Cristina Longhini, l’amore per la vita è tutto. La sanità non funzionava al tempo del Covid e non funziona neppure ora

Cristina Longhini

Suo padre, Claudio, è morto nella primavera del 2020 a 65 anni. Un dolore enorme che Cristina si è portata dentro: “Quando chiudo gli occhi e torno a quei giorni sento ancora la telefonata di mia sorella che mi dice papà non sta bene, mi descrive i sintomi e io chiamo mamma mia mamma farmacista senza nessun DPI in quel momento aveva avuto i sintomi la settimana precedente e ancora non gli aveva superati. Ricordo che le chiesi di  passarmi papà. Fu l’ultima chiamata lui mi disse Chicchi non sto bene, solo lui mi chiamava così così …dissi a mamma che sicuramente era Covid”…

Cristina Longhini la tua è una storia particolare: il Covid ha segnato la tua famiglia. Tante battaglie, appelli e proteste pubbliche: facciamo il punto. Credi ancora nelle Istituzioni?

Ho smesso formalmente di credere nelle Istituzioni da quando ho il ricordo di quel 10 giugno davanti alla Procura di Bergamo per il D-Day del Comitato Noi Denunceremo di cui faccio parte attiva. Noi fermi con il nostro comitato sulle scale a depositare le denunce una battaglia sociale politica istituzionale. A cui la politica non ha mai risposto, a cui ha sempre alternato silenzi e giustificazioni.

Reazioni? Solidarietà? Delusioni?

Ho fatto battaglie chiesto incontri la delusione più grande venne più tardi. Chiesi un incontro, con pochi famigliari, al Presidente della Repubblica, mi rispose attraverso il prefetto… che non aveva tempo… Peccato fosse venuto a Bergamo durante il Requiem ufficiale per le vittime del Covid19 e che, nella realtà dei fatti, sarebbe stato un segnale Istituzionale importante. Ma da nessuno schieramento politico in quei mesi ci fu mezza ammissione, o scusa. Non mi sono mai fermata nemmeno in una Diretta televisiva a Piazza Pulita dove Giulio Gallera ebbe il coraggio di dirmi che era andato tutto bene, gli risposi con la rabbia di una cittadina che non era stata difesa dalle Istituzioni. Da quel 2020 ho capito che l’Istituzione è spesso fatta da persone la cui mancanza di  competenze è stata superata da raccomandazioni e interessi politici.

Quanto è stato difficile affrontare la drammaticità di quei giorni?

Quando chiudo gli occhi e torno a quei giorni sento ancora la telefonata di mia sorella che mi dice papà non sta bene, mi descrive i sintomi e io chiamo mamma mia mamma farmacista senza nessun DPI in quel momento aveva avuto i sintomi la settimana precedente e ancora non gli aveva superati. Ricordo che le chiesi di  passarmi papà. Fu l’ultima chiamata lui mi disse Chicchi non sto bene, solo lui mi chiamava così così …dissi a mamma che sicuramente era Covid. Io faccio la farmacista a Milano e la situazione qui non era così disperata ma in realtà  i sintomi erano palesi. Il dramma di affrontare l’imminente disastro a casa e tutto telefonicamente da un alta città mi faceva sentire sola vuota impotente ansiosa sentire che papà non riusciva più ad alzarsi dal letto e un pomeriggio era svenuto per un’ora e mezza ed era rimasto per terra mamma aveva provato a chiamare l’ambulanza e il numero speciale Covid, ma le dissero che almeno che mio papà non avesse una crisi respiratoria non sarebbe riusciti. L’impotenza.

Così facemmo appelli Social feci tutto quello che immaginavo e avevo paura non sarebbe bastato mamma trovò un medico che venne a visitare papà l’ossigenazione era sessantacinque il medico segnò il medico di base di papà per mancato soccorso. Chiamò lui stesso, l’ambulanza. Ai tempi era un’ambulanza di appoggio in arrivo da Monza Brianza, che chiese addirittura a mia mamma dove fosse l’Ospedale di Bergamo. Papà venne portato via mentre non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto. Venne ricoverato nella Torre 3 dell’ospedale di Bergamo da lì per una settimana non abbiamo più saputo nulla se non in quella drammatica telefonata 18 marzo 2020 di un medico Chi disse se non troviamo un posto in terapia intensiva suo padre morirà se voi come famiglia ci poteste aiutare a trovare un posto in terapia intensiva si potrebbe salvare. Ricordo benissimo quel giorno le lacrime iniziarono a scendere  facemmo di nuovo appelli social  mentre chiamavo medici amici tutti quelli che forse avrebbero potuto aiutarci.

