Caroline Pagani: Rose. Rosse. Non mimose. E comunque tutto l’anno. Grazie…

Caroline Pagani, attrice, autrice e drammaturga poliglotta, è laureata in Filosofia con tesi in Storia del Teatro Inglese, e specializzata in Scienze e Tecniche del Teatro, in Drammaturgia, con una tesi sull’Eros in Shakespeare. Ha frequentato lo Stella Adler Studio of Acting di New York. Si è formata come attrice e ha lavorato anche con: Centre International de Théatre, Teatro Stabile di Torino, Teatro Stabile del Veneto, Biennale Teatro, Teatro delle Albe, Calixto Bieito, Giorgio Strehler, Peter Greenaway, Davide Livermore, Valter Malosti, Mauro Avogadro, Giuseppe Marini, Elena Bucci, Francesca Della Monica.

Ha collaborato con attività didattica teorico-pratica e di ricerca col Dipartimento di Arti, Musica e Spettacolo dell’Università Statale di Milano. Collabora come dramaturg col Teatro Baretti di Torino diretto da Davide Livermore. Ha pubblicato vari articoli di argomento teatrale per riviste specializzate e i testi teatrali: Hamletelia, Teatreide, Luxuriàs. Lost in Lust. Mobbing Dick, (premiato e prodotto dall’Unione Femminile Nazionale Italiana) Teatreide, Hamletelia, Luxuriàs, con cui ha vinto numerosi premi, in Italia e all’estero, come miglior spettacolo, miglior testo, miglior regia, miglior attrice…

 

Caroline per preparare l’intervista ho letto la tua bio e alla fine mi son detto: questa donna è la prova vivente che l’Arte con la A maiuscola è nomade… E’ solo questione di genetica o ha avuto fortuna nel riuscire a fare ciò che ami?

Non credo di avere avuto fortuna, anzi… Ho studiato molto, mi sono impegnata, ho avuto costanza e tenacia, ho desiderato poter fare questo lavoro più di qualunque altra cosa, più di una famiglia, di un amore, più della stabilità, è una scelta di vita, ed è questione di vita o di morte, ho anche dovuto lottare, contro molte insidie, contro molti tipi di abuso, abusi di potere, contro un sistema patriarcale e poco meritocratico… Forse sarà anche in parte questione più che di genetica, di un albero genealogico con una storia varia e complessa, ma al di là di tutto credo che noi siamo gli artefici del nostro destino, siamo in parte i costruttori della nostra vita.

Il teatro è un viaggio umano che coinvolge tutti i sensi. Qual è stata per te la sfida maggiore?

Forse probabilmente realizzare lo spettacolo concerto su mio fratello Herbert, uno spettacolo musicale, teatrale, e multimediale, uno spettacolo di teatro-canzone e una sorta di mostra d’arte virtuale. Il teatro è il luogo per eccellenza in cui tutte le arti si incontrano, e avendo attraversato lui vari ambiti dell’espressione artistica, e tutte in maniera eccelsa, come il disegno, la pittura, la scultura, la canzone, la radio, l’ecologia, inizialmente non è stato semplice organizzare tutto questo materiale, poi però ci sono riuscita e sono molto felice del risultato, è forse lo spettacolo che amo di più, ed è forse anche quello che mi piace di più fare, interpretare, con la parola e col canto.

L’importanza di non sprecare il tempo e di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo aiuta ad accettare i propri limiti. Potremmo dire che sei la risposta vivente per tutti quelli che hanno grandi sogni e che li inseguono con tanta energia… Come si fa a migliorarsi?

Direi che è bene studiare, sempre, molto, che ci si deve specializzare pur essendo onnivori, curiosi, cercare di conoscere il più possibile, anche se non credo sia utile saper fare tutto, credo sia utile fare ciò che si ama e farlo bene, andando in profondità, nel migliore e nel più specialistico dei modi possibili.

Il tempo, lo spazio, una giusta valorizzazione delle tue qualità di attrice, il benessere, il rispetto per il lavoro: quanto è stato importante per te mettere al primo posto i valori?

Molto, mi son rifiutata di cedere a compromessi, di ogni natura, anche nei rari casi in cui mi sarebbe pure piaciuto cedere. Il talento si possiede o meno ma lo si coltiva anche, lo si educa, lo si allena e lo si nutre. Probabilmente mettere al primo posto questi valori ha fatto sì che dovessi fare molta più fatica, poi però quando sai di dover dire grazie fondamentalmente solo a te stessa è una soddisfazione impagabile.

Quanto c’è di autobiografico nei tuoi spettacoli? Hai mai temuto di non riuscire a far sentire “chiaramente” la tua voce?

