Caterina Caramella: Io non mi accontento perché le ragazze fanno grandi sogni

Caterina quando sale sul palco e inizia a esibirsi avviene una specie di magia: a mano mano, tutto quello che la circonda sparisce. Ha sempre scelto in sintonia con la sua anima creativa che è molto sveglia e parecchio rumorosa. L’emozione non scompare mai in realtà, e non deve scomparire, perché è ciò che rende viva la performance musicale.

Emozionarsi è l’unico modo per emozionare a propria volta il pubblico. Bisogna avere un cuore e un’anima per arrivare agli ascoltatori. Perché lei nel violino mette tutto l’ardore possibile. Ci vogliono anni di esperienza e pratica per ottenere questo, ma una volta trovata questa disinvoltura, è come volare. Non importa chi ti ascolta o quanto numeroso sia il pubblico. Caterina sul palco è una farfalla che si libera in volo perché lei non si accontenta: il talento non basta senza la determinazione, Il motore di ogni cosa…

Violinista professionista, performer e solista, figlia d’arte, Caterina Caramella nasce a Milano, città nella quale tutt’oggi risiede. La madre, oboista e musicista di professione, le trasmette la passione fin da piccolissima.

A 5 anni Caterina frequenta già i corsi di propedeutica musicale tenuti dalla madre, di fatto sua prima maestra di musica. Caterina inizia lo studio del violino a 7 anni di età. Inizialmente si tratta quasi di un gioco, che però nel tempo diventa sempre più una passione, e ben presto Caterina capirà da sola che quella è la sua strada, e comincerà con dedizione, determinazione e sacrifici, a perseguirla. È l’inizio di un lungo e importante percorso di studi, lungo 10 anni.

Dopo la laurea in Conservatorio, si perfeziona seguendo i corsi del Maestro Francesco De Angelis (primo violino del Teatro all Scala) presso l’Académie de Musique Tibor Varga di Sion (Svizzera) e all’Accademia di Musica di Pinerolo col Maestro Alessandro Milani (primo violino dell’orchestra Nazionale della RAI). Successivamente si esibisce in tutta Italia e nel mondo in tournée orchestrali (Tournée in Francia, Principato di Monaco, Germania, Oriente e Medioriente – Cina, Emirati Arabi, Oman, Arabia Saudita, Macao), collaborando con orchestre come La Verdi e i Pomeriggi Musicali e si esibisce in celebri Teatri d’Opera, fra cui il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro Regio di Torino, il Teatro Grande di Brescia, il Teatro Donizetti di Bergamo, il Teatro Sociale di Bergamo alta, il Teatro Petruzzelli di Bari, il Teatro Massimo Bellini di Catania, la Royal Opera House di Muscat, in Oman, Guangzhou Opera House e Shanxi Poly Grand Theatre, in Cina, e molti altri ancora.

 

Caterina che cos’è quell’energia che ti accompagna nella vita?
L’energia che mi accompagna nella vita è quello slancio, quell’entusiasmo, che da sempre mi caratterizza: la capacità di emozionarmi, quasi come fossi ancora bambina, per le grandi e le piccole gioie della vita. Quella vitalità per la quale mi butto a capofitto ogni qualvolta si presenti l’occasione di mettermi in gioco. In generale quando faccio qualcosa, sia nel lavoro, come nella vita privata, ci metto sempre tutta me stessa, con passione e dedizione, senza riserve, al di là di come andrà.

