Aurora Dozio va ancora alle superiori ma già ha fisso l’obiettivo: scrivere. Scrivere. Scrivere. Il pensiero critico la stimola e l’aiuta a leggere la realtà, capire le situazioni, prendere parte a ciò che si vive. in una società che pratica individualismo sfrenato e competizione, Aurora propone partecipazione e condivisione di sogni, pensieri, passioni. Anche facendo i compiti e mettendosi in posa davanti a una macchina fotografica: perché tanto per cominciare, s’impara che non si emerge schiacciando gli altri.
Aurora è bella, sorridente, dolce, ma scolpita dalla determinazione. Ha sempre scritto fin da piccola per passione, e per passione è nato il suo romanzo Prendendo il volo. Il percorso letterario è diventato una scelta sociale perché aprendo gli occhi ha scoperto disuguaglianze, conflitti, vanità, violenza ma per fortuna anche amore. “Storie, racconti, discorsi prendevano vita, ma poi morivano lì, sul desktop affollato, dimenticati. Scrivere mi rilassava e lo facevo per pura evasione, per me stessa e basta, senza avere assolutamente alcun progetto. Poi in una nottata insonne, quasi per caso, scrissi quello che poi sarebbe diventato il primo capitolo del romanzo, e da lì cominciò tutto, senza che io nemmeno me ne rendessi conto: giorno dopo giorno, Prendendo il volo stava prendendo vita”. Scrivere è molto più che fare i compiti. E’ qualcosa che vive, prende forma, ti interroga, ti spinge a un viaggio nel tuo inconscio. Ti mette in relazione con l’altro e alla fine i personaggi vivono con te. Giorno per giorno. Ma Aurora è anche una modella e le foto di Ilenia Brunelli testimoniano quanto è brava nell’interpretare diversi ruoli. Lo fa per gioco, ma dimostra che la moda le piace e chissà dove questo viaggio la porterà. “Diciamo che ho imparato a prendermi sul serio quanto basta per realizzare i miei sogni, indipendentemente da ciò che pensano gli altri”.
Aurora frequenti ancora il liceo ma già scrivi romanzi: non è che ti prendi troppo sul serio?
Ho sempre scritto fin da piccola per passione, e per passione è nato il mio romanzo. Quando ho iniziato a scrivere Prendendo il volo avevo solo 13 anni, un Microsoft scassato e il bisogno impellente di mettere i miei pensieri su carta, di cercare di dare ad essi un ordine. Ma già da prima, a fine giornata, avevo l’abitudine di mettermi al computer e di lasciare affluire tutte quelle parole che mi ero tenuta dentro e che addosso mi pesavano. Storie, racconti, discorsi prendevano vita, ma poi morivano lì, sul desktop affollato, dimenticati. Scrivere mi rilassava e lo facevo per pura evasione, per me stessa e basta, senza avere assolutamente alcun progetto. Poi in una nottata insonne, quasi per caso, scrissi quello che poi sarebbe diventato il primo capitolo del romanzo, e da lì cominciò tutto, senza che io nemmeno me ne rendessi conto: giorno dopo giorno, Prendendo il volo stava prendendo vita. Tutte le sere mi sedevo al computer e scrivevo, buttavo giù i pensieri della giornata, che si andavano subito a intersecare con quelli di Emma, la protagonista. Dopo più di un anno dall’inizio della stesura rilessi il romanzo nel suo intero e solo in quel momento mi resi conto che poteva davvero venirne fuori un progetto: l’unica cosa da fare era crederci. Sono sempre stata una persona molto autocritica, tantochè inizialmente mi vergognavo moltissimo di dire che stavo scrivendo un libro: avevo solo tredici anni e una smania infinita di mettere parole su carta, ma “scrivere un libro” nel mio cervello implicava un’infinita serie di qualità e capacità che non credevo mi appartenessero. Ero sicura che mi avrebbero presa tutti per una bambinetta esaltata, egocentrica e vanitosa, per cui per quasi un anno non ne parlai con nessuno. Quando mia madre mi beccò nel bel mezzo della notte a scrivere e fui costretta a dirle cosa stavo combinando, le cose però cambiarono. Mi disse che dovevo andare avanti e che ci dovevo credere, che non mi doveva interessare cosa avrebbero detto gli altri, che se avevo un progetto lo dovevo portare a termine per me stessa, e che tutto il resto sarebbe venuto dopo. Aveva ragione: così ci ho creduto, fino alla fine, smettendo di sottovalutarmi. Oggi ho diciassette anni e ho pubblicato il mio primo romanzo da qualche mese…
Cosa nasconde il Diario delle cose che nessuno sa?