Ho scritto e interpretato personaggi che s’ispirano ad altri personaggi teatrali o letterari in cui c’è un terreno comune, tematico, caratteriale, di esperienza, e di vita.

Il fantasma di Ofelia nel mio ‘Hamletelia’ è un personaggio che non esiste nell’originale scespirano, ma esiste il fantasma di Ofelia, l’anima di una donna, morta giovane, abusata, vittima di giochi politici e di razzismo familiare, soprattutto donna follemente innamorata e poi malamente rifiutata e abbandonata.

‘Mobbing Dick’ è uno spettacolo politico ma anche autobiografico e riguarda molte donne lavoratrici dello spettacolo, tratta il tema dell’eterno ricatto del mondo dello spettacolo.

Non ho mai temuto di non riuscire a far sentire la mia voce, credo si senta e che arrivi, limpida, chiara e ficcante.

Che meraviglioso gioco è la narrativa. Tutto ciò che non si ha il coraggio di confessare neanche all’analista, lo si può con leggerezza delegare ai personaggi, costretti ad amare o morire al posto tuo. Confessa: quali imposizioni dai alle tue creature?

In ‘Hamletelia’, la protagonista è un personaggio che in realtà non esiste nell’originale scespiriano, nell’ ‘Amleto’, si tratta del fantasma, l’entità, l’ectoplasma, l’anima di Ofelia. Hamletelia si risveglia in un cimitero nella nostra contemporaneità e rivive il dramma di ‘Amleto’ dal suo punto di vista, più che aver imposto, ho cambiato punto di vista e prospettiva e le ho fatto fare un viaggio in cui come in ‘Orlando’ di Virginia Woolf, ripercorre i palcoscenici calcati dalle varie attrici che hanno interpretato il personaggio di Ofelia nelle varie epoche.

In ‘Luxuriàs. Lost in Lust’, incentrato sulla figura di una donna che tramite l’ipnosi regressiva scopre di essere stata Francesca da Rimini, le faccio incontrare tutte le lussuriose della Storia di cui si parla nel V canto dell’Inferno dantesco, ma le faccio incontrare anche Moana Pozzi. E come Maestra invisibile, come guida interiore, Eleonora Duse (che interpretò Francesca da Rimini).

Da lettore di romanzi guardo con attenzione l’evoluzione del personaggio principale. Mi spiego meglio se l’autore ne cura gli elementi visivi, quasi fosse una tavolozza con grande spazio ai colori, agli accostamenti. Mi pare di capire che raccontando cosa si cela dietro l’universo femminile per te dovrebbe essere un gioco…

I testi teatrali e quelli di narrativa andrebbero sempre trattati anche come delle tavolozze su cui l’autore ha impresso i suoi colori con i pennelli della sua scrittura, come dei veri e propri dipinti, oltre che come paesaggi sonori. La capacità di veicolare immagini e di farle arrivare alla mente del lettore e dello spettatore, di curare quindi l’aspetto visivo e visuale della parola, di cui Shakespeare è l’emblema più alto e paradigmatico, è una delle finalità comunicative di chi scrive, che sia scrittura drammaturgica, romanzo o poesia.

Sono una donna, ho studiato a fondo i personaggi femminili soprattutto quelli scespiriani, anche se in realtà quei ruoli venivano interpretati da ragazzi imberbi, prima della muta della voce. Ma questa ambiguità sessuale, fra personaggio, costume e interprete, (l’interprete maschio che interpreta un personaggio femminile sotto a un costume da donna…) era molto intrigante: il pubblico poteva immaginare quello che voleva, poteva innamorarsi, del personaggio, dell’attore, o del ragazzo che stava sotto al costume del personaggio. Nel teatro elisabettiano questa ambiguità sessuale era estremamente accattivante ed erotica.

Ogni artista sogna che il suo lavoro, quando finisce nelle mani del mondo lo faccia sentire meno solo. E’ questo il destino che lega magicamente le persone sensibili?

Ci si sente meno soli quando in teatro c’è un pubblico con cui poter condividere storie, racconti, emozioni e probabilmente, quando sei in scena non sei solo, sei con i personaggi, con gli autori, con le anime di chi ha scritto quei testi, e sei anche con i tuoi antenati.

Camminando nel parco della vita si cambia atteggiamento verso le cose, le persone e il corso stesso dell’esistenza. Capita che qualcuno non sia capace (o disposto) a passare sopra i nostri peccati… Hai più peccato o perdonato?

Faccio molta fatica a perdonare, non dimentico e non perdono, soprattutto non dimentico. Avrei voluto peccare molto ma molto di più. Penso sia meglio avere tanti rimorsi piuttosto che rimpianti, i peccati sono esperienza, vita vissuta, a volte anche desideri realizzati, siamo umani, quindi peccatori. A volte peccare può essere molto bello, ti da dei brividi, delle emozioni forti, che ti fanno sentire vivo.