Perché il violino come compagno d’avventura?
La mia mamma, musicista di professione, è stata la mia prima Maestra di musica, a partire dai miei 5 anni di età, con la propedeutica musicale. Si può dire che io abbia iniziato ad ascoltare musica ancor prima di venire al mondo, quando ero nel suo pancione! Poi a 7 anni la decisione di iniziare a studiare il violino, così, d’istinto: provando vari strumenti musicali, durante i corsi di propedeutica per bambini tenuti da mia madre, mi è arrivata una specie di folgorazione, vai a capire cosa possa passare nella testa di una bambina di 7 anni! Il violino! Insomma, ho deciso che il violino sarebbe stato il mio compagno di avventure. La sua voce mi ha catturata, è uno strumento dalle tante anime, quasi parlante: dolce e drammatico, a tratti nostalgico, ma anche brillante ed energico allo stesso tempo. Molti mi chiedono se sia stato un amore a prima vista…forse sì, inconsapevolmente, ma ha rappresentato anche tanto impegno e dedizione profonda, anni di studio e di sacrifici.
L’incipit che vorresti leggere nel libro che racconta la tua storia?
La Musica è sempre stata parte di me. Nella mia più tenera infanzia mi ha cullato, dolcemente. Mi ha accompagnato nel mio percorso di crescita individuale, nel corso della mia adolescenza, mi ha confortato nei momenti difficili e ha esaltato quelli felici. Un rifugio, sentirsi a casa. Ma la Musica mi ha messo a volte anche alla prova, mi ha permesso di misurarmi coi miei limiti, di scontrarmici, per poi superarli, andare oltre. La Musica come disciplina, come maestra di vita. La Musica non mi ha mai lasciato sola. La Musica come espressione di me stessa. Una storia appassionata, un viaggio interiore alla scoperta di sé.

Ho ascoltato alcune tue esibizioni e devo ammettere che ti ho battezzata come la donna che ferma l’attimo. Ti rivedi in questa mia affermazione?
Ti ringrazio. Mi rivedo, sì. Quando suono il tempo per me è come se non esistesse, esiste solo il momento. Tutte le emozioni che sento in quell’istante vengono concentrate ed espresse in musica. E’ difficile spiegarlo, ma credo sia qualcosa di paragonabile ad una magia Suonando, si libera la mia essenza. Non penso più a nulla, ogni insicurezza, tensione, dubbio, svaniscono nel nulla. Mi sento al posto giusto, nel momento giusto. E quell’attimo è perfetto, è il mio rifugio. Metto un po’ di me stessa in ogni singola nota, sento che quello è il solo vero modo che ho per esprimermi appieno, per arrivare alle persone in maniera autentica, condividendo con loro le mie verità più profonde.

Si potrebbe dire che il tuo strumento è il prolungamento del braccio, visto che non ti abbandona mai?
Si usa spesso questa metafora, che forse potrebbe sembrare eccessiva, per alcuni. In realtà è davvero così, ti faccio un esempio: viaggio quasi
sempre con il mio violino in spalla, direi la maggior parte delle volte. Quando mi capita di dover uscire di casa senza di esso, talvolta avverto
un senso di stranezza, percepisco quasi una “mancanza”, è una sensazione che avverto proprio fisicamente, come se avessi lasciato a casa non un qualunque accessorio, ma qualcosa di più, qualcosa che è parte di me, che è un modo di essere, di esistere. Mi sento quasi fuori posto in quei momenti, non è semplice spiegare cosa intendo.

Era quello che sognavi fin da piccola?
Sì, per quanto spesso i sogni dei bambini possano essere poi completamente diversi da ciò che realmente si possa mettere in atto nella vita reale. Da bambina sognavo di fare la violinista, ma era qualcosa di poco consapevole, non avevo idea di cosa potesse voler dire veramente e di
quanto lavoro ci fosse dietro a quel sogno. La cosa bella è che, una volta appreso quanto potesse essere impegnativo realizzare quel sogno, quanto potesse influire sul mio stile di vita di bambina e poi di adolescente, non ho comunque smesso di credere in quel sogno, ma ho continuato a inseguirlo con tutte le mie forze.

Qual è il tuo primo ricordo di un concerto?
Il mio primo saggio in Conservatorio, al termine del mio primo anno di corso. Avevo 11 anni. Portai il Concertino in Re maggiore per violino e
pianoforte di F. Kuchler nello stile di Vivaldi. Ricordo la grande emozione, la mia famiglia era presente, i miei genitori e il mio fratellino, timidissimo, che allora aveva solo 6 anni, coi suoi boccoli dorati, camicia e papillon, che sicuramente non amava indossare per l’occasione, ma gli stavano un incanto! Ero tutta vestita di bianco, la mia mamma mi aveva aiutata a prepararmi per l’occasione. Poi ricordo i miei compagni di classe e gli applausi intensi del pubblico alla fine della mia esibizione. Il mio Maestro, la sua espressione fiera e benevola.

