiega "il teorema della Procura".
"Hanno sperato fino all’ultimo – si legge sul CORRIERE -, anche attraverso intercettazioni proiettate dentro i Palazzi romani, di incastrare con le loro stesse parole testimoni e indagati eccellenti della cosiddetta trattativa Stato-mafia. E hanno anche sperato che qualcuno dei protagonisti di quella drammatica stagione segnata dall’accelerazione della strage di via D’Amelio si decidesse a parlare, si pentisse. Ma, pur senza prove certe e schiaccianti, come sostiene una sfilza di avvocati, dalla Procura della Repubblica di Palermo parte ugualmente la richiesta di rinvio a giudizio per 12 imputati, accorpando in un tutt’uno i capi dei corleonesi, da Toto’ Riina a Bernardo Provenzano, da Leoluca Bagarella e Antonino Cina’ a Giovanni Brusca, con un condannato e pluriprocessato come Marcello Dell’Utri, un discusso mezzo pentito come Massimo Ciancimino accanto ai generali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, al colonnello Giuseppe De Donno, compresi due ex ministri, Calogero Mannino e Nicola Mancino, l’ex presidente del Csm, l’unico accusato ‘soltanto’ di falsa testimonianza, visto che per gli altri hanno rispolverato dal codice un reato previsto per i golpisti, ‘attentato a un corpo politico’. La richiesta e’ stata solo vistata dal procuratore Messineo che in passato aveva espresso dubbi e perplessita’ sulle conclusioni raggiunte dai suoi colleghi. Ma che invece aveva difeso la correttezza del loro operato nella gestione delle intercettazioni tra Mancino e il presidente Napolitano, oggetto di conflitto di attribuzione con la Procura sollevato dal capo dello Stato davanti alla Corte costituzionale. Ed e’ proprio Mancino a dirsi indignato per il mancato recepimento di una precisa richiesta ai pm di Palermo: ‘Non hanno ascoltato i responsabili nazionali dell’ordine e della sicurezza pubblica, capi di gabinetto, direttori della Dia, capi della mia segreteria, compreso il professore Arlacchi, ad esempio, tutti in grado di dichiarare se erano mai stati a conoscenza o se mi avessero parlato di contatti fra gli ufficiali dei carabinieri e Vito Ciancimino e, tramite questi, con esponenti di Cosa nostra’. Poi, indispettito: ‘Per questo ho rinunciato al proposito di farmi di nuovo interrogare e di esibire documenti. Meglio dimostrare in giudizio la mia innocenza’. Qualcosa non torna nel racconto giudiziario di questi anni anche per Mannino che, assolto dopo 17 anni di calvario, fu arrestato durante la gestione di Giancarlo Caselli alla procura di Palermo, allora in assoluta sintonia con il colonnello Mori al quale non si contestavano i 18 giorni di vuoto trascorsi per la perquisizione nella villa covo di Toto’ Riina. Mori incastro’ Mannino, ma per un paradosso tutto da chiarire oggi e’ accusato di avere guidato la trattativa avviata dallo stesso Mannino e si ritrovano insieme coimputati nell’ultima appendice giudiziaria gestita da Ingroia mentre sta per mollare Palermo e volare in Guatemala. Resta il nodo irrisolto di quella sintonia fra Procura e carabinieri poi spezzatasi, senza dire perche’ nella rivisitazione fatta anche dai pm Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, peraltro convinti che Bagarella e Brusca nel ’94 ‘prospettarono al nuovo capo del governo in carica Berlusconi, attraverso Vittorio Mangano e Dell’Utri, una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura’. Questo si legge nella richiesta di rinvio a giudizio, alimentata dalle indagini della Dia di Palermo, diretta dal colonnello Giuseppe D’Agata. Una linea che demolisce ruolo e spessore del capo della polizia Parisi e dell’ex vicedirettore del Dap Di Maggio, non incriminati perchè deceduti, ma accusati di avere ‘ammorbidito’ la linea dello Stato contro la mafia, cedendo su centinaia di 41 bis, il carcere duro varato dopo le stragi".
