Arch. Federica Zucchi: non si finisce mai di studiare, imparare e reinventarsi. Perché ogni progetto è un’opportunità

Arch. Federica Zucchi

Quante storie raccontano gli interni di una abitazione? Si potrebbe partire da questa suggestione per cercare di dare una misura a una carriera professionale di un architetto che si occupa di di progettazione architettonica e ristrutturazioni edilizie. Eppure nel caso della protagonista della nostra storia, Federica Zucchi c’è molto altro da scoprire. Federica è capace di entrare negli ambienti che progetta con un’eleganza misurata e intramontabile, alchimia che trasforma i luoghi di nuove concezioni stilistiche: un tratto, un segno, un marchio assieme di appartenenza e distinzione. 

A cominciare dalle note di stile: Federica si è laureata al Politecnico di Milano nel 1989, è iscritta all’Albo degli Architetti della Provincia di Milano, dove vive e lavora. Dal 1984 ha iniziato nello studio del padre Lucio Zucchi.

“Dal 1990 mi sono avvicinata alle problematiche relative alla sicurezza elettrica, poi alla sicurezza negli ambienti di lavoro e infine alla sicurezza nei cantieri edili, collaborando con lo studio dell’Avvocato Antonio Oddo, esperto del settore, partecipando a diversi convegni e pubblicazioni sull’argomento. Dal 1997 sono abilitata a svolgere l’attività di Coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori. Sempre in questo settore svolgo attività di consulenza presso imprese e aziende“.

Arch. Federica Zucchi

Federica, che cosa significa per te progettare ambienti?

Per me la progettazione di ambienti non è solo un intervento fisico sugli spazi, ma un profondo viaggio psicologico. Ogni ambiente che viviamo influenza direttamente il nostro benessere emotivo, il nostro comportamento e persino la percezione di noi stessi. Proprio per questo, un professionista non è semplicemente un esperto di architettura o design, ma un vero interprete delle emozioni. Con un ascolto profondo e attento, riesce a trasformare i desideri e le necessità del cliente in spazi reali.

Quel che conta in uno spazio, in una stanza non è quel che si vede, ma il vuoto che le sta intorno: si dice che un bravo architetto deve suggerire ciò che sfugge alla vista. Se dovessi spiegare il tuo stile a un cliente?

Direi che il mio stile si può definire “Modern Comfort, un’architettura che unisce eleganza contemporanea e calore accogliente, dove ogni elemento è pensato per essere bello, funzionale e perfettamente vivibile.

Questo concetto nasce dall’idea di creare spazi dove il comfort non è solo un concetto estetico, ma una vera e propria esperienza su misura. Ogni progetto è pensato come un abito sartoriale, studiato nei minimi dettagli per adattarsi alla personalità, ai bisogni e allo stile di vita del cliente, evitando di lasciarsi influenzare dalle tendenze fugaci e modaiole. Nei miei progetti nulla è standardizzato. Parto sempre dall’ascolto, trasformando sogni e bisogni in soluzioni uniche, cucite sulla persona.

La vita di un professionista può essere sintetizzata in un’immagine: il viaggio. Il viaggio alla ricerca delle idee è il più pericoloso: devi raggiungere luoghi inesplorati, originali… Quanto ha contato l’ambizione nel tuo percorso?

L’ambizione ha giocato un ruolo fondamentale nel mio percorso, spingendomi a esplorare territori sconosciuti e a sfidare continuamente i miei limiti. Nel mestiere dell’architetto, infatti, non si finisce mai di studiare, imparare e reinventarsi, perché ogni progetto è un’opportunità per proporre nuove soluzioni e idee, frutto di ricerca, analisi e creatività.

Questo viaggio verso le idee è spesso il più difficile, perché richiede di abbandonare la sicurezza, di confrontarsi con l’incertezza e con l’inevitabile rischio di fallimento. Tuttavia, è anche il più appagante: quando si raggiunge un “luogo inesplorato”, che sia un’idea innovativa, una soluzione progettuale unica o un risultato inatteso, si ha la conferma che l’ambizione è stata la giusta guida.