Il Diario delle cose che nessuno sa è il diario in cui Emma racchiude tutte le sue domande più strane, convinta che nessuna, anche la più stravagante e apparentemente indecifrabile, vada dimenticata, ma tenuta in serbo dentro di noi per quando, un giorno lontano, riusciremo a darle una risposta… Di fatto noi non sappiamo bene cosa siano i nostri dubbi, le nostre incertezze, i nostri interrogativi, eppure ci tormentano, e di noi sono una parte, di cui cerchiamo, in lungo e in largo, la metà mancante. Nel Diario delle cose che nessuno sa si nasconde dunque quella parte che a noi manca, o meglio: quella parte che ancora non riconosciamo e che quindi ci fa sempre sentire incompleti e in tensione verso un oggetto che non siamo in grado di definire. Calvino, nel Visconte dimezzato, afferma che “a volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane”: quando si è giovani c’è una parte di noi che manca proprio perché deve essere colmata da tutte le nostre domande che poi, nel tempo, grazie all’esperienza, potranno cambiare pelle e divenire risposte. Ma la memoria di Emma (come di fatto quella di ogni uomo) è limitata e lei teme alla follia di dimenticare le domande, di metterle a tacere, per questo inizia a tenere il diario: perché si rende conto che anche solo senza la sua metà più buia e disordinata non potrà mai essere intera. Viva.
E’ stato difficile raccontarsi attraverso un libro?
Più che “raccontarmi” è stato complicato provare a raccontare la mia generazione. Questo non è un romanzo autobiografico, nonostante chi mi conosce sappia che ci sono diverse analogie non solo tra me ed Emma, ma anche con gli altri personaggi della storia, perché ognuno di loro ha qualcosa di me ma nessuno mi rispecchia interamente. In Prendendo il volo ho però cercato di racchiudere l’adolescenza in tutte le sue sfumature: da quelle più brillanti, come possono essere l’amicizia e l’amore, a quelle più oscure, come la violenza, il bullismo, i fallimenti, le delusioni. Mi sarebbe piaciuto che chiunque, grandi o piccoli, tra le righe di questo libro avesse la possibilità di tuffarsi, anche se per poco, nel magnifico mondo in tempesta degli adolescenti di questo millennio, e in tutte le sue dinamiche: le emozioni totalizzanti, l’amore a prima vista, i baci rubati, le insicurezze, ma anche le risatine, le apparenze, le amicizie false, gli amori malati, i likes… Volevo dare un “quadro completo del tutto”, e non solo il “mio” quadro, il mio punto di vista, la mia esperienza, che è estremamente limitata e oserei quasi direi trascurabile. Per questo ho cercato di non omettere nulla e, utilizzando un linguaggio il più possibile fedele al vocabolario della classicista sedicenne che, in prima persona, narra la storia, di dare una prospettiva a trecentosessanta gradi sul “nostro” complicatissimo mondo.
Sei giovanissima ma parli già da donna matura: accettare il corpo che cambia è uno step di crescita o una miscela esplosiva?
È la regola numero uno: accettarsi, fisicamente e non solo, per non rinnegarsi. Sicuramente l’adolescenza è il periodo della nostra vita in cui più ci evolviamo, mutiamo, corpo e tutto il resto: ambiente, personalità, persone, passioni, strade, obiettivi… Da una parte questo cambiamento è frutto di una scoperta, di quello che abbiamo dentro e che, all’improvviso, fiorisce e ci investe totalmente, dall’altra invece vedo il cambiamento come una costruzione di quello che ancora non siamo ma che diventeremo, giorno dopo giorno, grazie all’esperienza. Il corpo è una scoperta: un giorno ci svegliamo e ce ne ritroviamo addosso uno nuovo, che ci piaccia o no, e a me piacerebbe tanto poter dire che l’aspetto esteriore non conta nulla, ma viviamo nella società dell’apparenza, dei social, dell’auto-esposizione, e sarei un’ipocrita se lo dicessi. Il corpo è “importante” perché oggi siamo abituati a guardare il mondo con una prospettiva estremamente superficiale in cui, salvata la copertina, possiamo anche bruciare il libro, talmente complicato e lungo che nessuno ha più voglia di leggerlo. Ma quindi è il corpo ad essere sbagliato o la prospettiva ad essere limitata? Apriamo la mente! Accettarsi per non rinnegarsi, che il libro, sotto la copertina, cela storie meravigliose.