Come si gestisce la complessità di culture e stili di un mondo così ampio?
Penso che il solo modo di conciliare le diverse culture e stili sia quello di accoglierli e comprenderli, senza pregiudizi di nessun tipo. Bisogna avere una mentalità aperta, libera. Per fare ciò, è importante conoscere, dunque interessarsi e avvicinarsi a ciò che è diverso. Questo credo sia un pensiero che valga in generale, non solo in musica. Io, personalmente, sono sempre stata propensa a sperimentare più generi musicali: dopo la laurea in Conservatorio conseguita nel 2014, infatti, mi sono avvicinata al mondo Jazz e all’improvvisazione e ho intrapreso per un certo periodo una collaborazione col pianista Jazz Enrico Intra. Ho avuto anche a che fare con la Musica Pop, collaborando con diversi artisti molto noti in Italia ma anche all’estero. Ma soprattutto, mi sono sempre interessata a culture diverse dalla nostra, quindi anche alla musica etnica. Grazie a una tournée in Oman, dove ho avuto l’occasione di suonare un’opera musicale scritta da un compositore egiziano, mi sono avvicinata alla musica araba e orientale in generale. Una parentesi che ho approfondito ancora durante due lunghe tournée in Cina e una in Arabia Saudita. Per conto mio ho esplorato anche un po’ la musica celtica. Sono un’appassionata della musica Medievale e della musica folk irlandese, che tanto hanno avuto a che fare ancora nella musica dei tempi moderni (basti pensare a generi quali il folk-metal, ma non solo). Ho avuto modo anche di suonare Musica da Film, con l’Orchestra del Cinema di Roma, sono stata un mese in tour a Macao. Ma la mia esperienza musicale si è estesa anche alla musica della tradizione folkloristica italiana, come la canzone napoletana, a esempio. Le contaminazioni musicali sono sempre esistite in realtà, fin dall’alba dei tempi, solo che a volte pare che questo sia stato dimenticato. Penso sia importante invece, che ogni artista, per definirsi tale, conosca e sperimenti più generi musicali. La netta divisione di generi non giova a
niente e a nessuno, a mio avviso. Credo che in Italia si possa ancora migliorare sotto questo punto di vista. Proprio perché credo fermamente nell’innovazione e nella contaminazione tra i generi, sono arrivata a suonare il violino elettrico, performance live che al momento mi viene più richiesta, e a improvvisare su generi come la musica House, Deep house, la musica elettronica, ecc. Generi musicali apparentemente molto lontani da ciò che è il violino nell’immaginario comune, riproponendo così a modo mio il violino come uno strumento versatile.

Cosa c’entra la famiglia nella scelta di intraprendere questa carriera?
C’entra moltissimo. La mia famiglia nel mio percorso di formazione musicale è stato tutto. Ho avuto la fortuna di avere due genitori amanti
dell’Arte e della Musica, che mi hanno sempre sostenuta e aiutata nel realizzare il mio percorso artistico, credendoci fino infondo, anche nei
momenti più difficili. I miei genitori hanno condiviso con me gioie e dolori di questo arduo percorso, oltre ad aver chiaramente investito economicamente per farmi studiare musica, che prevede comunque determinati costi fra strumento, i dieci anni di studio in Conservatorio, i vari corsi di perfezionamento in Italia e all’estero ecc. Tutti sacrifici che hanno fatto per me, per permettermi di portare avanti il mio sogno.
Senza di loro non sarebbe stato possibile. Avere una famiglia che ti sostenga nelle tue scelte è fondamentale, sarò loro per sempre grata.

