C’è un fotografo che nella piazza del villaggio racconta una storia. Gli si fa intorno una piccola folla. Il fotografo è un poeta e nelle figure mette l’anima. Ogni scatto è una poesia, un monito a noi che non pensiamo che a divertirci. Il fotografo si chiama Alessandro Burato immortala i corpi perché ne ho bisogno. Non è soltanto un lavoro, è istinto primario, un’ossessione. La nudità è soltanto l’inizio, una tabula rasa necessaria per potersi riscoprire. Osservando i quadri di Alessandro Ci chiediamo: perché a un certo punto della storia gli uomini hanno smesso di esprimersi soprattutto in versi e hanno preso ad esprimersi soprattutto in immagini banali. Forse perché c’è stata la desacralizzazione, c’è stata la rivoluzione industriale, c’ è stata (e c’è) la "modernità”? Ci chiediamo: sarà poi vero, come diceva qualcuno, che in foto non si può mentire? Alessandro non mente e se mente lo fa con seduzione. Le sue modelle sono seducenti ma non bellissime, attraenti ma non top model. Sono donne in carne, vizi e difetti. Niente trucchi né inganni, solo anima. E perché no, poesia. Che la poesia non consente di non dire la verità: sulla realtà, sulla società che ci circonda? Il nostro Burato è uno che ricerca il particolare, il dettaglio la storia e proprio per questo merita la nostra attenzione. Le sue donne catturano lo sguardo, il desiderio di scoprire come sono veramente. Per questo Alessandro dice la verità. Anzi, racconta molte verità, che interesseranno. Il fotografo traffica. traffica con pensieri lontani. Traffica in parti del corpo strane. Ma l’uomo indaga, esplora, spoglia con sensualità. Ma com’è bella la sua creatura. Alessandro ci spiega: “Il mio punto di vista è quello di un uomo che rispetta ed ama profondamente ogni donna nella sua interezza. Non so cosa farmene di Photoshop, né mi interessano gli irraggiungibili standard di bellezza moderni. Apprezzo invece ogni ruga, ogni cicatrice, ogni segno particolare che racconti la storia di chi ho davanti. Ho ritratto donne dai 18 ai 61 anni; tutte dopo poco si sono scordate della presenza di una macchina fotografica e di essere nude, per ritrovarsi a proprio agio e libere di esprimersi attraverso il proprio corpo nella sua interezza, senza l’ombra di giudizi estetici o morali. Il commento che ricevo più spesso è <è stato liberatorio>". Senza orgoglio né pregiudizio. Più diverse di tutte le altre ma più seducenti che mai. I ritratti di Alessandro vengono alla luce del sole raramente, obbedienti al richiamo dell’unica cosa che sembra interessarli, l’amore. E le sue forme.
Alessandro Burato ti abbiamo notato grazie alle tue modelle: pur non essendo veline nei tuoi ritratti sono molto seducenti. Svelaci il segreto?
Credo che dipenda dal fatto che le metto in condizione di essere ciò che vogliono senza che siano giudicate o incanalate in qualche posa predefinita da modellina generica. Sono donne che si piacciono e sentono a proprio agio, nonostante, appunto, non tutte rispondano ai canoni di bellezza stereotipati “da velina”. Credo sia questo il motivo per cui seducono, sono donne, non modelle, alla fine.
Se dovessi premiare le tue modelle chi e con quali motivazioni?
Sicuramente Martina e Matilde, le prime muse. Sono cresciuto con loro. Serena e la sua ex ragazza, mi hanno permesso di realizzare una delle foto che amo di più, loro due che si baciano teneramente. Più recentemente Giulia, giunonica e con un carattere forte ma che si affida alla tua visione senza nessun problema. Marta, elegante e versatilissima. Poi tutte le mie clienti, donne dai 19 ai 62 anni di cui non vedrete mai le foto perché mi commissionano ritratti e li tengono per sé o per chi vogliono loro.
La donna ideale?
L’ho sposata. E non si fa fotografare, ma mi incoraggia a sperimentare e andare avanti, mi sostiene costantemente, mi sprona.
Mentre scatti hai bisogno del silenzio o parli con le ragazze?
Ho sempre bisogno di interagire e rendere il tutto decisamente personale, quindi parliamo di solito molto, ci raccontiamo l’uno all’altra. Non uso “pose”, al massimo do indicazioni generiche, poi è un dialogo continuo, a volte diventa un passo a due, a volte un duello di scherma, botta e risposta. Scattare il meno possibile, comunicare il più possibile, guardare il soggetto.
