
Il 28 febbraio e l’1 marzo arriva per la prima volta a Roma, al Teatro Biblioteca Quarticciolo ore 21, Madri, una produzione di La Corte Ospitale. Lo spettacolo, scritto da Diego Pleuteri, con Valentina Picello e Vito Vicino diretti da Alice Sinigaglia, racconta l’intensa storia di un incontro tra un figlio e una madre, in un salotto pieno di scatole e memorie. Tra ricordi e ricerca di vecchie citazioni, la pièce ci conduce in un dialogo fatto di silenzi, parole e pensieri.
Un ragazzo torna a fare visita alla madre durante un pomeriggio di pioggia. Una volta in casa trova il salotto pieno di scatole, sparse sul tavolo, per terra, sopra le sedie. Fra di esse, la donna si muove continuando a parlare. Sta cercando un vecchio articolo di giornale, letto tempo prima e poi conservato, nel tentativo di ricordare le ultime parole di una citazione. “Di intimo c’è rimasto solo…”. La madre si comporta come se la sua vita fosse rimasta bloccata lì, in attesa di completare la frase. In poco tempo il figlio si inoltra insieme a lei nella ricerca. Vana è ogni resistenza. Il richiamo di quella parola scordata è troppo forte, anche per lui. E dalle scatole cominciano a emergere vecchi album di fotografie, romanzi, piccoli inquietanti scarafaggi difficili da uccidere. Sospesi fra sogno e realtà, azione e pensiero, madre e figlio sprofondano dentro quell’inconscio che potremmo dire collettivo, per ritrovare le parole che erano state dimenticate.
Con Madri, testo vincitore del prestigioso premio EURODRAM nel 2022, La Corte Ospitale prosegue la sua ricerca di nuovi talenti che sostiene e accompagna, con l’obiettivo di favorire l’innovazione della scena contemporanea, come il sodalizio artistico tra Diego Pleuteri e Alice Sinigaglia che si rinnova in questo progetto.
Venerdì 28 febbraio, nell’ambito del progetto Staffetta critica, la giornalista Ornella Rosato medierà l’incontro con la compagnia al termine della replica.
Note di regia – Uno dei punti più interessanti del lavoro di Diego Pleuteri su Madri riguarda la riflessione sul pensiero, sulle sue modalità di entrare in circolo nelle vite delle persone e di descrivere la realtà. I due personaggi hanno la testa bucata, i loro pensieri fuoriescono senza sosta in un fiume di ossessioni che senza sforzo diventano parola; parola che di tanto in tanto si attorciglia su se stessa fino a sparire in un brusio di fondo, ma che altre volte senza nessun preavviso diventa concreta, reale. I fatti che le parole descrivono sono già tutti accaduti e forse non è nemmeno importante se siano accaduti davvero o siano stati solo immaginati. Il dialogare dei protagonisti è l’intreccio di due menti che volentieri diventano una sola e si scambiano continuamente le parti di una consumata vita interiore. In questo eterno monologare, madre e figlio si finiscono le frasi, sì, ma allo stesso tempo non riescono a finire l’unica frase che sembra importare davvero: di intimo c’è rimasto solo? Cercando la fine di una citazione, i due passeggiano a mezz’aria senza nessuna intenzione di scendere a terra. Sono insieme, sì, ma sono anche profondamente soli. Di intimo c’è rimasto solo il pensiero? La solitudine? La regia approfondisce queste domande lavorando sulla parola e quindi sul suono, il più sfuggente degli elementi scenici (come sfuggente è la tenera incertezza dei due personaggi). Polifonico o monolitico, sdoppiato, sovrapposto, un approfondito e complesso lavoro sulla sonorità cerca di restituire tutti i livelli di stratificazione del pensiero, vero protagonista di questo testo. Il dispositivo drammaturgico e quello registico si fondono, le didascalie diventano dialoghi, i dialoghi pensiero, i pensieri monologhi e i monologhi vengono ascoltati da chi dovrebbe interpretarli. Ma da dove vengono