La cosa più drammatica è che stavo lavorando senza riposo al bancone della Farmacia con la consapevolezza che lo stavo perdendo che il sistema sanitario stava crollando  e quello in cui credevo non sarebbe più esistito soprattutto con la fila di pazienti che chiedeva in modo esasperato le mascherine e aveva gli stessi sintomi. A gennaio nella nostra Farmacia la maggior parte dei pazienti cinesi venuti da ogni parte di Milano e provincia erano venuti a fare incetta di mascherine e ci avevano avvisato che se quello che c’era là sarebbe arrivato qua sarebbe stata la fine anche per questo in farmacia avevamo ottenuto una confezione di mascherine fp3 che poi ci sarebbe servita. Il posto in terapia intensiva non l’abbiamo trovato  e il 19 marzo 2020 il giorno della festa del papà dall’ospedale di Bergamo la telefonata:” A suo padre non arriva più il sangue i tessuti periferici stiamo aspettando che muoia”.

Un urlo ha squarciato il cielo ho preso la macchina e da Milano sono partita per una Bergamo deserta e catatonica mi sono trovata all’ospedale ho chiamato onoranze funebri ma i numeri a Bergamo erano tutti occupati così ho trovato un amico a Milano che aveva un’azienda di pompe funebri. Quando sono stata all’ospedale ho chiesto di poter vedere papà cosa che non si poteva fare. Mi sono infilata dietro i due addetti delle pompe funebri l’ho visto in un sacco l’ho riconosciuto… quel corpo consumato dal virus  sembrava uscito da un embolia aveva gli occhi  con lacrime di sangue. Mi hanno dato un sacco dell’immondizia con le sue cose che ho  aperto dopo 15 giorni era tutto quello che mi rimaneva di lui e della sua agonia ospedaliera dentro cui poi  ho trovato il pigiama e la maglietta intima con il sangue è stato vivere un altro trauma. Non ho potuto vivere il lutto sono tornata subito al lavoro al giorno dopo. Quel 19 Marzo si era concluso con il  carro funebre  davanti al cimitero senza entrarci ero in fila fuori… da sola mia mamma a casa con il Covid e anche mia sorella e la sua famiglia a casa ammalati…salutati dalle finestre delle loro case mentre tornavo a Milano con l’auto. Un dolore lacerante.

Che cosa hai scoperto di te che non immaginavi di possedere?

Il dolore mi ha trasformato dandomi il coraggio di lottare per quello in cui credo, la mia timidezza ha fatto spazio alla determinazione alle campagne televisive dove ho affrontato paure e incertezze per espormi per dire quello che fosse giusto.

Qualcuno consiglia di inventare l’attimo, ovvero trasformare quello che hai subito in qualcosa di autonomo capace di comunicare energia per superare il dolore…Che ne pensi?

L’attimo l’ho creato ho trasformato il mio dolore e la mia visibilità mediatica  per la mia categoria i Farmacisti e diventando Segretario nazionale del Movimento Italiano Farmacisti Collaboratori e portando avanti la mia battaglia per l’integrazione del nostro Contratto o per la scuola elementare di mio figlio con il tetto crollato per la pioggia e ancora mai sistemata. E se ci fossero stati dentro i bimbi quel giorno? Bimbi portati in un altro quartiere nell’indifferenza del Sindaco Sala.

Quante storie ci sono dietro le morti in corsia?

In quelle corsie si sono fuse storie di vita e di morte di medici, infermieri e pazienti. Morivano come mosche nel silenzio pochi potevano comunicare con i famigliari altri magari non facevano in tempo a essere soccorsi e morivano appena varcavano l’ospedale.

