“Le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale… Pertanto, parole e azioni siano tali da aiutarci ad uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che continuano a intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono a esprimersi con messaggi di odio…”.
Papa Francesco
La storia di una persona non è solo una cronaca asettica di avvenimenti, ma è storia, una storia che attende di essere raccontata attraverso la scelta di una chiave interpretativa in grado di selezionare e raccogliere i dati più importanti. La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli “occhiali” con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Ecco la necessità di un giornalismo di qualità, libero e indipendente: ne parliamo con Angela Iantosca, giornalista, già inviata de La Vita in Diretta (dal 2014 al 2015), ha scritto e scrive per diverse testate nazionali (periodici e quotidiani). Direttore artistico del Festival InDipendenze nato nel 2019, ideatrice di percorsi di prevenzione alle dipendenze nelle scuole italiane, collabora al WeFree, progetto della comunità di San Patrignano sulle dipendenze.
Ha pubblicato “Onora la madre – Storie di ’ndrangheta al femminile” (Rubbettino, 2013), “Bambini a metà – I figli della ’ndrangheta” (Perrone, 2015), “Voce del verbo corrompere” (Bulgarini, 2017), “La Vittoria che nessuno sa” (Sperling&Kupfer, 2017), “Una sottile linea bianca – Dalle piazze di spaccio alla comunità di San Patrignano” (Perrone, 2018), “Gli eroi di Leucolizia” (Perrone, 2020).
Con le edizioni Paoline ha pubblicato “In Trincea per Amore. Storie di famiglie nell’inferno delle droghe” (2020) e “La scimmia sulla culla. Bambini in crisi di astinenza” (2021). Ambasciatrice del Telefono Rosa, ha collaborato con Treccani Cultura al progetto Ti Leggo. Finalista del Mattarella 2016, ha ricevuto il premio speciale Memoria nel Cuore Onlus per “Bambini a metà”. Nel 2020 ha vinto il premio speciale Aurora all’interno del premio Giuditta per “In Trincea per Amore” e il premio “Isola Solidale” per l’impegno dimostrato durante la pandemia a sostegno delle famiglie dei carcerati. Nel 2021 ha ricevuto il premio Annalisa Durante categoria Stampa per “Gli eroi di Leucolizia”.
Angela, l’Italia, la Sicilia celebra, come ogni anno, l’anniversario della Strage di Capaci e di via D’Amelio. Falcone e Borsellino eroi per sempre: cos’è rimasto del loro percorso?
“Le loro parole, le loro inchieste, la loro testimonianza, le loro idee che camminano sulle nostre gambe, il profumo dell’onestà, le scelte di chi ha deciso da che parte stare (l’unica possibile), rimane la memoria che onoriamo ogni giorno con il nostro lavoro, con il rispetto delle regole, con il fare il nostro dovere a cominciare dal semplice pretendere uno scontrino nei negozi. Rimane la voglia di lottare, di salvaguardare i diritti di tutti, di lavorare per una Terra che non abbia paura di dichiararsi onesta e libera, di non voler accettare il puzzo del compromesso”
Che cosa ti inquieta di più?
“Il silenzio di quella società civile che preferisce girarsi dall’altra parte piuttosto che lottare per la propria libertà. Le ipocrisie, le divisioni tra chi dovrebbe essere unito per un unico scopo, gli inutili protagonismi, le guerre intestine, gli interessi personali anteposti a quelli di tutti, la lontananza tra parole dichiarate e azioni compiute. Quel “cu si vardau si sarbau” (chi si fa i fatti propri si salva) che caratterizza l’essere umano dal Nord al Sud. L’omertà, il pensare che qualcosa non ci riguardi finché non ci tocca in prima persona, il credere che la mafia sia lontana da noi, il credere che la garanzia di un proprio diritto sia superiore alla garanzia dei diritti degli altri. Mi inquieta quell’ “armiamoci e andate” che troppo spesso vedo intorno a me. Mi inquietano le assenze e i silenzi che valgono più di molte parole. I gesti che nascondono un significato. Le parole di Rita Atria in questo sono molto significative: “Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci”. Credo che dovremmo partire da questo prima di intraprendere ogni azione, prima di pensare di essere al di sopra di ogni sospetto”.
Se dovessi spiegare a un ragazzino la mafia che cosa diresti?