le voci? Chi parla? I suoni escono dai cassetti della cucina, dalle scatole in cui lei fruga spuntano microfoni, fonti sonore inaspettate scoprono ricordi, si sdoppia il pensiero e livelli sovrapposti di testo si intersecano in bocca a chi invece sembrerebbe zitto. Qualcuno canticchia una canzone, ma qui nessuno sta cantando ed è qualche altra madre in qualche altra casa di qualche altro mondo che adesso canta la stessa canzone. La regia ha in questo senso il compito di assecondare e amplificare un sistema di segni e rimandi in grado di complicare gli orizzonti del testo, trasformandolo in partitura musicale. Poiché così fa il pensiero: complica, cresce, cola, straborda, inciampa e ci porta dritto verso noi stessi. Per i due personaggi i corpi sono solo incidenti del caso, incidente è abitare un luogo, ritrovarsi madre accanto al proprio figlio. Di reale c’è rimasto solo? Una cucina sbiadita abitata da due corpi incerti. La scena è un interno senza troppa fantasia, due sedie, pochi oggetti, qualche scatola. Una casa normale e concreta che ha perso colore, che il tempo ha tinto dell’inconsistenza in cui vive la sua proprietaria. In questo luogo spento, la madre si muove non sapendo di essere corpo, non ricordando che i suoi capelli rossi sono il marchio di una violenta vitalità. Una vitalità rimasta senza sfogo che nel tempo ha preso le sembianze di una disperata implosione, ma che ancora turbina dentro di lei. Ed è proprio turbinando per la casa, che l’attrice attira e richiama un mondo che fa rumore e porta scompiglio. Le blatte, il citofono, quel qualcosa che svolazza fuori dalla finestra: è il mondo esterno che cerca di sfondare il regno ovattato in cui i personaggi si trovano. Forse la vita riesce a entrare anche qui dove non ci si dice mai niente, qui dove l’amore è di chi non sa provarlo e la solitudine è una cappa leggera sopra due esseri coperti di nuvole. Sbordano i contorni di due vite disegnate a matita. Qualcosa si agita sotto la polvere. Di intimo c’è rimasto solo? La vita, per chi trova il coraggio di viverla, anche sbadatamente, per chi ancora e sempre la continuerà a cercare dentro le scatole.
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Alice Sinigaglia – Nata a La Spezia nel 1996, si forma come interprete e regista attraverso l’incontro con Michela Lucenti, Danio Manfredini, Chiara Guidi e Claudia Castellucci, Sotterraneo, Babilonia Teatri, Theodoros Terzopoulos, Katy Mitchell. Dal 2017 inizia a collaborare con Gli Scarti ETS, centro di produzione e innovazione ligure. Nel 2018 dirige il suo primo lavoro: Domino, Menzione Speciale Premio Scenario Infanzia. Nel 2022 si diploma come regista alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi. Parallelamente al suo percorso di formazione arriva in finale al Premio Scenario nel 2021 con Il Canto del Bidone, di cui è coautrice e regista. Ha lavorato come assistente alla regia di Serena Sinigaglia, Manuel Renga e Giovanni Ortoleva e lavora tutt’oggi come dramaturg della danza insieme a Giulia Spattini/Balletto Civile.
Diego Pleuteri – Nato a Melzo nel 1998, si forma come autore presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi incontrando personalità come Daria Deflorian, Martin Crimp e Rafael Spregelburd. Madri, scritto nel 2019, riceve nel 2020 la menzione speciale al premio InediTo e nel 2022 entra nella selezione del comitato italiano di Eurodram. Attualmente studia come attore presso la Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, diretta da Valerio Binasco e Leonardo Lidi. Nel 2021 è assistente alla drammaturgia per Misantropo di Leonardo Lidi. È qui che nasce la collaborazione con Leonardo Lidi col quale lavora nel 2022 come assistente alla drammaturgia per Misantropo e per cui scrive nel 2023