Di chi è a tuo parere la colpa di una Sanità che non funziona come dovrebbe?

La sanità non funzionava al tempo del Covid e non funziona neppure ora. Iniziai a confrontarmi con me stessa il mio lavoro la drammaticità della seconda ondata su Milano fu devastante, persi amici pazienti ma ricordavo l insegnamento di Bergamo, portai bombole a casa iniziai a fare appelli tv per le bombole d’ossigeno affinché le persone restituissero i vuoti. Ho salvato pazienti che sarebbero morti a casa …. ero riuscita a procurarmi un Pulsossimetro mancante, all’epoca introvabile … cosi con il reale valore dell ossigenazione i pazienti venivano soccorsi dalle ambulanze. E  in quel momento mi sono innamorata del mio lavoro; ricordo i pianti l’impotenza ma la lotta per poter aiutare le persone. Ho poi affrontato la campagna vaccinale con impegno e dedizione, nonostante le condizioni economiche dei farmacisti siano pessime e nessuna retribuzione aumentata: solo eroi dimenticati. Tanti proclami e la politica che fa il finto elogio e poi nicchia. Sono diventata anche segretario Nazionale del Movimento Farmacisti Collaboratori, usati dal Sistema Sanitario in emergenza e ancor di più oggi… senza nessun diritto senza nessuna assunzione di responsabilità verso una categoria fondamentale per la salute dei cittadini. Sono diventata attivista e spero che l’ennesima lettera al Ministro Schillaci, che ho conosciuto un anno e mezzo fa, a Bergamo, mi incontri ufficialmente a Roma. C’è troppa distanza tra la realtà e i palazzi della politica; tra quello che è la percezione della realtà e la condizione reale dei cittadini. Poca volontà, troppa burocrazia e troppi interessi. Basterebbe poco.

Sogni da ragazzina e realtà purtroppo non vanno sempre d’accordo…

Purtroppo i sogni da ragazzina e la realtà non vanno sempre d accordo… Da piccola sognavo di fare l’insegnane d’asilo, ma avendo la tradizione di nonno  mamma e zio farmacisti sono stata obbligata ramo famigliare blasonato.. mio nonno Gigi –  il papà di mio papà – era idraulico e papà nemmeno laureato aveva fatto il rappresentante. Cosi il mio cognome Longhini, dopo la laurea cozzava con la famiglia di Farmacisti Pesenti. Mai chiesto nulla a loro ma sono scappata in una casa di ringhiera a Milano con il terzo colloquio e la promessa di assunzione tra le case popolari e occupate di Niguarda. Sono rimasta 14 anni… e ora Direttore tecnico a Monza faccio la pendolare, attraverso le mie battaglie ho conosciuto colleghi che mi sostengono e mi vogliono bene. Negli anni quell odiata imposizione e l’amore dei miei pazienti e la maledetta pandemia mi hanno reso una professionista amata rispettata e, oggi, sono felice di fare il mio lavoro. E ho iniziato a fare anche altro: la moto, la subacquea e scritto un libro per bimbi.

Che cosa ha cambiato il corso del tempo? Sei dovuta crescere in fretta?

Il corso del tempo è stato cambiato dal destino e il dolore diventa il principio della metamorfosi del proprio modo di fare e di essere. Prima hai sogni desideri prospettive e inizi a dare per scontata la vita. La pandemia mi ha fatto crescere, maturare e capire le mie priorità.

Oggi, sei riuscita a trovare la quadratura del cerchio?

Ho dato un senso alla mia vita la quadra del cerchio è il senso vero della mia vita ora e sono le mie battaglie. Nei confronti della pandemia il vuoto lasciato è stato trasformato in senso civico verso il prossimo e i propri diritti.

Che futuro c’è nei tuoi occhi?

Nei miei occhi c’è il futuro di mio figlio Filippo Nemo e il sogno possa diventare ribelle e guerriero e nel mio futuro spero ci sia la realizzazione di un progetto ambizioso per la mia categoria lavorativa. In Regione Lombardia, dove i primi tempi ero vista con la faccia di quella mal voluta, sto lottando per la possibilità di avere una integrazione di secondo livello del contratto con una proposta di disegno di legge.