Su Instagram hai scritto un pensiero per nulla banale: “Rose. Rosse. Non mimose. E comunque tutto l’anno. Grazie. Il prossimo che mi porta una mimosa se la ritrova nella frittata, al posto delle uova”. I social hanno rotto molti tabu: siamo dell’idea, però, che l’uso decorativo che si fa delle donne non ha niente a che fare con il vero ruolo delle donne nella società. Che ne pensi?

Quella era semplicemente e solamente una boutade… Mi sembra elementare e necessario. L’8 marzo nasce come Giornata internazionale di rivendicazione dei diritti delle donne e della parità di genere. L’8 marzo non è un giorno di festa, è un giorno di riflessione sulla condizione femminile nel mondo e sui diritti conquistati, da preservare e ancora da conquistare. Bisogna ancora fare molto per raggiungere la parità di genere, l’uguaglianza, l’emancipazione femminile.

In altri paesi si regalano rose rosse, simbolo di protesta contro la violenza sulle donne. Fino a pochi anni fa esisteva il diritto d’onore! La legge sulle nozze riparatrici, fino a 40 anni fa la donna era considerata una proprietà dell’uomo! Andrebbe festeggiata in tutto il mondo ma ci sono ancora paesi dove non accade, o meglio dove non si ricorda, le donne sono pagate meno anche quando sono più brave e più laboriose degli uomini, le donne a capo di istituzioni sono sempre meno della metà dei maschi. Il discorso è lungo e articolato. Non dovrebbe esserci bisogno di una ‘festa’ o giornata della donna e dovrebbe essere ricordata tutti i giorni. Quindi “lotto marzo tutti i giorni”!

Una provocazione: Il ritratto di Dorian Gray è stato sempre letto come il simbolo di una generazione decadente, ammalata di estetismo, che per unica religione aveva quella dell’individuo amorale, raffinato, del dandy. Oggi, nella società di massa anche il narcisismo si è massificato: Forever young. Non pensi che Dorian Gray sarebbe un testimonial a cinque stelle?

Il discorso di Dorian Gray è complesso, il suo è un patto col diavolo, come quello di Faust. Orgoglioso della propria bellezza e temendo che col tempo essa possa svanire, è disposto a tutto pur di conservarla, e compie senza volerlo un patto col diavolo riservando al dipinto tutta la bruttezza che gli sarebbe derivata dai vizi e dall’invecchiamento. Dal comportamento di Dorian Gray è inoltre stata definita la ‘sindrome di Dorian Gray’ o ‘gerascofobia’, ovvero la paura dell’invecchiamento e della perdita della bellezza. La sua leggerezza nell’agire è evidente anche dal suo primo amore, Sybil Vane: non è infatti innamorato della sua persona, ma solo della sua capacità attoriale, e l’amore svanisce non appena la donna smette di recitare come lui vorrebbe.

Non saprei se Dorian Gray sarebbe un testimonial, credo che il peccato capitale più grande oggi sia l’indifferenza, e anche l’accidia, nessuno fa più nulla per nessuno, i rapporti umani sembrano essere regolati solo ed esclusivamente da interesse e basta, aella superficialità emotiva che oggi domina e impera sui rapporti sociali e di coppia. Constato che il culto della bellezza e della giovinezza viene esatto, imposto, soprattutto alle donne, soprattutto nel mondo dello spettacolo, bisogna essere sempre giovani e belle, diciamo che è più difficile lavorare in virtù degli studi fatti e delle lingue conosciute, che non per il proprio aspetto fisico, che poi però è spesso anche un’arma a doppio taglio. Chi fra noi non vorrebbe rimanere sempre giovane e vivere se non in eterno il più a lungo e nel migliore dei modi possibili?

La politica, il potere dei soldi, la realtà fake dei social, il razzismo…. C’è un personaggio dei tuoi lavori in cui questi concetti sono ben rappresentati?

Sì, in ‘Mobbing Dick’, spettacolo sul mobbing alle artiste donne nell’ambiente dello spettacolo, parla di un uso improprio del potere e del suo abuso. ‘Mobbing Dick’ è uno spettacolo brillante, ironico, graffiante, uno spaccato, -fra dramma, comico e tragicomico-, sulla condizione delle artiste donne nel mondo dello show business. Tra serio e faceto, è una riflessione su Eros, Teatro e potere, ai tempi di Shakespeare, così come nella nostra contemporaneità. Qui, un’attrice affronta un’audizione con un baule pieno di personaggi shakespeariani, ma si imbatte in un regista pochissimo interessato alle sue qualità artistiche e le cui derive filosofiche ritornano eternalmente “all’origine della vita”. I due si fraintendono e i loro malintesi generano un succedersi di momenti dalla comicità esilarante e surreale, che ripropongono, in forma rapsodica, le mille facce di una realtà non certo ignota ma, ancora oggi, purtroppo, ancora spesso garbatamente taciuta e rimossa. Così, nelle tristi vessazioni di un’attrice, animula alla mercè del sistema, si perpetuano e riflettono anche quelle storicamente subite dalle donne. 