Scopro tanta determinazione nel tuo percorso artistico: arrivare dove sei arrivata in ogni caso è un bel salto…
La determinazione è tutto nel raggiungere gli obiettivi. Il motore di ogni cosa. Devo ammettere che la determinazione non mi sia mai mancata, sono per indole una persona molto determinata, a tratti quasi ossessiva…sono anche un po’ perfezionista, non mi piace intraprendere cose tanto per farle, se le faccio devono essere attuate nel modo migliore, al meglio delle mie possibilità. Deformazione professionale, o forse sempre quello spirito entusiasta di cui parlavo prima, che mi spinge a dare tutta me stessa in quel che faccio, a mettermi sempre in gioco. Credo che per raggiungere i propri traguardi, ci voglia del talento, ma anche e soprattutto la costanza nel coltivarlo.

Come gestisci l’ansia? Com’è dover sempre fronteggiare i giudizi, calarsi nei panni di altre persone, essere esposti alla fama?
Dunque, sicuramente la prima cosa per gestire l’ansia da palcoscenico è avere una solida preparazione e una forte padronanza del proprio strumento. In questo modo sicuramente ci si pone in pubblico con una certa consapevolezza e sicurezza di sé. Per questo è molto importante
studiare e allenarsi a fondo, specialmente durante gli anni della formazione. Poi più si suona in pubblico, più diventa naturale farlo, almeno per me è stato così. L’emozione non scompare mai in realtà, e non deve scomparire, perché è ciò che rende viva la performance musicale.
Emozionarsi è l’unico modo per emozionare a propria volta il pubblico. Bisogna avere un cuore e un’anima per arrivare agli ascoltatori.
Una performance puramente tecnica, ma asettica, resta solo una mera esecuzione, per quanto eccellente possa essere. Detto ciò, anche se l’emozione resta viva nel cuore di chi suona, con l’esperienza si impara l’autocontrollo, in modo tale che l’emozione venga dosata nella giusta quantità per garantire la riuscita della performance musicale, senza però impedire di trasmettere al pubblico l’emozione stessa. Ci vogliono anni di esperienza e pratica per ottenere questo, ma una volta trovata questa disinvoltura, è come volare. Non importa chi ti ascolta o quanto numeroso sia il pubblico. Sei libera. Così mi sento quando suono.

Una canzone per spiegare la Caterina donna?
Tante sono le canzoni dedicate all’essere donna, ma in questo momento me ne viene in mente una, dedicata alle giovani donne, in cui mi sono sempre rivista: “Le Ragazze Fanno Grandi Sogni” di Edoardo Bennato, ancora oggi più che mai attuale per il suo significato.

Il cervello dimentica quello che è inutile: cosa hai cancellato del passato e cosa tieni ben conservato nel cuore?
Del passato ho cancellato quelle persone negative per il mio percorso artistico, quelle che hanno cercato di danneggiare la mia autostima perché probabilmente a muoverle era un malsano spirito di competizione o la frustrazione. Credo che il tempo dia le risposte a ogni cosa, chi ha un valore umano viene premiato presto o tardi per ciò che è o per ciò che ha fatto. E viceversa. Nel mio cuore restano sempre e solo quelle persone che nonostante tutte le avversità non hanno mai smesso di starmi accanto e che continuano a credere in me ogni giorno, gli affetti a me più vicini e cari, quelli su cui posso contare davvero e che mi conoscono nel profondo della mia anima.

Una domanda complessa: ci dai una cura per superare la fine di una relazione?
Quando finisce un amore bisogna porsi delle domande e darsi il giusto tempo per trovare le risposte. Non è facile, io a esempio sono sempre
stata molto impulsiva, specialmente da ragazzina. Non c’è una vera e propria “cura”, ma quello che conta è ritrovare sé stessi, perché alla fine di una relazione, specialmente se si parla di relazioni malsane, magari morbose o negative per la propria autostima, il rischio è di sentirsi persi. Il mio consiglio alla fine di una relazione è quello di ripartire da sé stessi, di concedersi del tempo, per ritrovare il giusto equilibrio e la giusta armonia interiore, in modo tale da essere poi nuovamente pronti a ciò che la vita riserverà.

A conti fatti: ti senti fortunata o in debito con il destino?
Mi sento grata per ciò che ho, anche se so di essermi impegnata tanto e di aver lavorato sodo per ottenerlo. Direi piuttosto che mi sento in pari col destino, ecco, credo che questa sia la definizione più giusta.