"Distruggere nel più breve tempo le registrazioni casualmente effettuate di conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica". Questa la "soluzione", indicata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.1/2013, per il conflitto sollevato dal Quirinale nei confronti della Procura di Palermo. La distruzione deve avvenire "in ogni caso, sotto il controllo del giudice", spiega la Corte Costituzionale, "non essendo ammissibile, nè richiesto dallo stesso ricorrente, che alla distruzione proceda unilateralmente il pubblico ministero". Tale "controllo – si legge nella sentenza – è garanzia di legalità con riguardo anzitutto alla effettiva riferibilità delle conversazioni intercettate al Capo dello Stato, e, quindi, più in generale, quanto alla loro inutilizzabilità, in forza alle norme costituzionali e ordinarie". Ferma restando la "assoluta inutilizzabilità" del procedimento in questione, delle intercettazioni del presidente della Repubblica, ed escludendo la "procedura camerale partecipata", l’Autorità giudiziaria dovrà però "tenere conto della eventuale esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi: tutela della vita e della libertà personale e salvaguardia dell’integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica (art.90 Cost.). In tali estreme ipotesi, la stessa Autorità – conclude la Corte – adotterà le iniziative consentite dall’ordinamento".