Il retroscena sul giornale di Torino. "E alla fine, le trame che hanno segnato la storia degli ultimi vent’anni, intossicato i rapporti e le relazioni tra istituzioni, tra uomini delle istituzioni, distrutto vite innocenti, trasformato servitori dello Stato in martiri, per certi versi modificato la Costituzione materiale che regola la vita della nostra Repubblica, della nostra democrazia, queste trame, messe sotto accusa dalla Procura di Palermo, si sviluppano tutte nell’arco di appena tre anni. Dall’omicidio di Salvo Lima alla nascita del primo governo Berlusconi. In fondo e’ questa la tesi della procura di Palermo: ‘Quella che definiamo trattativa in realta’ e’ la ristrutturazione del patto di convivenza di Cosa nostra con lo Stato’. Una ristrutturazione che ha vissuto momenti tragici, drammatici, non sempre lineari ma che ha visto in prima fila esponenti politici attivare pezzi di apparati per conoscere gli obiettivi di Cosa nostra, e prendendo atto che questa ‘ristrutturazione’ non sarebbe stata indolore, attivare disperatamente una trattativa per soddisfare le richieste della mafia. Questa stagione muove i suoi primi passi con la decisione della Cassazione sul maxiprocesso, che Cosa nostra vive come la rottura di quel patto di ‘convivenza’ con lo Stato. Con l’omicidio di Salvo Lima, i politici siciliani si rendono conto che quel rapporto di convivenza e’ stato rescisso unilateralmente e Calogero Mannino, allora potente ministro per il Mezzogiorno, temendo di essere finito nella lista dei politici da eliminare (effettivamente era cosi’) cerco’ di cambiare il suo destino attivandosi per capire le successive mosse dei Corleonesi. Poi c’e’ Capaci e a seguire via D’Amelio. La trattativa oggettivamente produce un colpo d’accelerazione nell’esecuzione di Paolo Borsellino che, sicuramente, sapeva della trattativa e non la condivideva.
Anche la vicenda della sostituzione del ministro dell’Interno Scotti con Nicola Mancino e, per via dell’avviso a comparire di Mani pulite, del Guardasigilli Claudio Martelli con Giovanni Conso rientrano dentro quella ‘linearita’ di strategia trattativista’, per dirla con la Procura. Di nuovo ridiventano attuali gli interrogativi sulla mancata perquisizione del covo di Toto’ Riina (gennaio ’93), o della mancata proroga da parte del ministro Conso del novembre del ’93 di 334 provvedimenti di 41 bis. Cosa e’ che tiene unito il cambio di strategia stragista che porta Cosa nostra dall’eliminazione dei nemici agli attacchi contro i simboli dello Stato e della Chiesa (gli attacchi del ’93) alla mancata cattura di Bernardo Provenzano (Mezzojuso, 95)?
Perche’ Nicola Mancino e’ reticente quando nega di non sapere della trattativa in corso tra Mori e Ciancimino? E Marcello Dell’Utri perche’ garantisce che con il governo Berlusconi le richieste di Cosa nostra troveranno risposte? La cattura di Toto’ Riina fu frutto positivo della intesa con l’area di Provenzano? Antonio Ingroia e Nino Di Matteo in questi vent’anni, sono sempre stati in prima fila nelle indagini per svelare le contiguita’ pericolose tra uomini delle istituzioni e Cosa nostra. Convinti di essere dalla parte della ragione anche nella vicenda delle intercettazioni indirette del Capo dello Stato, che andranno distrutte, aspettano la decisione della Corte costituzionale sul conflitto di attribuzione sollevato dal Presidente Napolitano. E intanto chiedono all’attuale governo Monti di costituirsi parte civile nel processo sulla trattativa, avendo individuato come parti offese – il reato contestato e’ quello di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato, i governi che si sono succeduti a partire dal ’92 fino al ’94 – persino il governo guidato da quel Giulio Andreotti indagato, imputato (e assolto) per i rapporti con Cosa nostra, dalla procura di Palermo. Dal governo Andreotti al primo governo di Silvio Berlusconi, l’offensiva eversiva e sanguinaria di Cosa nostra ha cercato di condizionare il potere politico in carica per modificare leggi e regimi carcerari, le regole dei processi e gli stessi reati. Ingroia, pero’, a fine ottobre andra’ in Guatemala, su richiesta delle Nazioni Unite, per un anno sabbatico A molti sembra una rinuncia. Ma l’indagine e’ chiusa. Adesso spettera’ ai pm del dibattimento convincere i giudici".