IL DELITTO KARAMAZOV di Fëdor Dostoevskij, drammaturgia Fausto Malcovati

La Russia in crisi

Russia. Fine anni ’70 dell’Ottocento. Minacciosi segnali di protesta lampeggiano ovunque. Le riforme avviate nel 1861 dallo zar Alessandro II (abolizione della servitù della gleba, sistema giudiziario, struttura militare) non hanno sortito l’effetto auspicato, il paese è nel caos, il terrorismo prende sempre più piede (e culminerà con l’assassinio dello zar nel marzo 1881), contestazioni e rivolte ovunque. In questo clima incandescente Dostoevskij scrive il suo ultimo romanzo, I fratelli Karamazov: lo conclude alla fine del 1880 e muore pochi mesi dopo. Vi riassume tutti i grandi temi che attraversano l’intera sua opera narrativa.

Perché il suo paese non ha pace? Quali sono i tarli che lo corrodono? Uno fra tutti: la crisi della famiglia. La famiglia è il fondamento di una società sana, se manca quello tutto si sfascia, istituzioni, principi, comportamenti. Ecco il tarlo, ecco il vizio. La grande idea che guida il romanzo è proprio questa: la società russa è malata e sta precipitando verso la dissoluzione perché manca il tessuto connettivo che è quello della famiglia.

Ne sono un esempio i Karamazov. Un padre lascivo, debosciato, due mogli umiliate, bistrattate, vilipese, tre figli abbandonati a se stessi, cresciuti tra estranei, senza affetto, senza disciplina, senza tenerezza. Di lì, dal non amore, dalla sbadata assenza di attenzione nascono i conflitti, le rivalità, le ribellioni. Nel microcosmo turbolento dei Karamazov si riflette il macrocosmo della Russia calpestata, devastata, esasperata.

Nell’atmosfera dissoluta di una famiglia “casuale” (è una definizione di Dostoevskij) matura l’idea del parricidio. Perché deve vivere un padre che non sa cosa sia la paternità, che ricorda a malapena il nome dei suoi figli? Vero. D’altra parte, chi ha diritto di decidere sulla vita o la morte di un essere umano? Alla domanda risponde Ivan, il figlio intellettuale, ateo, irriducibile nemico dell’armonia del creato: se Dio permette violenze e torture di esseri innocenti come i bambini, allora davvero “tutto è permesso”, afferma sfrontato. Parole ambigue, avventate, incaute, soprattutto se ascoltate da un personaggio privo di scrupoli come Smerdjakov, figlio illegittimo del perverso padre Karamazov, dunque fratellastro di Ivan. Ivan, il cattivo maestro, instilla in Smerdjakov il bacillo del parricidio: in casa Karamazov l’odio inficia tutti i rapporti, ma è Smerdjakov che traduce in gesto omicida l’intolleranza reciproca di tutti i membri della famiglia. Un gesto di cui Smerdjakov non vuole assumersi la responsabilità: è l’esecutore materiale, ma la responsabilità morale non è sua, è tutta di Ivan, il vero ispiratore della violenza. “Sei tu il vero assassino” gli grida Smerdjakov nell’ultimo incontro e si impicca per non ammettere il delitto. La storia si chiude con un errore giudiziario: viene condannato l’innocente fratello Mitja e Ivan, incapace di difenderlo, affonda nella febbre cerebrale. Lo sfascio è completo. Non c’è pace per i Karamazov. La loro disintegrazione si propaga. Non c’è pace per la Russia.

Fausto Malcovati

 

Inizio di un percorso intorno e dentro l’uomo

Dopo un lungo percorso di otto mesi di studio ed elaborazione il testo creato dal professor Fausto Malcovati – che con grande pazienza e particolare sensibilità ha ascoltato e discusso i suggerimenti degli attori e del regista – è arrivato a compimento.  Il risultato è un lavoro drammaturgico che non vuole essere la riduzione della celebre opera di Dostoevskij. La scintilla intorno a cui si è costruito l’adattamento è scaturita dalle tre scene che nel romanzo si susseguono tra il figlio intellettuale Ivan e il fratellastro-servo Smerdjakov, sulle responsabilità filiali relative al parricidio. Il lavoro drammaturgico ha cercato di far emergere due temi fondamentali e molto attuali: l’errore giudiziario e le responsabilità derivanti dall’uso delle parole da parte di chi esercita un potere e può dunque influenzare negativamente i comportamenti dei propri simili.

Il compito che ci siamo prefissi è proprio dare voce a quelle parole e corpo a quei personaggi, inventando una dimensione teatrale entro cui collocarli. Vorremmo riportare in superficie persone e storie dimenticate e intendiamo far riemergere dal buio e dall’oblio fantasmi che, ritornando a nuova vita, ci svelino la storia di un parricidio e del suo processo, i cui eventi sono scolpiti per sempre fra le pagine di uno dei più grandi capolavori letterari della storia.

