Poche cose, a chi scrive dei libri, possono dare un piacere particolare come quello di inciampare per caso in un lettore che sta leggendo un tuo libro. Non essendo poi i tuoi dei libri che si trovano con facilità, il piacere raddoppia. Mi capitò parecchi anni fa, scendendo dalla barca – storia peraltro già raccontata nel libro per Mursia – in un porto che non conoscevo, di vedere, poche barche dopo la mia, un lettore comodamente adagiato in pozzetto che leggeva mi pare “Mollare gli ormeggi”.
Io scrivo di mare principalmente e questa nicchia non è che sia affollatissima di scrittori nè particolarmente coltivata dagli editori, quindi il piacere della sorpresa raddoppia ulteriormente. Se poi un amico che non conosci ma che apprezzi – i social hanno persino qualche lato positivo – ti manda via Twitter una foto del tuo libro – suo parziale compagno di ferie immagino – in barca sul lago, la sorpresa raddoppia e ti mette a posto la serata. Sarà infantile ma è così.
Un libro che sia realmente tale però è una cosa molto seria, pesante, faticosa. Richiede continue riletture e l’attenzione sempre e comunque al lettore che diventa un tuo riferimento quasi concreto. Scrivendo in questo modo guardi e capisci Guareschi, Montanelli e tanti altri con il dono di comunicare attraverso la scrittura con il proprio pubblico, creando un filo fortissimo con chi legge e poi spesso ricorda. Vero è che in Italia escono – almeno pare – duecento libri al giorno ma occorre intendersi su quanti di questi sono realmente dei libri? Anche il numero delle copie vendute – che pure fa piacere, soprattutto agli editori ma anche gli autori – non è che sia determinante per qualificare un libro che per essere tale, deve solo essere scritto bene, il che – come si diceva – richiede fatica, umiltà, curiosità, attenzione, un po’ di mestiere che viene solo da quanti libri hai realmente letto – e che ti danno poi l’orecchio per capire se la frase scivola, se funziona – oltre ovviamente qualche po’ di fortuna. In realtà, se ti fai l’occhio, vedi subito se l’autore ha scritto più libri di quanti ne ha letti. Nel caso il risultato è solitamente penoso.
Mondo strano quello librario. Un capolavoro mondiale, il suo autore, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, lo vide sempre e solo rifiutato dagli editori. Non lo vide mai stampato eppure certamente sapeva che era un gran libro. Un altro libro, uno dei più belli che abbia mai letto – “Pretesti della memoria per un Maestro” di Gustavo Vinay – è pressoché totalmente sconosciuto (se non fra i medievisti) e si trova solo perchè molto meritoriamente il Centro Studi dell’Alto Medioevo lo pubblica e lo tiene in catalogo. I libri sono vita, annullano la solitudine, fanno viaggiare oltre il tempo e lo spazio, creando amicizie impensabili. La patria di un uomo è la sua biblioteca, suggerisce non a caso l’Adriano di Marguerite Yourcenar, altro capolavoro assoluto del secolo passato e non solo.
Se scendiamo non di poco di quota, a proposito di libri, finiamo nell’attuale macchiettismo dilagante un po’ ovunque, soprattutto in politica dove il problema è assolutamente transpartitico oltre che temo patologico. Ogni giorno porta con l’alba una nuova occasione. L’ultima è quella del ministro della Cultura quando dichiara, la sera della finale, in diretta tv (rendendola peraltro imprevedibilmente memorabile) che si ripromette di leggere i libri in concorso per un premio letterario, premio un po’ bollito ma sempre di rilievo. Giusto proposito, solo che lui in teoria, e non solo in teoria, quei libri li ha votati come giurato.
La perfida ma preparata conduttrice dapprima si sorprende poi è bravissima a giocare la scena. Viene un po’ da ridere ma senza allegria, anche perchè il ministro bofonchia una precisazione che si rivela peggiorativa nel contesto. Chissà se qualcuno dei concorrenti, si stia chiedendo se il voto della giuria è comunque valido, quando un suo importante membro vota senza leggere ciò che deve votare. Saranno pure premi letterari in cui sembra sia già tutto ampiamente deciso – si dice da editori e salotti – ma il problema dal punto di vista formale resterebbe. Sicuramente sarà già capitato di giurati che non leggono i libri ma a. non lo dicono e b. non sono il ministro della Cultura. Niente di grave intendiamoci ma soltanto altri piccolissimi segni dei tempi.
Carlo Romeo, giornalista, consulente Aduc