In un mondo basato sull’immagine, sul glamour e la perfezione dei corpi anche una fotografia “diversa” può servire a farci restare umani. Vivi, accoglienti. Un viaggio con obiettivo la natura umana, con gli occhi puntati verso la sensibilità che è propria dei cuori impavidi. Monica Antonelli è una fotografa particolare: a lei piace narrare una storia nella storia.
Monica ammette: “Più che parlare di Paese, posso parlarti di una porzione di quadro, dato dalle persone che passano davanti al mio obiettivo. Sarebbe esagerato trarre da qui le conclusioni per generalizzare parlando di un Paese intero. Davanti al mio obiettivo vedo prima di tutto persone, con le loro fragilità, i loro sogni, le loro speranze”. L’immagine non è solo bellezza, corpi tonici o scollature sempre più generose per décolleté senza età. No, lo specchio di questa Italia sono pure immagini di esclusione, emarginazione e povertà; di conflitti in cui si mescolano cause economiche, politiche, ideologiche e, purtroppo, anche religiose.
In questo mondo, i fotografi come Monica possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri
“Dal 2006 mi occupo di fotografia a livello professionale. Principalmente mi occupo di fotografia di moda e di ritratto, amo raccontare le storie di chi si pone davanti al mio obiettivo. Sono sempre alla ricerca di nuove storie da raccontare e mi invento ogni volta nuovi progetti fotografici che possano permettermi di crescere professionalmente ma soprattutto umanamente. Fermamente convinta che il confronto con gli altri sia il modo migliore per continuare a crescere e a migliorare come esseri umani”.
Molto sensibile ai temi legati all’ambiente e alle tematiche sociali quali la lotta contro le discriminazioni di genere e la violenza sulle donne, Monica cerca di portare nelle fotografie il suo punto di vista per continuare a tenere alta l’attenzione su temi così delicati e importanti.
Da alcuni mesi ha iniziato a scrivere un blog in cui parla di fotografia dando consigli (a chi sta iniziando questo percorso), a livello pratico e organizzativo. Contemporaneamente scrive articoli indirizzati alle donne, a sostegno della bellezza naturale, per far in modo che possano riscoprire loro stesse, nella loro reale bellezza, senza coprirsi di orpelli o falsificarsi con filtri per porsi a confronto costantemente con i finti modelli veicolati dai social network.
“Da questa ricerca sulla bellezza naturale e la voglia di prendere consapevolezza di sé è nato un progetto fotografico intitolato “Natural beauty – riscopri la vera bellezza che è in te” in cui metto a confronto la bellezza senza trucco di una donna, la sua bellezza valorizzata da un trucco naturale quasi impercettibile, e la terza immagine in cui la persona viene valorizzata da un trucco studiato appositamente su di lei”.
Monica moda, bellezza, seduzione ma anche battaglie sociali: dietro il tuo obiettivo che Paese osservi?
Più che parlare di Paese, posso parlarti di una porzione di quadro, dato dalle persone che passano davanti al mio obiettivo. Sarebbe esagerato trarre da qui le conclusioni per generalizzare parlando di un Paese intero. Davanti al mio obiettivo vedo prima di tutto persone, con le loro fragilità, i loro sogni, le loro speranze. Alcuni di essi temono il confronto con l’obiettivo, come se questo li giudicasse e li classificasse. Credo che ciò sia dovuto all’estrema diffusione di immagini portate dai social network. Immagini in cui se il soggetto è femminile vi è molta apparente perfezione estetica. Per entrambi i sessi c’è un confronto con esempi di successo portati alla ribalta da questi social in cui tutti appaiono felici. Tutto questo non fa altro che scatenare in molti soggetti, una sorta di ansia da confronto. Il costante paragone della propria vita con quella degli altri e la conseguente frustrazione se non si è raggiunto un determinato obiettivo. C’è molta voglia di apparire, ma ben pochi si mostrano realmente. Amo chi riesce ancora, a mostrarsi per ciò che è.
Tasse, famiglie, lavoro: come cambia la sensibilità di fotografare un corpo?