Sulla scena saranno evocate le anime dei protagonisti, che prenderanno forma via via sempre più consistente in una dimensione Hitchcockiana fatta di intrighi, di sospensioni e di ambiguità non risolte.

 

Partire da Dostoevskij per conoscere e analizzare meglio il nostro tempo

L’idea dello spettacolo è quella di utilizzare l’ultima parte del romanzo per costruire un thriller avvincente: il parricidio è stato compiuto, Fëdor Karamazov è stato ucciso e l’imputato principale è il figlio maggiore Dmitrij.

Il secondo figlio, Ivan, al momento del delitto si trovava a Mosca. L’ unico che insiste sull’innocenza di Dmitrij è il fratello più giovane, Alëša.

Ma c’è un personaggio che “complica” la situazione: Smerdjakov, anche lui figlio di Fëdor, frutto di una relazione extraconiugale.

Smerdjakov ascolta soprattutto i discorsi di Ivan, l’intellettuale della famiglia, sulla profonda ingiustizia della creazione. Ivan, ateo convinto, dichiara che se sono possibili, nel nostro mondo, spaventose violenze su creature innocenti come i bambini, allora tanto vale abbandonare ogni morale e ammettere che “tutto è permesso”.  Dell’atmosfera di violenza che regna in casa Karamazov si nutre proprio Smerdjakov che, come gli altri fratelli, odia il padre, il quale lo ha sempre umiliato.

Lo spettacolo, oltre a raccontare un drammatico errore giudiziario, porta in primo piano le teorie immorali di Ivan, il “cattivo maestro”, per usare un termine legato a un triste periodo della nostra storia contemporanea. L’attualità del discorso dostoevskiano è tutta concentrata sulla responsabilità delle parole: Ivan Karamazov induce al delitto senza compierlo e si ritiene innocente fino al momento in cui si rende conto di aver corrotto la coscienza altrui predicando l’immoralità.

Può essere interessante, scavando nel testo dostoevskiano, riferire l’ultima parte dei “Fratelli Karamazov” alle responsabilità degli odierni comunicatori politici. Sono coscienti del ruolo che svolgono nella vita sociale e dell’influsso delle loro parole sui cittadini? Come Ivan Karamazov, con i suoi discorsi, ha istigato un delitto, così le parole dei politici, se proferite avventatamente o, peggio, con il fine di strumentalizzare tensioni e passioni, possono scatenare odio e violenza. Ancora una volta, insomma, Dostoevskij, scavando nell’animo umano, ci fornisce una preziosa chiave di lettura per il presente.

 

 Passato e presente si legano e si compenetrano

E quanto risultano profetiche le parole che il pubblico ministero pronuncia al termine del processo, rivolgendosi alla corte. “Ricordate che siete i difensori della nostra verità, i difensori della nostra sacra Russia, dei suoi fondamenti, della sua famiglia, di tutto quel che di Santo è in lei! Sì, qui rappresentate la Russia in questo dato momento, e non soltanto in questa sala risuonerà la vostra sentenza ma in tutta la Russia, e tutta la Russia vi presterà ascolto in quanto suoi difensori e giudici, e sarà rincuorata o avvilita dalla vostra sentenza. Non tormentate la Russia e le sue aspettative, la nostra trojka fatale vola a rotta di collo e forse verso la rovina. E da che tempo ormai nell’intera Russia tendono le braccia e implorano di fermare questa galoppata indiavolata e caotica. E se per ora ancora gli altri popoli si fanno da parte per lasciar passare la trojka che galoppa a rotta di collo, allora può darsi che non sia affatto per deferenza nei suoi confronti, ma semplicemente per orrore. Per orrore e, forse, per disgusto nei suoi confronti, e ancora è un bene che si facciano da parte ma forse si decideranno e smetteranno di farsi da parte, e diventeranno un muro solido dinnanzi alla visione che si precipita in avanti, e saranno loro stessi a fermare la folle corsa della nostra sfrenatezza, per salvare sé stessi, la cultura e la civiltà! Abbiamo già sentito queste voci preoccupate provenienti dall’ Europa. Cominciano già a risuonare. Non tentatele, non aumentate l’odio crescente con una sentenza che giustifichi l’assassinio di un padre da parte del figlio”.

Lorenzo Loris

INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI

Teatro OUT OFF via Mac Mahon 16, Milano

Orari spettacoli:

martedì, mercoledì, giovedì ore 20.30

venerdì, sabato ore 19.30

domenica ore 16.00

 

Prenotazioni e Informazioni

0234532140 / biglietteriaoutoff@gmail.com

lunedì › venerdì ore 10.00 › 16.00