FORMAZIONE, QUELLA DENUNCIA CHE RIMASE INASCOLTATA

Sarebbe troppo facile dire lo avevamo detto. Sarebbe troppo facile dirlo ma è un dato di fatto che lo abbiamo detto, inascoltati, quando erano trascorse appena quattro settimane dall’elezione del nuovo presidente della Regione. Era il 10 dicembre 2012. La Cisl, con una lettera aperta al neo-governatore Rosario Crocetta, puntava il dito contro quell’intreccio diffuso di clientele e affari al centro, in questi giorni, di importanti inchieste giudiziarie. Indicava nel “consolidato sistema affaristico tra deputati, politici e società da loro controllate mediante rapporti di comodo e/o parentali”, la minaccia da sradicare nel settore della formazione e in tanti altri settori vissuti in Sicilia, per troppi anni, all’ombra dell’intermediazione politica per una gestione di comodo della spesa pubblica. Inascoltati, abbiamo proposto un percorso di coraggio e trasparenza offrendo il nostro totale sostegno. Convinti come siamo che la discontinuità fosse la conditio sine qua non del cambiamento. E anche alla luce dell’esperienza che la Cisl aveva maturato nel campo della formazione. Ma dalla formazione, la Cisl da tempo ormai, per scelta autonoma, aveva deciso di uscire chiudendo con la gestione delle attività. Ci eravamo illusi che la nostra uscita dallo Ial, datata settembre 2011, potesse rappresentare una rotta da seguire sul fronte della netta separazione tra politica e gestione. Invece, è accaduto esattamente l’opposto. E negli ultimi due anni la politica, in Sicilia, ha totalmente occupato la formazione professionale regionale. Sempre, utilizzando il vecchio metodo dei prestanome: dei fedeli senza competenze, senza scrupoli. E senza alcun pudore. Così, è troppo facile ora far finta di avere scoperto l’acqua calda di un immenso pozzo di San Patrizio. Di un gorgo senza fondo collegato a sprechi, corruzione e all’abuso irresponsabile delle risorse pubbliche. E troppo facile è sottrarsi a ogni discussione e al confronto sociale aperto mentre di riforma della formazione e delle società partecipate, locali e regionali, restano solo l’effetto annuncio. E qualche manifestazione di buona volontà. Il punto, è che a pagare è sempre Pantalone. Il Pantalone costituito dagli ottomila lavoratori che, sulla propria pelle, fanno le spese dell’abnorme verminaio nascosto sotto il tappeto della formazione. E anche questo avevamo detto invocando “trasparenza coniugata con tenuta occupazionale”. E rimarcando che per le vere rivoluzioni, “non bastano denunce e annunci”. Quella lettera, datata 10 dicembre di un anno fa, riproponiamo ora. Non certo per dire, appunto, lo avevamo detto. Piuttosto, per “liberare – come scrivevamo – risorse dal fallimentare bilancio regionale”. E migliaia di lavoratori “dalla disperazione e dal ricatto di pratiche politiche non più sostenibili”. Solo così, infatti, “il cambiamento e la discontinuità con il passato, recente e remoto”, potranno realizzarsi “senza correre il rischio di fermarsi” alle mere attestazioni di buona volontà. Ricordi presidente, è il nostro appello ora, che nei settori sociali e dell’economia invasi da politica, clientele e malaffare, il cambiamento e la legalità devono coincidere, sempre, con la giustizia sociale. Il cambiamento o è socialmente giusto oltre che legale. O non è affatto cambiamento.