Per quanto mi riguarda, la sensibilità che metto nel fotografare chi ho davanti, che è persona prima di essere un corpo, non cambia col passare del tempo, al massimo aumenta. Rispetto a quando ho cominciato questo lavoro, ho ancora più attenzione e riguardi nei confronti del soggetto. Quando sono su un set, nulla entra e distrae da esso. Non ci sono pensieri legati a fattori esterni, mi concentro sull’immagine da scattare.
Secondo quale schema scegli le modelle/i?
In base al tipo di fotografia che devo fare. Se sto cercando una modella per un lavoro commerciale la ricerca si basa su determinate caratteristiche che il tipo di immagini richiede. Per esempio: se sto cercando una modella per un catalogo di abbigliamento, ne cercherò una che abbia una vestibilità in linea con il tipo di abiti e la taglia adatta ai capi di campionario. Scegliere una modella non è però solo un fattore di taglia. Personalmente vado alla ricerca dell’interprete perfetta per l’idea che voglio realizzare. Punto molto l’attenzione sullo sguardo e sul viso della modella. Amo quelle donne che con uno sguardo comunicano molto. Non amo le modelle “manichino”, che non aggiungono nulla alla foto, che si limitano ad indossare i capi come fossero appunto dei manichini. Prediligo quindi una modella interprete, con cui poter lavorare in sinergia per poter realizzare l’immagine migliore per veicolare il messaggio. Lo stesso criterio lo applico quando voglio scegliere una modella per i miei progetti di ricerca: voglio che la modella sia presente, che si faccia veicolo del messaggio e per questo motivo la bellezza seriale di alcune modelle non mi interessa. Preferisco una bellezza atipica, quel dettaglio che faccia restare impressa la foto.
L’attimo fuggente di Monica?
Qui ed ora. Non esiste altro che il presente. Ho intrapreso un lungo lavoro su di me, e sempre più sto cercando di applicare il qui ed ora alla mia vita. Cerco di vivere il presente, ogni sfumatura che mi offre. Nella frenesia moderna non è facile concentrarsi per vivere l’attimo presente, perché la mente è sempre distratta da centinaia di stimoli differenti. Ma solo nel momento in cui viviamo questo brevissimo istante, diventiamo consapevoli di noi e della nostra vita. Non appena ci distraiamo, usciamo da noi e dall’attimo che fugge via e non torna più.
Cinque scatti esplosivi?
Non facile selezionarne solo cinque. Le cinque foto migliori, sono quelle che ho fisse nella memoria per la potenza del messaggio sono sicuramente: Donna Migrante di Dorothea Lange Napalm Girl di Nick Ut The falling man di Richard Drew. Il primo passo sulla Luna scattata da Neil Amstrong. Aggiungo questa foto di Avedon per l’eleganza e la composizione che la rendono un riferimento sempre forte e presente nella memoria: Dovima with elephants di Richard Avedon.
Si dice che in Italia funziona tutto per amicizia è lo stesso per la fotografia?
Non è una regola, ma succede anche nel mercato fotografico. Credo si debba fare un distinguo tra quelle collaborazioni che nascono perché si conosce il contatto giusto che ti propone perché realmente apprezza il tuo lavoro, da quelle in cui ti chiamano, perché “sei amico di” o “parente di”, ma senza giusta causa. Nel primo caso è capitato di lavorare per un cliente presentatomi da un collaboratore diventato nel tempo anche amico. Ma in quei casi è sempre stato per un discorso non di amicizia e di favore, ma perché l’amico sceglieva me perché mi riteneva adatta a quel tipo di lavoro. Presentando poi altri fotografi per altri tipi di lavoro per cui io non ero adatta. Questa è una situazione che capita, ma più che di amicizia parlerei di collaborazioni tra professionisti. Altro caso è il discorso dell’essere chiamati perché vi è il favore, ma non il merito. Questa è una condizione per me non accettabile. Non amo molto i “salotti”, mi tengo alla larga da certe dinamiche perché non fanno parte di me. Certe situazioni mi mettono a disagio e le vivo male; le scorciatoie, le spinte, non mi appartengono. Certo farebbero comodo, ma ho capito che preferisco tenermi fuori da queste mentalità che non fanno altro che rovinare il mercato e la mentalità delle persone.
A volte il destino può riservare belle fortune: a te è mai capitato?