Quali sono i rischi della tua generazione?
Sicuramente omologarsi. Come dicevo sopra, che ci piaccia o no, viviamo nella società dell’apparenza e ciò che pensano gli altri per noi è importante, più o meno inconsciamente. L’adolescenza è il periodo in cui plasmiamo, giorno dopo giorno, la nostra persona, e quindi non abbiamo ancora un’idea chiara di quello che siamo. Siamo in costruzione. In cambiamento. Proprio per questo spesso ci risulta più facile spogliarci di tutte le nostre insicurezze per rivestirci di una maschera dura e, pur di piacere agli altri, dimentichiamo il nostro vero volto. Ma prima o poi ci si stanca di interpretare un ruolo…
I social mettono in mostra ragazzine truccate ed egocentriche: vestiti all’ultima moda, borse firmate, cellulari supertecnologici… Dove sono finite le bambole e le poesie?
La nostra generazione è una generazione nuova: le bambole si abbandonano da piccole e le poesie, ahimè, non si leggono quasi più. La nostra generazione è una generazione nuova, è vero, ma questo non significa per forza che sia una generazione sbagliata, di scansa fatiche, di gente a corto di sogni. Certo: la comunicazione si è evoluta, i tempi sono cambiati e le mode con loro, ma i sentimenti sono sempre gli stessi totalizzanti e incontrollabili, indecifrabili… Dunque spesso questi ci portano a rifugiarci in quel mondo di false certezze in cui ormai, da buoni nativi digitali, ci sentiamo a casa: il mondo dei social, mentre prima, quando si voleva scappare dal mondo e metterlo in pausa per un po’, si leggeva una poesia. Ma purtroppo (o per fortuna) mentre il mondo va avanti e si rivoluziona, gli uomini rimangono sempre gli stessi, con il loro estremo bisogno di amare e di essere amati, proprio per questo, nonostante a volte proviamo anche ad autoconvincerci, i social dopo un po’ non ci bastano più.
Cosa è per te l’amore?
Come afferma nel romanzo il padre di Emma per me l’amore è “restare”. Innamoramento e amore sono due cose molto diverse tra loro: il primo sono le emozioni totalizzanti, i primi baci, le farfalle nello stomaco, i primi appuntamenti; il secondo, invece, è l’Amore con la A maiuscola, fatto di scelte e di quotidianità. Per amarsi bisogna sicuramente scegliersi, ogni giorno (anche in quelli più bui e in cui vorremmo solo stare soli), per questo credo che l’amore vero sia un sentimento raro. Per amarsi bisogna avere molta determinazione.
Nelle favole di solito la principessa sposa il principe azzurro: oggi però si parla più di violenza che di amore…
Purtroppo se ne parla spesso. La violenza è un tema che mi premeva toccare perché, come ho detto, ho cercato di dipingere questa età meravigliosa ma altrettanto complicata in tutte le sue sfumature, e purtroppo sempre più donne vivono il dramma di un amore malato che le segna per la vita. Ci tengo a precisare che questo aspetto non ha assolutamente niente di autobiografico, ma è sempre stato un qualcosa che mi appariva talmente insensato e cinico che, sebbene fortunatamente io non lo abbia mai vissuto in prima persona, ho deciso di inserire nel romanzo.
Che cosa è la fama per te al tempo dei social?
Credo che la fama oggi significhi sapere arrivare a chi si ha davanti per quello che siamo davvero. Vedo un’infinità di ragazzine che alla mia età sono famose solo per il fatto che sono belle e che si accaparrano milioni di followers facendo balletti da mezze nude e sbattendo le ciglia davanti alla fotocamera… Che tristezza! Io penso che una persona si possa ritenere veramente famosa quando non ha bisogno di esporsi eccessivamente, quando le basta essere sé (anche struccata, anche in pigiama, anche “reale”) per avere un seguito. Altrimenti non è altro che un fenomeno da baraccone, una Barbie in vetrina e, nel momento in cui ne arriverà una nuova, nessuno si ricorderà più di lei.
Qual è la miglior virtù che tu apprezzi in una persona?
