I militari del Nucleo di Polizia Tributaria di Agrigento hanno recentemente sequestrato alcuni reperti archeologici custoditi, tra le altre cose, all’interno di uno degli immobili sottoposti a sequestro lo scorso sedici febbraio su decreto di sequestro preventivo emesso dal Dott. Francesco PROVENZANO su richiesta avanzata dalla Dott.ssa Brunella SARDONI nei confronti del noto imprenditore agrigentino BURGIO Giuseppe. In particolare, il decreto si riferiva a due immobili destinati a civile abitazione e altri nr.2 a uso commerciale del valore complessivo di oltre 16,5 milioni di euro, già di proprietà della H.O.P.A.F. S.r.l., società immobiliare a suo tempo amministrata da BURGIO Giuseppe. La scoperta risale a quando i militari del Nucleo di Polizia Tributaria di Agrigento, nel corso delle operazioni di immissione in possesso dell’immobile sito in via Minerva n.15 condotte al seguito dell’amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Agrigento, Maria AMATO, si sono imbattuti in due anfore ed un vaso antichi che facevano bella mostra di sé negli appartamenti ove lo stesso Giuseppe BURGIO era residente fino al momento del suo arresto, avvenuto lo scorso ottobre. Non avendo i finanzieri ricevuto risposte convincenti sulla provenienza di tali reperti archeologici dalla RAGUSA Maria, moglie del BURGIO, essi decidevano allora di contattare due funzionari della Soprintendenza ai beni culturali di Agrigento per disporre di un parere qualificato. I funzionari stabilivano allora come le due anfore, plausibilmente utilizzate per contenervi vino od olio, risalissero al periodo bizantino, mentre il vaso, utilizzato invece per gli infusi, risalisse ad epoca medievale, confermando l’iniziale impressione dei militari circa la sussistenza di un effettivo interesse storico-artistico proprio dei reperti rinvenuti così come desumibile dal loro perfetto stato di conservazione. Di conseguenza i coniugi BURGIO sono stati entrambi denunciati per impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato – fattispecie prevista e punita dall’art.176 del D. Lgs. n.42/2004, che prevede la pena della reclusione da uno a sei anni – a seguito del sequestro delle anfore e del vaso, i quali sono state affidati in giudiziale custodia ai funzionari della Soprintendenza di Agrigento per consentirne in futuro la fruizione alla collettività tutta. Gli accertamenti relativi a tale fattispecie delittuosa sono attualmente diretti dalla Procura agrigentina nella persona del Sostituto Procuratore Simona FAGA. Il sequestro di reperti archeologici rientra appieno nelle facoltà concesse ai militari della Guardia di Finanza in relazione ai poteri ridefiniti, da ultimo, dall’art.2 del D. Lgs. n.68/01 recante “Adeguamento dei poteri della Guardia di Finanza” e si ascrive nella più ampia missione istituzionale tesa a tutelare i beni demaniali, ovunque rinvenuti.