Credo che il destino ce lo costruiamo noi, con le azioni che compiamo ogni giorno. Pensare al destino, mi fa pensare a qualcuno che sta sdraiato tutto il giorno sul divano in attesa passiva che qualcosa accada senza fare nulla per farlo accadere. Nella mia visione, mi impegno ogni giorno per costruire il mio futuro. Se qualcosa succede (o non succede), è legato a ciò che ho fatto (o non ho fatto) per farlo accadere.
Mi è capitato di poter collaborare ad un progetto per uno stilista che per me è un punto di riferimento nel mondo della moda. Amo da sempre il suo stile e il suo modo di vedere la vita e di conseguenza il lavoro in azienda. Quando mi hanno contattata è stato realizzare un obiettivo per me molto importante. In questo caso, mi hanno chiamata perché una persona, grande amante della fotografia, che avevo conosciuto tramite il mio blog di allora e con cui ero in contatto, mi ha voluta proporre perché secondo lui ero la persona adatta per quel lavoro. Quindi più che fortuna direi che c’è stato un allineamento di fattori: scrivere in un blog mi ha portata in contatto con quella persona, che ha conosciuto e seguito per anni il mio lavoro. Non appena nella sua agenzia è arrivato quel cliente, ha pensato a me. Se non mi fossi impegnata a costruire un blog, un sito e veicolare il mio pensiero sulla fotografia, non avrei mai conosciuto quella persona e nulla sarebbe accaduto.
Sappiamo che ti piace nei tuoi scatti raccontare la storia delle persone: la più incredibile e la più romantica?
La più romantica è la storia di una coppia che ha passato tantissime difficoltà ma che alla fine è riuscita a coronare il sogno di sposarsi, e ricordo bene la loro emozione, e le loro lacrime di gioia all’altare, perché ebbi la fortuna di essere al loro fianco in quel momento così speciale. La più incredibile è legata ad una situazione drammatica: due genitori che perdono la figlia, per mano di un assassino, ma che in qualche modo riescono a sopravvivere a questo dolore inimmaginabile iniziando a lottare per avere giustizia per la figlia e per tutte le altre vittime di violenza.
Sei d’accordo con chi sostiene che per ogni donna che emerge nel campo lavorativo ce ne sono venti che abbandonano l’obiettivo?
Non so se sia un dato corretto, ma sicuramente posso confermare che non sia semplice. Io non ho figli, quindi posso dedicare alla fotografia la maggior parte del mio tempo. Per una donna con una famiglia da gestire, è richiesta una grandissima capacità di organizzazione della gestione familiare. Nel nostro lavoro non ci sono orari, possono esserci le settimane di calma apparente in cui ci occupiamo di post produzione e di lavoro prettamente al computer, ma ci sono anche dei periodi di intensa attività fotografica in cui si possono lavorare tranquillamente 10 o 12 ore al giorno. Questo vale sia per servizi fotografici commerciali (soprattutto nel caso di cataloghi moda in cui le sessioni fotografiche ricoprono molto spesso l’intero arco della giornata), sia per i servizi fotografici di matrimonio in cui le ore fuori casa sono davvero molte. Nel caso della fotografia matrimoniale la stagione richiede un impegno soprattutto nei weekend e per chi ha bambini non è certo facile organizzarsi logisticamente, ma anche emotivamente. Il senso di colpa di lavorare nei due giorni che solitamente si passano in famiglia, non è semplice, soprattutto all’inizio e nei casi in cui non ci sia abbastanza collaborazione in casa. E’ un lavoro meraviglioso, ma come ogni lavoro ha i suoi difetti: la mancanza di orario, la mancanza di stabilità, il continuo rinnovamento per non rimanere indietro. Serve una gran tenacia per non mollare. Ma anche comprensione per chi decide di mollare, non sempre è facile far collimare tutto.
Società da codice rosso: le cronache purtroppo raccontano spesso casi di stupro. Quando si è perso il senso dell’amore?