Chi sono i tuoi maestri?
Avedon, deceduto. Jean-loup Sieff, deceduto. Rodney Smith e Efrem Raimondi, vivi e vegeti. Apprezzo e cerco di imparare da tanti fotografi, compresi diversi colleghi, ma i Maestri sono loro.
Perché diventare fotografo?
Perché hai qualcosa da dire e vuoi farlo attraverso la macchina fotografica. Perché vuoi cercare di rimediare all’ ineluttabilità del “panta rei” immortalando in rettangoli bidimensionali un mondo quadrimensionale. Perché ti hanno regalato la super reflex ma premendo il pulsante non viene fuori automaticamente un capolavoro, e vuoi capire perché.
Gli scatti sono un modo per sfogarsi o semplicemente una liberazione?
Sono una necessità. Scatto perché ne ho bisogno, ho bisogno della fiducia che mi regalano i miei soggetti, di vedere fin dove si spingono, quanto si mettono in gioco, ho bisogno di sentirmi dire “è stato liberatorio” o “mi son dimenticata di essere nuda”, ho bisogno di osservarmi reagire a tutti questi stimoli e fissare il tutto nella foto finale. Ritratto mio, più che di chi ci compare.
Perché il nudo?
Perché non è “nudo”, è ritratto. Mettersi a nudo fisicamente è uno stratagemma per farlo poi nella testa. Si parte dal corpo nudo per arrivare a sguardi nudi, dove leggi il completo affidamento di chi ti sta davanti alla tua visione. Naturalmente c’è anche il semplicissimo fatto che amo il corpo femminile e da buon maschio etero una donna nuda è un bel vedere. Ma in definitiva penso che un mondo in cui si può stare nudi davanti a un estraneo senza che questo per forza debba interpretarlo come offerta sessuale è, a mio modesto parere, un mondo migliore. Siamo nati nudi, del resto.
La bellezza è una categoria estetica?
Certamente. O perlomeno, un tipo di bellezza è inquadrabile in una categoria estetica. Io preferisco esseri interessanti, che si *sentono* belli, più che rispondere a chissà quali canoni oggettivi. La bellezza è una 19enne imbarazzata e timidissima, una 40enne orgogliosa del suo corpo, una madre che ti dice “vedi il cesareo? lo voglio vedere bene in foto, è mio figlio”. La bellezza è una ragazza con il seno sciupato dalla gravidanza che all’inizio ti confessa che è il suo complesso più grande e due ore dopo, a servizio fotografico inoltrato, si sente talmente a proprio agio da farsi fotografare a seno all’aria e viso sorridente.
Dietro ogni scatto c’è una storia: quanto è fondamentale l’emozione per te?
Credo di averti già risposto, a questo punto. Ma ribadisco: io mi nutro di emozioni. Mie e altrui. Ogni tanto vado nel “concettuale”, nel “tecnico”, ma sono le mie foto minori.
Il culto dell’apparire si è impossessato dell’esistenza quotidiana dei ragazzi/e: come ci si difende per non essere schiavi?
Si ritorna all’essenza. Alle interazioni umane. Ci si… spoglia, perdonami la fissa, del superfluo, si demolisce la sovrastruttura e si ritorna alla carne, alla sostanza.
Nei miei viaggi le ragazze che racconto le vedo come creature perse dietro i miti di cartone della Tv e della pubblicità. Dietro l’obiettivo che generazione scopri?
Ho fotografato poche ragazze giovani, ma ognuna di loro mi è piaciuta molto. A parte un paio di eccezioni di gusci vuoti e vanesi, ho trovato giovani donne determinate, forti. Alcune si son date alla politica, altre viaggiano, alcune a 20 anni si mantengono da sole per seguire il loro sogno. Due sono andate negli stati uniti a fare le ragazze alla pari, insomma, fanciulle di sostanza.
Toglimi una curiosità: hai mai subito la voglia di guardare le persone e fantasticare sulla loro vita magari con un finale diverso?
Sinceramente no. Ho però il costante desiderio di farmi raccontare quello che sono loro in questo momento e provare a metterlo nei miei ritratti. Si torna al discorso del nudo fatto prima.
Prossima meta?
Un figlio. Sempre di immortalarsi si parla, no?