Nel mio percorso, l’ambizione ha significato anche determinazione, perché ho imparato che ogni ostacolo o fallimento (e ce ne sono),  non dev’essere un punto di arresto, ma un punto di partenza per spingersi ancora oltre. In quest’ottica, quello che conta veramente è la volontà di crescere, di imparare e di superare i propri limiti, consapevole che ogni viaggio, per quanto difficile, contribuisce a definire chi siamo come professionisti e come individui.

Che cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa, rispetto a quando hai iniziato a intraprendere la professione?

Se devo rispondere a cosa è cambiato da quando ho iniziato la mia professione, negli anni ’80, direi che è cambiato tutto, soprattutto nel rapporto con i clienti.

Una volta, la figura dell’architetto era rispettata e riconosciuta per la sua competenza: c’era una fiducia implicita nel professionista, considerato un interprete capace di tradurre bisogni ed esigenze in soluzioni innovative e funzionali. Oggi, invece, sempre più spesso l’architetto viene visto come un mero esecutore della volontà del cliente, che arriva con idee preconfezionate e spesso crede di sapere già tutto.

Questa trasformazione è in parte dovuta a Internet, che ha reso facilmente accessibili infinite fonti di ispirazione e informazioni. Da un lato, questo ha aperto nuove possibilità, ma dall’altro ha uniformato il gusto comune, influenzandolo spesso in modo superficiale e non sempre positivo. Questo scenario può ridurre il margine di fiducia nel professionista, trasformando il rapporto in una continua negoziazione tra ciò che il cliente desidera e ciò che l’architetto sa essere corretto, funzionale e realizzabile.

Tuttavia, anche in questo contesto, sono convinta che il ruolo dell’architetto rimanga fondamentale: non solo come guida estetica e tecnica, ma come figura in grado di accompagnare il cliente verso scelte più consapevoli, che vadano oltre le mode passeggere e rispecchino davvero le sue esigenze più profonde. È una sfida, ma anche un’opportunità per riaffermare l’importanza della nostra professione.

Come si stanno trasformando le città? Il giusto equilibrio tra potere, affari, cemento e ambiente?

Premetto che non mi occupo di urbanistica e che vivo e lavoro a Milano ed è questa la realtà che conosco. Inoltre il mio pensiero non è “politically correct”.

La mia città si sta trasformando in modo incoerente. La spinta verso una costruzione selvaggia sta prendendo il sopravvento, mentre il recupero del patrimonio edilizio esistente viene ostacolato in vari modi. Siamo circondati da edifici ex-terziario abbandonati, a fianco dei quali spuntano nuove costruzioni che contengono ulteriore terziario. Qual è il senso di tutto ciò? È inevitabile pensare che questa situazione sia il risultato di un disequilibrio guidato da interessi legati al potere e agli affari.

Per quanto riguarda la cosiddetta “rivoluzione  green”, ritengo che l’idea di partenza sia ottima, ma il metodo di applicazione, e le tempistiche, specie a Milano, sotto un governo sconsiderato della città, siano non solo irrealistiche ma dannose. Non si può ribaltare una cultura che prevede l’utilizzo dell’auto come mezzo principale di spostamento in pochi anni  semplicemente pensando di eliminare magicamente le stesse auto per sostituirle con biciclette e  monopattini. Il risultato è evidente: nuove fermate della metropolitana prive di spazi adeguati per il posteggio, piste ciclabili progettate in modo così scriteriato da essere evitate dagli stessi ciclisti, una riduzione dei mezzi di superficie Questa è solo una parte delle scelte senza senso se non puramente politico, che stanno danneggiando chi non ha il privilegio di poter stare a casa a lavorare o di spostarsi in bici in “area C”.

Il cambiamento ci può e ci deve essere, ma in modo graduale e guidato da una strategia di urbanizzazione “illuminata” e di rieducazione dei cittadini, che non appare neanche all’orizzonte

Consigli per migliorare gli spazi artistici e i luoghi d’incontro per i giovani?

Per migliorare gli spazi artistici e i luoghi d’incontro per i giovani a Milano, sarebbe ideale creare ambienti multifunzionali, capaci di ospitare eventi artistici, workshop e momenti di socializzazione. Questi spazi dovrebbero essere sostenibili e accessibili, con un design che risponda alle esigenze di tutti. È fondamentale coinvolgere i giovani nella progettazione, invitandoli a contribuire con idee e creatività, magari collaborando con artisti locali per personalizzare gli ambienti.