Probabilmente l’empatia. Ammiro moltissimo le persone che riescono a mettersi nei panni delle altre e di conseguenza non le giudicano, anche se non sono come loro e se, magari, loro stesse si comporterebbe diversamente. Credo che una delle più gradi forme di amore sia proprio cercare di indossare le vesti di chi è completamente diverso da noi, sforzandoci di vedere le cose a suo modo per riuscire a capirlo e, soprattutto, a non fargli male. Proprio per questo cerco sempre di circondarmi di persone come queste, perché sono le uniche in grado di non farmi sentire giudicata e a cui mi sento di poter raccontare tutto.
Il tuo eroe preferito?
Il mio cuore appartiene a Ulisse: l’eroe che non si pone limiti, che mira all’infinito, che arde per il desiderio di quella conoscenza che lo fa sentire vivo. Ulisse è l’eroe del “di più”, che appena varca un traguardo già ambisce ad un altro, che non è mai sazio del mondo e che non si accontenta. Mi ritrovo molto in questa tensione continua, in questa fame di conoscenza che è il segno distintivo dell’uomo e ciò per cui, di fatto, l’uomo vive. “Fatti non foste a vivere come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” è il celeberrimo verso che ho inciso nel cuore e che, ogni giorno, cerco di ricordare.
E la cosa che odi di più?
L’invidia. Credo che non esista sentimento più brutto, perché lo ritengo l’estremo opposto dell’amore: se l’amore è condivisione, è gioire della felicità dell’altro, è “condividere le sue vette, senza inorridire dei suoi abissi”, l’invidia è una forma estrema di egoismo che ci blocca e non ci permette di amare, che ci fa allontanare e sentire soli. Penso che sia un sentimento privo di senso, perché non si tratta né di odio, né di ammirazione, ma di una miscela corrosiva tra le due cose che non porta a nessun tipo di crescita, che ci fa solo vivere male.
Se potessi scegliere il tuo ruolo nella vita?
Mi piacerebbe continuare a scrivere, magari affiancando questa grande passione a un altro mestiere, ma non saprei quale… In realtà sono ancora molto confusa a riguardo: sono molto determinata e studiare mi piace, non ho problemi con nessuna materia e nessuna materia mi dispiace particolarmente, per cui ancora tutto è possibile. Certo è che le discipline umanistiche hanno tutto il mio cuore e non nego che mi piacerebbe farne una professione.
La cosa che ti ha reso più orgogliosa?
Quando ho stretto per la prima volta tra le mani Prendendo il volo ho provato un fortissimo senso di orgoglio che si avvicinava proprio alla felicità vera, a un immenso senso di compiutezza che per i giorni successivi mi ha invasa di adrenalina. Per me è stato un traguardo grandissimo vedere il mio libro nella vetrina della libreria che dà sulla piazza della mia città: è stato quasi un riscatto, più che contro qualcuno, contro me stessa, perché ero riuscita a coronare il mio sogno, a chiudere il cerchio. E ce la avevo fatta da sola.
Come racconteresti in un libro questo periodo di quarantena?
Sinceramente non saprei. Stiamo scrivendo una pagina di storia che probabilmente i miei figli tra vent’anni studieranno a scuola e penso che, finché ci saremo dentro, sarà impossibile, perlomeno per me, poter scrivere qualcosa a riguardo, perché al momento sono troppo emotivamente coinvolta per poter ragionarvi sopra. Tutto questo è un qualcosa di davvero grande, che mi porterò dentro per la vita ma che spero, almeno, possa insegnarci qualcosa: una tragedia che sta scuotendo tutta la terra e che ci costringe (finalmente) a interfacciarci con la consapevolezza di quanto siamo piccoli rispetto al mondo intero. Di quanto siano piccoli tutti quei problemi per cui ci danniamo dalla mattina alla sera, rispetto al mondo immenso che sta fuori dalla finestra della nostra cameretta. Voglio credere che questo dramma ci servirà, ci farà crescere, smusserà i nostri limiti e ne ricaverà punti di forza, voglio credere che impareremo a guardare ciò che prima ci sembrava colossale con un occhio nuovo, in grado di scalfire la superficie, che impareremo a scegliere chi vogliamo al nostro fianco. Spero davvero che non dimenticheremo mai quello che abbiamo vissuto, e proprio per questo penso che sarebbe importante raccontarlo, ma anche molto complicato, eppure mi piacerebbe, a mente lucida, magari un giorno, chissà…