Quando si è perso il rispetto per l’altra persona. I casi di violenza mostrano una situazione drammatica della società moderna. Non mi riferisco solo allo stupro. Mi riferisco anche ai casi di bullismo, ai casi di violenza psicologica sempre più diffusi, una forma silente di violenza che si insinua nella testa della vittima e che la porta a subire una situazione insostenibile. Ogni caso di violenza, fisica e non, parte dalla mancanza di rispetto per l’essere umano. Ci si crede superiori all’altro. L’altro non è degno di noi. Chi cede alla violenza è una persona che porta dentro di sé un disagio enorme e lo manifesta con la violenza perché non conosce altra via che quella. Lo stupro è la manifestazione visiva e fisica di tale disagio, il punto più alto della viltà di un uomo. Non puoi avere quella donna, la prendi con la violenza. Vuoi dimostrare di essere potente, ma dimostri solo di essere un debole. Su questi temi mi infervoro sempre parecchio, e mi è capitato di scontrarmi con mentalità chiuse che si basano sull’idea che la donna se la cerca persino per come va in giro vestita. Io credo che finché ci sarà questo tipo di mentalità sarà ben difficile poter risolvere questo dramma sociale.
Gli anni Novanta hanno regalato il boom dei calendari sexy: dalle attrici cult alle cosiddette casalinghe. Era solo arte o semplicemente una caduta di stile?
Definirli arte mi sembra eccessivo. Sono stati un mezzo per vendere e guadagnare soldi facili. Hanno cavalcato un tema sempre richiesto: una donna nuda o quasi, piace sempre ad un largo mercato e ciò equivale a facili guadagni. Sono stati un fenomeno di moda per parecchi anni. Tante attrici e star della tv posavano come fosse una tappa obbligatoria per la celebrità. E per molte probabilmente lo è stata. Quello che non mi è mai piaciuto di questi calendari era la mercificazione del corpo femminile nuda e cruda. Le immagini non erano studiate per fare fotografia di livello (come nel caso del calendario Pirelli, esempio famoso, dove c’è sempre stata dietro un’idea forte, anche negli anni in cui mostrava donne nude), servivano solo per mostrare delle donne nude o quasi, solo per vendere il maggior numero di copie. Non c’era un’idea dietro se non quella di mostrare corpi sinuosi, ritoccati e il più discinti possibile. Non condanno l’idea del nudo in sé, ma non condivido il modo in cui è stato usato. Io stessa me ne sono occupata, ma, arrivando da studi artistici, per me lo studio del corpo umano è una vera e propria arte. Osservarlo come cambia a seconda del movimento, della luce, delle forme è uno studio continuo. Nelle mie foto ci sono molti nudi, ma ho sempre cercato di mostrarli in maniera pulita, per veicolare un messaggio e la mia ricerca. Il corpo nudo passa quasi in
secondo piano, è spogliato da qualunque senso erotico per ritrovare un senso più pittorico e scultoreo.
I social hanno rotto molti tabu: siamo dell’idea, però, che l’uso decorativo che si fa delle donne non ha niente a che fare con il vero ruolo delle donne nella società. Che ne pensi?
Le donne, nella società di oggi, hanno raggiunto traguardi incredibili, ricoprono posizioni di rilievo, si sono ritagliate il loro posto nel mondo, hanno la capacità di fare moltissime cose contemporaneamente, sanno gestire aziende e al tempo stesso occuparsi della gestione familiare come moderne eroine. Nonostante questo siamo ancora qui a parlare del ruolo delle donne, come se volessimo affermare che la disparità sia stata colmata, ma capisci che il solo parlarne non fa altro che sottolineare il fatto che se, se ne deve parlare per affermare un concetto è perché quel concetto non è ancora così assodato da esser reale e accettato. Infatti poi vedi pubblicità o articoli con la donna al centro e capisci quanto lavoro ci sia ancora da fare, perché se per vendere uno pneumatico o della carne in macelleria, usi ancora il corpo nudo di una donna, beh, scalfire questa mentalità chiusa e schiava dei soliti preconcetti, è un processo che richiede ancora molto lavoro.
Chiudiamo con una luce di speranza: sweet dreams lo sguardo misterioso di Monica mentre insegue un sogno)?
Più che un sogno, una speranza: poter continuare a incontrare persone che vogliano condividere le loro storie con me. Poter, nel mio piccolo, portare un contributo alla società tenendo alta l’attenzione su temi importanti e delicati. Continuare a credere che se ciascuno di noi, si impegna a fare un piccolo passo per aiutare gli altri, possiamo veramente cambiare le cose.