In ‘Hamletelia’ alla fine c’è anche il tema dell’abuso e del razzismo familiare vissuto da Ofelia. E’ stata abusata, fino alla fine, da tutti gli uomini della sua vita, e ancor più perfidamente, dall’unica donna, che si è alleata a quel mondo patriarcale, Gertrude, la madre di Amleto.

Nella tua vita hai sempre seguito l’amore o l’istinto? Sei riuscita a raccogliere tutti i tuoi desideri?

L’amore, il cuore e l’istinto credo abbiano una natura simile, o per lo meno appartengono alla stessa matrice, diciamo che fra la razionalità e il cuore, fra Apollo e Dioniso, il dàimon interiore, o come vogliamo chiamarlo, ho sempre ascoltato Dioniso, la voce interiore, l’istinto, la passione, qualcosa di simile a quello che James Hillman chiama dàimon. Esiste qualcosa, in ciascuno di noi, che ci induce a comportarci in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie – anche se a volte possono sembrare casuali o irragionevoli. Questo è il daimon, il ‘demone’ che ciascuno di noi riceve come compagno prima della nascita, secondo il mito di Er raccontato da Platone. Daimon è ciò che si nasconde dietro parole come ‘vocazione’, ‘chiamata’, ‘carattere’. Ed è la chiave per leggere il ‘codice dell’anima’, quella sorta di linguaggio cifrato che ci spinge ad agire in quel modo, a far sì che il nostro corpo frequenti certi luoghi, ad essere attratti da certe persone, ma che non sempre comprendiamo in modo razionale. 

No, sono ancora piena di desiderio e di desideri. Vivere è desiderare, non è solo avvertire la mancanza o sentire il bisogno di qualcosa, ma come nel significato etimologico, da ‘de sidus’, costellazione, stella, astro, e ‘sidera’, fissare attentamente le stelle, desiderare vuol dire avere a che fare con le stelle, ed essere in sintonia con loro.

‘Desiderare’, in italiano, è un atto bellissimo, deriva dalla parola, ‘stelle’, e significa: accorgersi che nel tuo cuore c’è qualcosa di più di quel che, per ora, le stelle ci stanno concedendo. Ogni desiderio che noi riusciamo ad esprimere è una sorta di premonizione: non si tratta cioè del frutto della nostra fantasia, ma di un improvviso estendersi della nostra percezione, fino a cogliere nel futuro una qualche occasione che potrebbe venirci incontro e che può essere utile al nostro sviluppo interiore. Il desiderio ci tiene in vita, è ciò che ci spinge a sognare e a sperare, il desiderio ha a che fare col futuro. Desiderare ci apre a ciò che ancora non siamo o non abbiamo. E’ la voglia di qualcosa o di qualcuno.

Che cosa bisogna fare per mantenere vivo il tuo interesse?

Sedurmi, e sedurre. Sedurre è l’arte di condurre a sé. E’ un’arte misteriosa, quella dello charme, dell’incantamento, dell’incanto, come misteriosi sono l’attrazione e l’amore, più della stessa morte, come Oscar Wilde fa dire a Salomé: “Il mistero dell’amore è più grande del mistero della morte”. Credo ci si scelga sempre per una sorta di attrazione e di innamoramento, non solo fra amanti, fra amori, ma anche fra amici, fra compagni, fra colleghi.

Chiudiamo con la speranza di avere tutti una speranza: la vita è troppo breve per…?

La vita è troppo breve per non cercare di fare ciò che si ama, per non prenderci ciò che ci incuriosisce o chi desideriamo, per non amare chi desideriamo o amiamo, per non mettere nella Siberia dei sentimenti chi ci ha feriti, e la vita secondo me è paradossalmente anche troppo breve per perdonare chi ci ha fatto male, a meno che questi non si pentano e si facciano perdonare, è breve anche per non dire ciò che pensiamo, anche se questo può avere un costo, delle conseguenze, meglio essere coerenti con la propria anima, viaggiare su un doppio binario è faticoso e alienante, preferisco decisamente un nemico vero a un finto amico.

 

Le foto sono di Grazia Menna