Un’attenzione particolare dovrebbe essere data alla tecnologia, con strumenti interattivi e angoli che favoriscano la condivisione sui social media. Infine, riconvertire edifici dismessi o aree poco sfruttate in centri culturali moderni e vivaci sarebbe un modo per rigenerare la città, rendendola più inclusiva e stimolante per le nuove generazioni.

Il Papa ci richiama a salvaguardare il pianeta e ci ricorda come l’uomo calpesta i più elementari diritti provocando l’innalzamento costante delle temperature, il depauperamento progressivo degli ecosistemi, l’aumento dei disastri naturali e la devastazione di intere comunità. Come difenderci dai barbari?

Per difenderci dalle conseguenze delle azioni irresponsabili, dobbiamo promuovere un approccio più equilibrato verso il pianeta, investendo in politiche sostenibili, energie rinnovabili e una gestione responsabile delle risorse. Questi progetti non possono avvenire all’improvviso, ma con un’educazione globale ed una tempistica adeguata e coerente, senza affrettare un processo che, se spinto in modo errato, provocherebbe solo risultati peggiori.

Certamente ritengo importante sensibilizzare le comunità sull’impatto ambientale delle nostre scelte quotidiane, favorendo modelli di consumo più consapevoli. Inoltre, servono norme severe, ma allo stesso tempo realistiche e applicabili per tutelare gli ecosistemi e prevenire il degrado ambientale. Agire collettivamente e in modo informato è fondamentale per proteggere il nostro futuro.

L’errore più evidente della politica nel gestire il territorio?

A  mio parere è la mancanza di una visione a lungo termine, spesso sacrificata a favore di interessi immediati o contingenti.

Si privilegiano interventi che rispondono a logiche economiche o elettorali, come la cementificazione e la costruzione selvaggia, senza considerare l’impatto ambientale e sociale.

Questo porta a un uso inefficiente delle risorse, al degrado di aree urbane e naturali, e alla perdita di opportunità per creare città più vivibili e resilienti. Una gestione più responsabile richiederebbe una pianificazione sostenibile, la partecipazione delle comunità e più attenzione alla qualità della vita delle future generazioni.

Fatti non foste a viver come bruti… a chi lo vorresti ricordare?

“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”

Questa frase, pronunciata da Ulisse nel ventiseiesimo canto dell’Inferno dantesco, è rivolta a tutti coloro che perdono la sete di conoscenza ed il bisogno sconfinato di sapere, che sono le caratteristiche che ci distinguono dai bruti, intesi come bestie.

Oggi la vorrei ricordare particolarmente alle nuove generazioni, convinte che un tipo di conoscenza settoriale e specialistica, forse troppo influenzata dalla tecnologia, possa portare all’elevazione della razza umana e non al suo abbrutimento.

Il futuro dell’architettura?

In teoria il futuro dell’architettura sarà sempre più legato alla sostenibilità e all’innovazione tecnologica. Si punterà a edifici che consumano meno energia, utilizzano materiali naturali o riciclati e si integrano meglio con l’ambiente. La tecnologia comunque giocherà un ruolo chiave, con soluzioni smart che rendono gli spazi più funzionali e adattabili. L’architettura sarà chiamata a creare luoghi che migliorino la qualità della vita, favorendo connessioni sociali e benessere, senza mai dimenticare l’unicità dei contesti culturali e naturali in cui si inserisce.

In pratica credo che esista concretamente il pericolo di un’architettura uniforme, che risiede nella perdita di identità culturale e nella standardizzazione degli spazi, che rischiano di diventare anonimi e privi di connessione con il contesto in cui si trovano. Quando si progettano edifici seguendo solo tendenze globali o logiche economiche, si sacrifica la diversità architettonica che riflette la storia, la cultura e il carattere di un luogo.

Qual è la soluzione? A mio parere si può contrastare questa tendenza privilegiando un’architettura che integri elementi tradizionali con soluzioni moderne e sostenibili. Serve una progettazione che consideri non solo l’efficienza, ma anche il valore simbolico degli spazi, affinché ogni costruzione diventi un’espressione unica legata a un tempo e un luogo. In questo modo, l’architettura può evitare l’appiattimento culturale e continuare a essere un mezzo per raccontare la diversità e l’unicità umana.