Radio Radicale: quando muore qualcuno più o meno noto, a maggior ragione quando ci è vicino per motivi privati o pubblici, le riflessioni sulla “finitezza” della vita umana si accumulano, si affollano e, sostanzialmente, alla fine rimangono lì. Scrivo da “miscredente”, ché altrimenti rifletterei sulle diverse vite eterne che si confanno a questo o quell’altro credo, financo sulla reincarnazione,
E vengono in testa frasi più o meno epocali del tipo “l’unica certezza della vita è la morte”, frasi che, pur istintivamente rigettando per la pesante retorica che hanno in sé, non posso non prendere atto che sono una precisa fotografia della nostra quotidianità.
Nella mia vita di queste occasioni me ne sono accadute diverse, e credo ce ne saranno altre, e – consapevole che accade a tutti – non mi sento strano, ma unito, mi si sviluppa un senso di appartenenza al genere vivente che, solo dopo un po’ di riflessione – asciugate le spontanee lacrime – mi induce a far meglio quello che sfo facendo, che ho fatto e che vorrei poter continuare a fare in modo migliore… dove “migliore” per me significa incisivo, incidente e prodromico di benessere diffuso, soprattutto per chi ha avuto minori occasioni delle mie, minori amori dei miei.
A volo, ricordo che questo mi è accaduto in occasione della morte di mio padre Antonio, del mio amico Andrea Tamburi ucciso in Russia probabilmente dalla mafia politica, di Leonardo Sciascia il letterato politico, di Marco Pannella il leader radicale, di mio cognato Fabrizio Cappelli, di Leonard Cohen il poeta/musicista, di Amos Oz l’intellettuale scrittore israeliano, e oggi di Massimo Bordin il giornalista di Radio Radicale. Sono consapevole che in questa sorta di olimpo ognuno ha i suoi nomi, i suoi ricordi e, di conseguenza – per proprie riflessioni – le sue reazioni. Ma nel contempo credo che poi – riflessione A o riflessione B – tutti tornino punto e a capo, con l’aggiunta della consunzione del contesto ambientale in cui si vive, e con la consunzione del corpo e della mente propria e di ognuno.
Oggi è il giorno di Massimo Bordin, di cui non c’è media che non ne parli. Un tributo all’individuo e al luogo in cui ha contribuito in quanto tale, Radio Radicale. La radio che il governo vuole chiudere perché non accetta il servizio pubblico di informazione che svolge, in sostituzione di quelli preposti (Rai) ma che, nonostante costino 100 volte in più di questa emittente *, non riescono a svolgere.. cosa di cui pochi riflettono o fanno finta di non avere tempo per farlo.
Bordin aveva la mia età, quindi potrei essere anche io al suo posto nel dissolvimento tra la terra. E mi ci vedo, senza senso lugubre. Di lui si può leggere molto (non per tanto tempo, immagino, per cui gli interessati si affrettino o facciano tesoro degli archivi dei prossimi tempi, come quello della radio di Bordin), ma chissà in quanti lo percepiranno come l’amico e il compagno sempre presente per ricordarci la nostra curiosità del sapere giornalistico.
Forse la sua morte, oltre alle angosce di cui anche io ne sono stato vittima e partecipe, servirà perché la sua radio continui a servirci. Forse la sua morte stimolerà le riflessioni e gli istinti, facendo porre maggiore attenzione agli ignari, per farci continuare ad utilizzare i servizi della sua radio. Ognuno ha la sua “resurrezione”. Chissà.
* 5 milioni di euro, è quello che mancherebbe per far continuare questo servizio
Vincenzo Donvito, presidente Aduc