E’ arrivata la conferma ad un’ipotesi su cui virologi e immunologi si sono più volte espressi: i bambini neutralizzano meglio il SARS-CoV-2 e, di conseguenza, la loro risposta immunitaria determina anche una minor capacità infettiva. A confermarlo con i dati è un’indagine dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù (Opbg), pubblicata su Cell Reports e condotta insieme all’Università di Padova e all’istituto zooprofilattico di Venezia. L’indagine ha identificato le caratteristiche immunologiche dei pazienti che meglio reagiscono all’infezione da SARS-CoV-2, arrivando a determinare come I bambini neutralizzino il virus prima e meglio rispetto agli adulti.
Paolo Palma, che ha guidato la ricerca con il gruppo scientifico ‘Cactus’, spiega alla Dire il significato dell’indagine e l’impatto che i risultati possono avere su quarantene, rientri a scuola e gestione dei pazienti cronici.
– Professor Palma, cosa significa questa indagine?
“E’ emerso in modo chiaro che esiste in natura un gruppo di bambini che sono in grado di controllare il virus gia’ a partire da una settimana dall’aver contrattato l’infezione. Abbiamo approfondito dal punto di vista virologico e immunologico come questi bambini siano riusciti a neutralizzare il virus e a controllare a livello nasale la presenza del patogeno, vale a dire la carica virale e quindi anche la loro capacità di trasmettere il SARS-CoV-2. Questo ci consente di inserire un criterio immunologico ed epidemiologico per reinserire i bambini a scuola. Il controllo del virus è mediato dagli anticorpi neutralizzanti- spiega l’esperto- e si traduce anche nella ridotta possibilità di trasmettere il virus ad altre persone. Nel prossimo futuro riusciremo quindi a quantizzare il numero di copie del virus nella pratica clinica e non dire solo se un soggetto è positivo, ma anche cercare di definire il numero di copie con cui il soggetto è infettato, e pertanto le misure restrittive da applicare al soggetto”.
Quest’ultimo dato è importante anche per la gestione dei pazienti cronici a livello ospedaliero, rallentata dalla presenza della positività al virus: “Riuscire ad alleggerire il protocollo di gestione del paziente infetto, inserendo criteri più personalizzati sull’individuo- continua il responsabile del dipartimento di Immunologia clinica e Vaccinologia Opbg- rappresenta una soluzione clinica e una sfida per il futuro. Sapevamo che la malattia in ambito pediatrico ha caratteristiche lievi, molti bambini sono pauci o asintomatici. Tanto che credo che la diffusione tra i bambini sia ampiamente sottostimata in termine di numeri. L’indagine che abbiamo portato avanti ha coinvolto 66 piccoli pazienti in un’età compresa tra 1 e 15 anni, ricoverati nel centro Covid del Bambin Gesù di Palidoro nell’estate del 2020. Erano in ospedale perché i loro genitori o fratelli erano positivi”.
– Come mai i bambini riescono a neutralizzare il virus?
“E’ una capacità innata e che viene loro conferita dalla presenza di cellule T e B presenti nel loro organismo- risponde Palma- non tutti i bambini del gruppo hanno dato la stessa risposta immunologica nel medesimo tempo, pur presentando pochi e lievi sintomi o persino in assenza di sintomi. Lo studio era nato per capire la carica virale ed eventuale reintroduzione sicura nella popolazione scolastica, a fronte dello sviluppo della risposta immunitaria data dal bambino. Una delle ragioni per cui c’è stata una risposta neutralizzante è che vi sia una correlazione tra pregressi con i beta-coronavirus e una certa quota di cellule linfocitarie già sviluppate, quindi una propensione più rapida nella risposta al SARS-CoV-2. Poi esiste una componente genetica da considerare: il background genetico di un individuo ha rilevanza nel determinare la risposta immunitaria a un virus. La storia dell’Hiv e della malaria, con l’HLA, ce lo hanno dimostrato”.
– Questo può aiutarci a riconsiderare una riapertura della scuola?
“Dobbiamo capire a fondo la dinamica delle infezioni nella popolazione- continua Palma- serve una piattaforma tecnologica e strumentazione importante”. Infatti, lo studio dell’ospedale Bambino Gesù si è giovato dei “colleghi che hanno gestito il virus vivo- prosegue Palma- con rischi da laboratorio che non sono da poco. Dal punto di vista pratico possiamo dire che c’è una correlazione tra il numero di copie a livello nasale e il tipo di infezione che l’individuo ha sviluppato. Identificare il livello di carica sicuramente ci aiuta a comprendere anche la capacità trasmissiva del virus. È stato dimostrato in alcune indagini negli ultimi mesi che alcuni recettori che fanno da porta d’ingresso al virus, in eta’ pediatrica, sono ridotti”.
Poi ci sono i fattori ormonali: “Un livello di testosterone più alto, negli adulti, può determinare una patologia più grave; così come le correlazioni tra diabete e obesità con lo sviluppo della malattia in modo più severo. Tutto questo non vuol dire che il bambino sia un supereroe o non abbia un ruolo nella trasmissione del virus- aggiunge lo studioso- sicuramente il bambino ha una tolleranza immunologica migliore rispetto all’adulto. Abbiamo altri dati in fase di revisione e in via di pubblicazione che ci dimostrano che l’aspetto di sintomatologia, così come negli adulti, sia espressione del livello di infiammazione di un individuo. La risposta infiammatoria è la risposta al virus”.
Con il gruppo di indagine Cactus, che si è occupato di questo studio, “abbiamo realizzato diversi mesi fa un’altra ricerca sulla correlazione della sindrome multi-infiammatoria sistemica e di Kawasaki nel bambino dopo che questo ha incontrato il virus, una sindrome molto grave a rischio vita e che ci dice quanto la risposta infiammatoria sia determinante. La capacità di controllo della risposta immunitaria da parte dei bambini, tuttavia, è in generale molto buona e l’infiammazione non scatta, per questo sono asintomatici o paucisintomatici”, conclude Palma.