80.000 persone occupate e 35.000 imprese in sofferenza per la chiusura dei centri estetici provocata dall’emergenza Covid. Un comparto che perde ogni giorno 21 milioni di euro. Sono alcuni dei numeri forniti da Confestetica, associazione di categoria maggiormente rappresentativa degli estetisti. La pandemia da Coronavirus ha messo in crisi numerosi settori della nostra economia. Tra questi anche quello dei centri estetici. L’agenzia Dire ne ha parlato con Roberto Papa, segretario nazionale di Confestetica.
– Segretario Papa, lei dà voce al settore maggiormente rappresentativo degli estetisti. Può scattarci l’attuale fotografia del suo comparto?
“Il nostro settore comprende 80.000 estetiste e 35.000 imprese, che in questo momento soffrono una chiusura immotivata che siamo costretti a subire da diverso tempo. Un settore prettamente al femminile, in cui il 98,7% degli occupati sono donne. Ci occupiamo di igiene e cura della persona e anche la maggior parte dei clienti sono di sesso femminile: circa 13 milioni di donne che in questo momento non hanno la possibilità di prendersi cura in alcun modo della propria persona a causa del Dpcm che ha deciso di chiudere tali attività”.
– Da quanto tempo non riaprono i vostri centri estetici?
“Le saracinesche sono state abbassate la prima volta il 3 novembre e fino ad oggi i centri sono sempre rimasti chiusi, tranne le due settimane di riapertura – per il Governo ‘forzata’ – avvenuta grazie a una sentenza del Tar del Lazio che ha dichiarato illegittimi i 3 Dpcm di novembre, dicembre e gennaio. Poi l’ultimo Dpcm, quello entrato in vigore a marzo, ha reiterato nuovamente la chiusura, questa volta decidendo di bloccare anche le attività dei parrucchieri. Un vero e proprio braccio di ferro con il Governo, che non comprende ciò che il giudice ha detto all’interno della sentenza, spiegando che sono trattamenti alla persona ‘essenziali’ e che i centri estetici devono rimanere aperti. Evidentemente c’è qualcuno che non sente abbastanza o non legge cio’ che il Tar ha disposto”.
– E’ possibile quantificare le perdite subite dal settore?
“Dai calcoli che abbiamo fatto, tra vendita di prodotti cosmetici ed erogazione di servizi alla persona, posso dire che ogni giorno il nostro settore perde circa 20-21 milioni di euro. Soldi che nessuno ci restituirà. Tra l’altro, l’arrivo della primavera è il periodo dell’anno in cui le persone iniziano a prendersi cura del proprio corpo. Questo viene loro impedito dal Dpcm, che non riporta alcuna motivazione tecnica o scientifica: i centri sono chiusi, punto e basta. E’ un principio che troviamo irragionevole. Un eccesso di potere, così come ha detto il giudice del Tar, talmente immotivato che non sembra nemmeno di essere in un Paese democratico”.
– I ristori sono arrivati?
“Alcune delle nostre associate ci hanno riferito di avere ricevuto i ristori per i mesi di novembre e dicembre, ma nella maggior parte dei casi si sono persi i conti. Tra il cambio di governo, i decreti attuativi che non sono arrivati e altri che stanno aspettando i ristori per i centri storici non si capisce davvero quali siano i ristori e a quale decreto appartengano. Un caos davvero mai visto in tutta la mia vita. Ci auguriamo che almeno sui ristori il nuovo governo faccia un minimo di chiarezza. Vediamo se entro aprile, come ha detto il presidente Draghi, i soldi saranno erogati. E’ quello che mi auguro”.
– Nonostante queste chiusure per legge, certi trattamenti però vengono svolti ugualmente…
“Sì, i trattamenti vengono svolti ugualmente. Questo accade all’interno dei cosiddetti ‘studi medici-estetici’, dove avvengono i trattamenti realizzati anche dall’estetista. Ma mentre i primi possono rimanere aperti, gli estetisti non possono esercitare. Parliamo, ad esempio, della depilazione, che non si può fare in tempi di pandemia: se è vietata per l’estetista deve esserlo anche per il medico-estetista. Quindi l’estetista ha a che fare con un protocollo estremamente rigido, contenuto nel Dpcm, ma all’interno dello stesso Dpcm le attività professionali non sono tenute al rispetto di alcun protocollo. Negli studi di medicina estetica lavorano infermieri ed estetisti: le estetiste che lavorano in un centro estetico non possono lavorare perché il centro estetico è chiuso, mentre le estetiste impiegate presso uno studio medico, e che quindi fanno gli stessi identici trattamenti, possono invece lavorare perché quell’attività è rimasta aperta. La discriminazione, dunque, è rimasta tale e quale. Dobbiamo capire se c’è una distinzione di classe, legata al titolo di studio. Non so quale sia il parametro che porti a decidere chi deve rimanere aperto e chi, invece, è costretto alla chiusura. Voglio ricordare che dei circa 21 milioni di euro che perdiamo ogni giorno, circa 6-7 milioni al giorno sono legati alla perdita causata dalla mancata vendita di cosmetici.
Eppure sappiamo che nelle zone rosse, dalle profumerie ad Amazon, dalle farmacie alle parafarmacie, dalle erboristerie fino ai servizi anche ‘porta a porta’, tutti vendono cosmetici. Si tratta di attività che non sono state sospese, la parola ‘chiusura’ è stata associata solo ai centri estetici. Vogliamo andare fino in fondo e sapere quali problemi abbia il ministero della Salute con la nostra categoria”.
Agenzia Dire