Guido, dunque sono. Guido, dunque esprimo una parte di me. Guido e la mia automobile è simbolo di (a scelta): sicurezza, rispetto per l’ambiente, filosofia di vita, amore per la famiglia, amore per l’avventura, amore per la Nazione e nei casi più eclatanti disinteresse nei confronti dell’automobile stessa che va abbandonata (lo dice lei stessa!) per riprendersi la vita. C’è l’automobile che corre all’indietro perché offre una nuova visione del mondo. C’è l’auto potente che quando dà gas fa saltare tutto in aria. C’è l’auto silenziosa che rispetta il sonno dei bambini. C’è quella nazionale che rispetta la storia della patria. C’è quella che garantisce più amici. C’è quella per la quale non è importante la meta finale ma il viaggio in sé e il modo in cui ti guardi intorno. C’è l’auto che sogni fin da quando eri bambino e che ti aspetta con una promessa di felicità. E si potrebbe procedere all’infinito sulla scia della filosofia spicciola ormai veicolata dalle quattro ruote che alludono ad altro e sempre più spesso alludono al rispetto dell’ambiente. Per carità, lungi da noi proporre l’esaltazione incondizionata di certa pubblicità progresso didattica e pedagogica. Ma quando la pubblicità commerciale di una qualsiasi automobile si appropria delle parole d’ordine del tempo e rilancia l’auto – e solo l’auto – come testimonial privilegiato di una filosofia, di uno stile, di un insieme di valori, di un esserci individuale o familiare all’altezza con i tempi, allora forse è lecito domandarsi come si possa parlare di rispetto per l’ambiente e mobilità sostenibile se quello che viene promosso è l’uso dell’auto a prescindere dalla sua utilità e l’acquisto dell’auto glamour a prescindere dallo stato in cui versano le proprie finanze – tanto si paga a rate nei prossimi quindici anni.