A far agitare i mercati arriva una nuova sanzione alla Russia: il blocco ai prodotti raffinati russi, che non saranno più acquistati dai Paesi aderenti alle misure restrittive nei confronti di Putin, tra cui l’Italia. Una situazione che grava ancor di più sul nostro complicato panorama energetico. «La prima problematica verte sulla mancanza di infrastrutture», dice Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia.
«Parlo di rigassificatori inesistenti, gasdotti e oleodotti non al massimo dell’operatività. Siamo stati bravi a stringere i rapporti di cooperazione e fornitura internazionali, ma se non abbiamo strutture per ricevere il gas, rischiamo di perderlo a vantaggio di altri in Europa. Il secondo punto è il Mercato e, non parlo solo di quello del gas ma del greggio. Ormai gli scambi internazionali viaggiano a una velocità estrema che porta la speculazione giornaliera in una fase di massima volatilità, la strategia non è di inserire tetti ai prezzi o meglio eliminare piattaforme di libero scambio e contrattazione di derivati, bensì prepararsi con operazioni di copertura finanziaria che permettano alle aziende di essere competitive. Questo manca e tutto si traduce in un forte gap strutturale, economico e finanziario».
Blocco ai prodotti raffinati russi, aggiornamento alle sanzioni
Da questo mese, alle merci russe sottoposte alle sanzioni si aggiungeranno i prodotti petroliferi raffinati…
«Qui nasce la nostra vera preoccupazione. Non possiamo nascondere che la Russia sia uno Stato per noi indispensabile. Negli ultimi mesi l’Europa ha acquistato ingenti quantitativi di carburanti russi (benzina e gasoli) per poter fare scorta prima del blocco del 5 febbraio. Nonostante l’indotto di raffinerie europee e in particolare le nostre italiane, non si riesce a soddisfare il fabbisogno interno di produzione, sia per una questione di pura raffinazione sia per convenienza. Il prodotto russo acquistato finito è più vantaggioso rispetto a lavorare parte del greggio e trasformarlo. Il blocco porterà un cambiamento sul mercato internazionale. Ci saranno altri canali di approvvigionamento, principalmente da parte dell’Europa e questo si tradurrà per forza di cose in un aumento del costo del prodotto per i consumatori non solo italiani».
Sul prezzo del TTF quali sono le aspettative?
«Il conflitto russo-ucraino è ancora molto acceso, negli ultimi giorni assistiamo alla ricomparsa dell’Iran, Paese per noi di notevole importanza per l’ottimo greggio, e in Medio Oriente e Africa ci sono situazioni alquanto delicate. Tutto questo è una fotografia di una scena geopolitica che dall’oggi al domani può presentare imminenti cambiamenti, principalmente sul mercato dell’Oil&Gas. Forse sul prezzo delle bollette, grazie al clima mite di queste settimane, agli stoccaggi europei molto alti e al minor consumo industriale, incominciamo a vedere la luce e qualche risparmio ma, non illudiamoci, il costo del gas al TTF di Amsterdam gioca di furbizia finanziaria e al primo segnale di difficoltà, il mercato si farà sentire».
Il price cap
Nel frattempo è stato trovato un accordo tra i Ministri dell’Energia dei Paesi UE per quanto riguarda il price cap del gas, stabilito a 180 euro/mWh. Lei però sosteneva fosse una mossa inutile…
«Un tetto alla speculazione è anti economico. La speculazione fa parte del mercato. Proviamo a pensare se il gas che acquistiamo fosse stato di nostra produzione, attraverso i giacimenti Offshore italiani. Sicuramente avrebbe fatto comodo all’Italia un TTF a 300 Euro/Mwh, lo posso confermare. Questo vuol dire che bisogna sempre vedere da che parte si sta.
La speculazione è naturale, ma come dicevo prima, la soluzione non sta nel frenarla, bensì nel gestirla con competitività finanziaria. Se analizziamo questo ultimo cap licenziato dai Ministri dell’energia, si capisce chiaramente che il mercato può benissimo oltrepassare la linea dei 180 euro per qualche giorno e poi rientrare nella posizione sotto. Quindi in un giorno il prezzo del gas può arrivare a 300 euro senza problemi, anzi per diversi giorni, e poi riscendere.
Tutto questo a cosa è servito? Il mercato è più veloce della politica, non dobbiamo dimenticarlo. Ritengo che il price cap sia solo una mossa di difesa per carenza di strategia da parte dell’Europa, ma non verso la Russia, bensì nei confronti di gran parte di Paesi fornitori di gas. Questo è molto pericoloso e potrebbe compromettere gli accordi e le partnership internazionali specialmente quelle italiane che si stanno siglando».
Il rigassificatore di Piombino
In Italia abbiamo fatto passi in avanti sulle infrastrutture energetiche di trattamento e stoccaggio del gas?
«Diciamo che siamo dovuti ricorrere ai ripari velocemente. Ci sono molti progetti di stoccaggio ancora in fase autorizzativa che, da anni sono fermi. Se per trattamento intendiamo i rigassificatori per la trasformazione in stato gassoso del GNL (gas naturale liquefatto, ndr), siamo in forte criticità e la nostra preoccupazione è quella nel vedere continuo ostruzionismo all’hub di Piombino e a quello di Ravenna. L’Italia ha bisogno di una nuova fase energetica che il Governo Meloni a nostro avviso sta portando avanti anche velocemente. Bisogna creare l’energia, non solo discuterla sulla carta».
A questo proposito il Tar del Lazio ha rigettato il ricorso del comune di Piombino contro il rigassificatore, che potrebbe tornare attivo in primavera. La situazione è quindi destinata a migliorare?
«L’8 marzo ci sarà l’udienza di merito. Siamo solo in attesa con forte preoccupazione. Una decisione negativa comprometterebbe il sistema energetico italiano in questo momento. Ciò vuol dire che non possiamo ricevere parte di gas da Algeria ed altri Paesi. Ovviamente parlo di GNL via nave. Abbiamo diverse aziende contrattiste che operano sia sulla Golar Tundra (nave per il trasporto di GNL, ndr) che su cantieri diversi. Queste strutture hanno fatto notevoli investimenti che con una decisione negativa del TAR, non saranno facilmente recuperabili».
Le Regioni interessate dal PITESAI, ovvero il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee, continuano a osteggiare il progetto per l’apertura a nuove trivellazioni? «È un Piano che oggi non ha alcun senso. Molte aziende che avevano sostenuto notevoli investimenti negli anni, sono state estromesse dal processo di perforazione con milioni di perdite. Bisogna riscrivere un progetto dove è possibile fare ricerca, esplorazione e produzione di idrocarburi sia Onshore sia Offshore. In Italia la mancanza di cultura energetica porta all’ostruzionismo senza sapere cosa si fa o si sta dicendo. È questa la cultura da cambiare, prima di modificare i piani ministeriali».