“Tanto tempo fa, quando siamo stati creati eravamo perfetti, liberi e spensierati. Non conoscevamo l’odio e la guerra, ma giocavamo sempre a “tutti giù per terra”. Eravamo tutti come voi, innocenti come bambini, allegri e birichini. Ma un giorno della propria natura qualcuno si dimenticò e la ‘cosa’ generò, che è come un inutile parassita che degli altri la vita vuol far finita, senza lavorare vuole guadagnare, facendo del male se qualcuno la vuole fermare e per preservare i propri proventi danneggia anche gli innocenti. Ma la ‘cosa’ non lo sa che l’amore sempre vincerà e che Leucolizia la sconfiggerà!”[1]. È un brano tratto dal mio libro, “Gli Eroi di Leucolizia”, scritto nel 2020 e che si rivolge ai bambini. Si tratta di un libro di favole con il quale racconto ai più piccoli gli eroi dell’antimafia, da Gaetano Saffioti a Falcone e Borsellino, da Annalisa Durante a Peppino Impastato, usando un linguaggio semplice, quello della favola e parlando loro di rispetto delle regole, di ambiente, di amore e di ingrediente segreto. In questi anni, lavorando molto con i ragazzi nelle scuole, ho compreso quanto fosse necessario rivolgersi a fasce d’età sempre più piccole per cominciare sin dai primi anni di vita ad educare alla responsabilità (parola che preferisco a ‘legalità’), alla diversità, ad osservare il mondo e a sentirsi parte di esso, con un linguaggio vicino a loro. Quando parlo ai ragazzi più grandi, invece, affronto il tema del bullismo che ha le stesse caratteristiche della mafia: l’isolamento della vittima, l’omertà, l’utilizzo della forza del gruppo. Se si fa un buon lavoro in tal senso, si gettano le basi per fare una buona antimafia. Alle scuole superiori, poi, faccio toccare ai ragazzi con mano i luoghi della memoria, gli faccio incontrare le vittime, i parenti, li faccio partecipare in modo attivo alla cosa pubblica, li spingo a fare volontariato (altra attività preziosa). Credo che sia importante, dunque, in generale, con i giovani e giovanissimi renderli responsabili e far comprendere loro quanto sia importante la libertà che può essere salvaguardata solo grazie alla cultura, alla conoscenza, al rispetto delle regole, all’amore per il prossimo”.
Non ho mai compreso il motivo per il quale chi scrive storie di criminalità deve avere la benedizione dei soliti noti altrimenti è lettera morta. Davvero siamo diventati così cinici e opportunisti da non vedere il valore delle idee?
“Non credo sia necessaria nessuna benedizione. La forza e la bontà di ciò che si scrive, si denuncia, si racconta, a prescindere, sono convinta che – se forte e buona – troverà la sua strada per emergere”.
L’ironia e il grottesco sono le armi che noi giornalisti dobbiamo usare per combattere la cultura criminale?
“L’ironia è un’ottima arma. Può esserlo nelle rappresentazioni cinematografiche, nella satira, ma credo che i giornalisti debbano attenersi ai fatti”.
L’attualità ci racconta che le istituzioni spesso non sono state così rigide nel combattere il crimine: dalla politica alla sanità, dall’antimafia di facciata alle stesse forze di polizia: possibile che non esistono gli anticorpi?
“Gli anticorpi devono essere costruiti ogni giorno, alimentati ogni giorno, nutriti ogni giorno. Non si può arretrare nella lotta alle mafie, anche quando ci si sente stanchi o sopraffatti. Non ci si può distrarre in quello che è un dovere morale di ognuno di noi”.
C’è il rischio che questo screditi la parte sana?
“Se qualcosa è sano davvero non può diventare il suo contrario”.
Viviamo però in una società che fatica a distinguere le storie vere dal sentito dire. E’ un problema?
“È un problema che riguarda l’informazione a 360°. L’eccesso di informazioni, la rete inevitabilmente favoriscono la superficialità e la diffusione delle fake news. Sta a noi scegliere dove leggere le notizie, sta a noi fare un confronto, osservare, analizzare”.
Sarà il nostro voto alle urne che sino a oggi ha alimentato la criminalità?
“Il nostro voto alle urne è determinante. Abbiamo molti strumenti ormai per capire a chi stiamo dando la nostra fiducia. Basta agire di conseguenza”.
I magistrati quando vanno in televisione si dicono preoccupati per la cosiddetta zona grigia: come si distingue il confine tra la paura e la convenienza?
“Il problema è la solitudine che è ciò a cui ambiscono i mafiosi: l’isolamento delle vittime e delle persone. Nella solitudine il coraggio rischia di essere sopraffatto dalla paura. Ma la paura non necessariamente porta alla convenienza e connivenza. La paura può anche essere un sentimento positivo in grado di mantenere lucide e attente le persone. La cosa importante è che non si trasformi in terrore. Detto questo è fondamentale lavorare nelle scuole e creare tra i ragazzi gli anticorpi. È necessario fare rete, essere uniti, stare insieme. I numeri ci dicono che siamo più noi che loro. Quindi non c’è motivo per cui cedere alla tentazione. Se tutti, uniti, ci ribellassimo, se tutti facessero il proprio dovere e rispettassero le regole, avremmo sconfitto le mafie che, come ricordano sempre Nicaso e Gratteri, hanno come loro fondamento la corruzione”.
Da giornalista impegnata mi spieghi perché ogni vicenda che parla di mafia, dai pentimenti alle rivelazioni, si tinge di giallo? Ma la verità non ci rende liberi come dice Gesù Cristo?
“Si tinge di giallo tutto ciò che è complesso da capire. Tutto ciò che non abbiamo modo di approfondire, tutto ciò che è ancora lontano dall’essere svelato, tutto ciò che ha implicazioni che vanno al di là del fatto in sé. La verità certamente rende liberi, ma in questo caso, di frequente, si è lontani dalla verità perché le inchieste sono in corso, perché ci sono diversi attori coinvolti, perché qualcosa che per noi può essere insignificante (o può diventare un titolo di un giornale) in realtà potrebbe essere un tassello verso altro di più importante o semplicemente perché la verità non può (o qualcuno non vuole) essere in alcuni casi svelata”.
[1] Da “Gli Eroi di Leucolizia” (Perrone, 2020) pp. 39-40