Che fortuna avere un parente all’Università di Messina: il problema del merito non si pone. L’inchiesta della Guardia di finanza che qualche giorno fa ha riportato l’Ateneo sotto i riflettori giudiziari non fa altro che confermare l’andazzo e conclamare cose risapute. Questa come tante altre indagini precedenti rivelano corruzione, mazzette, assunzioni clientelari. E badate bene che non si tratta di giudizi generici, ma di storie quotidiane di vita vissuta. E tracciano un allarmante ritratto della vita dell’Ateneo: un elevato conflitto tra convinzioni personali e situazione professionale. Come se a ogni cambio di poltrona fosse necessario pagare una cambiale al professore di turno. Il solo concetto di scambio a noi risulta fastidioso figurarsi il drogare una carriera, un concorso, una ricerca. E il fatto più allarmante che si continua a liquidare da parte dei vertici dell’Università il tutto come uno spiacevole incidente di percorso (!). Come se fosse una marachella innocente chiedere di fare vincere il concorso a una persona fortemente appoggiata dal professore – parente. E le pagine e pagine delle tante ordinanze cautelari in questi anni ci svelano racconti di dilemmi morali sul contrasto tra lecito e illecito, tra profitto privato e interessi collettivi… E’ vero spesso sono state beccate persone che si arricchivano alle spalle dell’Ateneo ma se ci fate caso, se ragionate sui nomi sono stati toccati solo i pesci piccoli e usato il metodo dei due pesi e due misure. No, questo non è morale ma ipocrisia! E la smemoratezza è una dote che si ricerca nell’essere benvoluto dalla messinesità: tutto deve cadere nel dimenticatoio per non nuocere al Sistema. Che conclusioni trarne?