Chi partecipa a un dibattito sul caso Messina, solitamente prende le parti della lontananza nel tempo dell’omicidio Bottari, per giustificarne l’archiviazione morale, o quelle dell’attualità dello stesso per salvare la faccia dall’insolutezza inspiegabile delle indagini. Nessuno sceglie altri punti di ancoraggio, per ragionare sulla morte del professore, perché prescindendo da questi il discorso non proseguirebbe oltre il primo spontaneo punto interrogativo: come è possibile che dopo 5820 giorni non si riesca ancora intravedere una luce di verità? Io denuncio uno spontaneo punto esclamativo: la crudeltà dell’omicidio, l’assurdità della tabula rasa di indizi, il muto evolvere della città di Messina nella nuova forma che i fatti le davano, compiacente come sempre a quel potere sottile e familiare che la promuoveva da città babba a… beh, alla Messina di oggi. 5820 giorni fa il professor Matteo Bottari, primario di Endoscopia all’Università di Messina e borghese tra i meno invischiati, veniva assassinato in un agguato mentre tornava a casa dal lavoro. Lasciava una moglie dal cognome illustre e un figlio, ma anche alcune fra le più infruttuose indagini investigative che storia di mafia abbia mai conosciuto. E diciamo mafia non perché così si classificano in Sicilia gli omicidi brutali e insoluti, né per qualche legame acquisito dal professore, che potesse far pensare a un “semplice” monito per terzi. Diciamo mafia perché di mafia è intrisa la storia che ha succeduto la sera del 15 gennaio 1998, e di mafia sono saturi gli intrecci che hanno distratto, ingannato, demotivato e qualche volta abbagliato, come in una rivelazione di fuggevole verità, risultati dal Verminaio dello Stretto. Sotto i grigi cieli di una Messina sempre più sdoganata nella sua smaliziatezza, tanto più manifesta quanto più si accetta di aprire gli occhi, si snodano le indagini, le testimonianze, le parole e le supposizioni, parecchie false, troppe mai verificate, qualcuna probabilmente vera. Chissà quale. L’omicidio Bottari ha fatto presto a diventare storia, e come gran parte dei fatti storici, negli anni diventò sempre più facile ammorbidire i toni, edulcorarli, contaminarne la gravità vestendo il fatto in sé di passato. E poi chi era Matteo Bottari? Contava qualcosa? Aveva un parente importante, era invischiato in qualcosa? No. Ed ecco come la memoria del professore Bottari svanisce nel fumo che la stessa Messina si è creata intorno. Ma lo stesso fumo che acceca, finisce per intossicare i cittadini e drogare la vita istituzionale. La colpa che avverto deriva proprio da questo: come mai è stato permesso che nessuno pagasse per questo delitto? Omicidio Matteo Bottari: il mistero quotidiano del quotidiano che ci circonda.